E-Book, Italienisch, 396 Seiten
Reihe: cronache
Guiducci / Morra La mela e il serpente
1. Auflage 2025
ISBN: 979-12-5480-193-2
Verlag: Nottetempo
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Autoanalisi di una donna
E-Book, Italienisch, 396 Seiten
Reihe: cronache
ISBN: 979-12-5480-193-2
Verlag: Nottetempo
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Armanda Guiducci (1923-1992) è stata autrice, traduttrice e critica. Direttrice della rivista Ragionamenti ed esperta di antropologia, si è occupata per decenni della condizione delle donne, scrivendo opere decisive nel panorama del femminismo italiano. Oltre a La mela e il serpente, ricordiamo Due donne da buttare (Rizzoli, 1976, romanzo riproposto da Mondadori nel 2024) e La donna non è gente (Rizzoli, 1977). Ha tradotto Virginia Woolf e ne ha scritto una biografia, Virginia e l'angelo (Longanesi, 1991).
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Prefazione
Darsi la mano nel mistero
Il femminismo corsaro di Armanda Guiducci
di Eloisa Morra
I myself have never been able to find out precisely what feminism is: I only know that people call me a feminist whenever I express sentiments that differentiate me from a doormat.
Rebecca West
Avere una tradizione è men che nulla: è solo creandola che si può viverla.
Cesare Pavese
Luglio 1974. Mentre alla radio risuona senza sosta E tu… e le colonne del Mondo, Paese Sera e del Corriere ospitano gli scritti corsari di Pasolini, l’Italia si è già dimostrata un “paese in movimento”1. Giusto un paio di mesi prima uomini e donne di ogni età, provenienza ed estrazione sociale hanno votato compatti contro l’abrogazione della legge sul divorzio; grazie alla mobilitazione dei movimenti l’allargamento del perimetro dei diritti civili è al centro della discussione democratica, mentre la pratica dell’autocoscienza orienta l’attività degli innumerevoli collettivi femministi sparsi lungo la penisola. Eppure nessuno, in Rizzoli, è in grado di prevedere l’eco del primo saggio pubblicato da una casa editrice generalista di una critica letteraria fino a quel momento poco nota al grande pubblico, Armanda Guiducci.
E invece, contro ogni aspettativa, il libro che avete in mano suscita un enorme clamore. A tre mesi dall’uscita La mela e il serpente. Autoanalisi di una donna vende 25.000 copie, per poi inanellare cinque ristampe in un anno, proiettando l’autrice sulla scena internazionale della teoria femminista più avanzata (i diritti di traduzione vengono subito acquisiti in Francia e Spagna). Che corde impreviste aveva toccato? A cosa si può far risalire il successo di un libro così inaspettato, stratificato e oltranzista anche per gli anni ’70? Merito senz’altro del passaparola, ma anche di una quarta di copertina che dalle prime battute tramuta il personale in politico, anticipando la scossa che l’indagine più “intelligente e più rabbiosa, più dolce e più ambigua”2 su cosa significasse essere donna nell’Occidente patriarcale avrebbe suscitato in innumerevoli lettrici e lettori:
Non sono autobiografia, sono un campione d’esistenza al femminile. Ogni ragazza dell’Occidente percorre infatti fasi “obbligate” dello sviluppo fisico e psichico. Importante, è questo modello imposto e comune. Rifletto sul destino della donna e mi domando: da dove proviene la forza prepotente che ci costringe a seguire quel modello? Chi ci impone di recitare, con la convinzione di prime attrici, una parte secondaria nell’esistenza sociale? Chi ci suggerisce di dire “io” a bassa voce? Risalgo ad Eva, la mela e il serpente, e discendo dentro me stessa. Frugo dietro le istituzioni sociali, dietro i tabù del sesso, nell’inconscio maschile. Ma frugo anche nel mio inconscio che pullula di immagini compiacenti, deformate, della Femminilità. E mi sforzo di toccare il fondo, di snidare quanto di ancora inconfessato giace nel ripostiglio della mia bell’anima tradizionale.
Anziché difendersi dall’etichetta di autobiografismo cui ancora oggi viene relegata tanta scrittura d’autrice, questa indicazione di lettura rilancia, rivendicando la possibilità di parlare a (e di) tutte smantellando al contempo ogni pretesa di neutralità dell’io saggistico. E chi se non Guiducci avrebbe potuto scrivere, da una posizione eccentrica, quello che si è da subito imposto come un classico irrinunciabile del femminismo? All’uscita della Mela e il serpente, Armanda Guiducci ha molte vite alle spalle. Classe 1923, appartiene a una generazione più anziana rispetto a quella del femminismo della differenza, e ne attraversa con partecipazione tutte le difficoltà e contraddizioni: percepirà il voto come conquista, e (almeno all’inizio) la propria appartenenza di genere come inevitabile privazione. Nata Giambrocono da una famiglia della buona borghesia napoletana trasferita a Milano durante l’infanzia, si laurea con Antonio Banfi per poi formarsi all’insegna di un marxismo critico, ma – come riconosciuto nelle pagine che state per leggere – ancora poco atto a riconoscere la specificità della battaglia delle donne.
Se ne rende conto quando nel 1955 assume la direzione della rivista politico-letteraria Ragionamenti, di cui sono redattori Franco Fortini e il marito Roberto Guiducci, sociologo e urbanista, con cui nel 1950 ha avviato un sodalizio intellettuale durato tutta la vita. La pubblicazione si arresterà nell’ottobre 1957, non così il suo lavoro. Tra il 1961 e il 1972 pubblica tre libri di critica letteraria, dedicando attenzione particolare alle forme del mito in Cesare Pavese3, senza mai smettere di collaborare a riviste e quotidiani. All’intensa attività critica si affianca però sin da subito l’interesse per altre forme d’azione: dopo alcuni anni alla Olivetti coordinerà in qualità di segretaria le attività del Circolo Turati di Milano, a cui farà seguito l’ideazione di programmi radiofonici per la Radio Svizzera Italiana. Nella sua traiettoria intellettuale l’impegno politico e il femminismo inteso come pratica di libertà saranno sempre legati a doppio filo a una parola che, spaziando tra generi e media, irrompe nel campo della cultura nell’intento di parlare a tutti.
Si va così componendo un profilo bibliografico ricchissimo, in cui critica letteraria e d’intervento, ricerca antropologica, interessi psicanalitici e poesia si alternano senza soluzione di continuità, in un fluire naturale e spiazzante che riemerge in questo libro. Eppure, prima della pubblicazione della Mela, la figura di Guiducci viene tutto sommato relegata nelle retrovie del campo culturale. Pur avendone i titoli e le capacità, non ricoprirà mai posizioni apicali in ambito editoriale (rimarrà sempre una traduttrice e collaboratrice esterna) o accademico: la discriminazione di genere è ancora pervasiva negli anni ’50 e ’60, la stanza tutta per sé e le 500 sterline annue non bastano. Ma a che altezza cronologica Guiducci decide di mettere al centro delle sue ricerche “la stessa splendida ossessione, la donna, che percorre tutta la sua opera”4?
Il femminismo era proprio della sua formazione5, ma è la raccolta Poesie per un uomo (apparsa nello Specchio Mondadori nel 1965) a segnare uno spartiacque. “T’ammiro, così astratto, e provo orrore / della tua incerta furia-forza maschile / e debolezza insieme; mancanza di natura / che mi relega in nota – a piè di pagina”. È attraverso questi versi acuminati e arresi che era iniziata la sua esplorazione della questione femminile, da subito legata alla necessità di raggiungere un’espressività indenne dal male gaze: ma qui e altrove la volontà di una riappropriazione letteraria del proprio desiderio non può che andare di pari passo con la consapevolezza dell’incapacità maschile di accettare la differenza senza ricondurla narcisisticamente a sé. È questo conflitto continuo che diviene soggetto e oggetto della Mela e il serpente. Guiducci si considera – così come le proprie coetanee – un “ammasso di mitologia”; sente quindi la necessità di fare i conti con le false immagini acquisite nell’intento di liberare, oltre se stessa e le compagne, anche gli uomini, vittime di una “mitologia speculare”.
Se La mela e il serpente ha una profondità di sguardo superiore alle poesie è soprattutto grazie alla sua particolarissima forma: un libro-laboratorio che ne contiene tre, attraversando la vita di una donna occidentale dalla nascita simbolica, identificata con la prima mestruazione, alla crescita e all’esperienza della maternità. In un testo all’incrocio tra saggio, analisi antropologica e referto psicanalitico Guiducci accumula materiali diversissimi, costruendo una tensione basata sul continuo alternarsi tra lo sfocato volontario dei ricordi e l’incisività dei referti e degli studi, delle interviste e testimonianze. A saldare due toni di voce distinti è un’immagine metonimica nascosta, disseminata (come nei romanzi dell’amato Pavese) in momenti inaspettati del racconto, e con valenze diverse. Una bambola viene furiosamente decapitata nelle prime pagine dall’io narrante poco dopo essersi scoperta donna, ferita contro la sua volontà; una seconda in pannolenci riappare a metà strada, come specchio ideale cui la bimba – ormai entrata nel ruolo di femmina – viene fatta, volente o nolente, assomigliare; riaffiora in coda, anticipando l’istituto che contribuisce a disciplinarne l’esistenza una volta per tutte, la maternità.
Di fronte a un patriarcato che assoggetta le donne attraverso il controllo dei corpi, la risposta data dall’io narrante è la messa in ascolto. “Ricordo quel gabinetto stretto e lungo…”: col piglio dell’antropologa, Guiducci osserva un’ipotetica sé bambina e i suoi limiti tanto quanto le altre, donne perdute nella Storia che in varie forme e momenti hanno fatto parte della sua, di storia – ecco apparire la madre e le amiche, le compagne di studi e le colleghe, colte nei loro dettagli rivelatori di alterità e moments of being… Ma se, come aveva insegnato Simone de Beauvoir nel Secondo sesso, “donna si diventa” riflettendosi nello sguardo dell’altro, a distanza di quasi trent’anni Guiducci sente la necessità di scavalcare le barriere del femminismo borghese. Gli...




