Anonimo | Cenni sul brigantaggio | E-Book | sack.de
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E-Book, Italienisch, 133 Seiten

Anonimo Cenni sul brigantaggio

Ricordi di un antico bersagliere
1. Auflage 2024
ISBN: 979-12-5593-066-2
Verlag: Paperleaves
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

Ricordi di un antico bersagliere

E-Book, Italienisch, 133 Seiten

ISBN: 979-12-5593-066-2
Verlag: Paperleaves
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



L'autore, un anonimo maggiore dei bersaglieri, rievoca la sua esperienza durante la campagna contro il brigantaggio che nel periodo post-unitario interessò il sud d'Italia. Nel pubblicare questo piccolo mio lavoro non ho avuto altro scopo tranne quello di ricordare in qualche modo alla giovine generazione quei giorni funesti e pericolosi attraversati dall'Italia, quando ad un tempo, guerreggiando contro lo straniero e rovesciando troni, al grido di Vittorio Emanuele Re d'Italia agognava all'unificazione della Patria. Senza note, ho scritto ciò che è rimasto più impresso nella mia mente, per cui spero essere perdonato se dopo tanti anni fossi incorso in qualche errore di cronologia, ed avessi errato talvolta nell'apprezzare le cose accadute. Giudichi benignamente il Lettore l'opera mia e riponga nella memoria quegli aneddoti, che per quanto interessanti ed istruttivi, la storia troppo spesso trascura. Se questo riuscirò ad ottenere sarà largo compenso alla per me non poca fatica.

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II.


L’indomani, con un battaglione della Guardia Nazionale e due cannoni, eravamo di guardia al palazzo reale. Persuaso che nulla poteva accadere d’importante, alla sera mi recai all’adiacente teatro San Carlo, prevenendo il capitano più anziano che, in caso di bisogno, mi avesse fatto chiamare. Ammiravo la splendida e grandiosa sala, i dorati palchetti guerniti di belle ed eleganti signore, e mi compiacevo di poter assistere ad un magnifico spettacolo, come se ne soleva rappresentare in questo gran teatro; la numerosa e buona orchestra cominciava ad accordare gli strumenti, quando, volgendo lo sguardo al fondo della platea, vidi un tenente del battaglione che, alzando la destra, indicava volere parlarmi. Lasciata la poltrona, rincontrai nel vestibolo: “il generale Cialdini, mi disse, la vuole subito al Comando”.

Accorsi e trovai invece il generale Piola-Caselli, che, un poco contrariato per il mio ritardo, mi ricevé con queste parole: “Ella avrà senza dubbio udito parlare del doloroso ed infame fatto di Casalduni e Pontelandolfo; orbene, il generale Cialdini non ordina, ma desidera che di quei due paesi non rimanga più pietra sopra pietra.

Avverta che a Maddaloni vi è un partito che s’agita per insorgere, che a San Lupo il comandante la Guardia Nazionale, essendo proprietario di cave nei dintorni ed impresario di un ponte, ha molto interesse a mantenere l’ordine in quei luoghi; ella potrà avere informazioni dal medesimo, però non se ne fidi di troppo.

Ella è autorizzata a ricorrere a qualunque mezzo, e non dimentichi che il generale desidera che siano vendicati quei poveri soldati, infliggendo la più severa punizione a quei due paesi. Ha ella ben capito?...”.

“Generale, risposi io, so benissimo come si devono interpretare i desiderii del generale Cialdini: ho fatto la campagna della Crimea e quella del 1859 sotto i suoi ordini, e so per prova come egli sia uso a comandare e ad essere ubbidito”; ciò detto m’accomiatai e ritornai al teatro, ove potei ancora godere di due atti degli Ugonotti e del grande ballo I Bianchi e i Neri.

Il battaglione non essendo stato rilevato che l’indomani nel pomeriggio, non potei arrivare a Maddaloni che a notte inoltrata. Informato dal Sindaco e dal comandante la Guardia Nazionale che il partito sovversivo era incapace ad agire alle nostre spalle, mi misi in marcia per Solopaca.

Sul far del giorno il tenente d’avanguardia mi riferiva aver fermata una vettura con persone molto sospette; avvicinatomi a questa e sceso da cavallo, scorsi nell’interno due donne ed a loro dirimpetto un popolano ed un borghese con distintivi di capitano sul berretto, con un pugnale alla cintura ed un fucile fra le gambe. Appena questo mi vide, furibondo scese dalla vettura e mi rivolse queste parole: “Maggiore, io sono capitano della Guardia Nazionale; arrestate quel furfante, quell’assassino, indicando il popolano; egli porta manifesti a stampa ai compagni di Maddaloni per eccitarli alla rivoluzione.” Quindi rivolto a lui, che a bocca aperta, ad occhi stralunati dalla sorpresa, non poteva profferire parola, agitato gli disse: “Ah!... brigante... assassino!... tu mi hai fatto soffrire pene d’inferno... Ebbene sappilo: io mi sono finto borbonico per sapere da te chi eri, cosa facevi, dove andavi; ma oramai per te è finita... Maggiore, colui è un brigante, una spia; fucilatelo, fucilatelo, altrimenti l’uccido io...”

“Calmatevi, dissi allora, e datemi qualche prova di quanto asserite.”

Ed egli pronto: “Le prove sono sull’imperiale della vettura: dentro due ceste, sotto stoffe e nastri, vi troverete i manifesti e 70 piastre”.1

Intimato al popolano di scendere, con lui scendevano le due donne, spaventate, piangenti. Frugati i loro abiti e le ceste, si trovarono infatti le piastre ed i manifesti, in cui, in nome del loro legittimo Sovrano, si eccitavano i popoli di Terra di Lavoro alla rivolta contro gli abborriti Piemontesi!! (Per il partito borbonico l’Esercito Italiano continuò per molto tempo ad essere Piemontese.)

Pensai allora di trarre partito dalla triste condizione in cui si trovavano le donne ed il brigante, per discoprire i loro complici. Imposi loro di palesare coloro cui dovevano essere consegnati gli stampati e le piastre; ma il brigante, tremante, inebetito, persisteva nel silenzio, e le donne, urlando e smaniando a miei piedi, giuravano che il danaro era frutto di mercanzie vendute e che gli stampati erano stati loro consegnati da persona sconosciuta, senza che ne conoscessero il significato, giacché nessun di loro sapeva leggere.

“Insomma, finiamola, dissi; per l’ultima volta, o egli parla o lo faccio fucilare.”

Le intimazioni, le minaccie riuscendo inutili, irritavano maggiormente il capitano, che soggiungeva: “Maggiore, le mie due canne sono cariche a palla: io che ho scoperto questo brigante, questo assassino, io lo ucciderò”; e spianato il fucile, avrebbe fatto fuoco, se col braccio non l’avessi obbligato a rialzarlo con queste parole: “No, egli deve essere fucilato in tutta regola”; e chiamati a me due bersaglieri ed un caporale, ordinai ad alta voce di bendargli gli occhi e, dopo l’atto di contrizione, di far fuoco...

A questo punto, piegate le ginocchia, cadde a terra livido dallo spavento, e portando la destra alle labbra convulse, indicava che non poteva parlare; le donne, disperate, supplicavano, scongiuravano per la Madonna della Carmela di sospendere, poiché, cessato lo stato spasmodico in cui si trovava, esse l’avrebbero costretto a confessare tutta la verità. Stanco oramai di questa lunga ed angosciosa scena, consegnai quel miserabile al vetturino ed al capitano, con ordine di condurlo all’Autorità giudiziaria di Maddaloni e di far fuoco qualora avesse tentato di fuggire. Proseguimmo quindi la marcia, e di buon mattino giungemmo a Solopaca.

Verso sera riprendemmo a marciare per Guardia; strada facendo, i fuggitivi che venivano arrestati ci consigliavano a non avventurarci più oltre, giacché i briganti e gli insorti erano molti, erano tanti assai, ed avevano cannoni, bombe ed avamposti. (A questi sopratutto davano la maggior importanza: chi sa che cosa mai intendessero essi per avamposti!...). Soggiungevano che noi, essendo ben pochi (il battaglione non contava più di 250 uomini), nelle vicinanze di Casalduni, saremmo stati massacrati tutti, come erano stati massacrati i nostri compagni.

Giunti a Guardia, ci venivano ripetute queste ed altre voci allarmanti, che su noi facevano poca impressione, poiché conoscevamo già quanto facili alle esagerazioni fossero gli abitanti di quei paesi, sia per paura, sia per proposito d’ingannarci per favorire i briganti.

L’indomani ordinai la partenza in modo da arrivare nel maggior silenzio possibile verso le 2 dopo la mezzanotte, a San Lupo, villaggio vicino a Casalduni; quivi giunti, feci svegliare il comandante la Guardia Nazionale, che, fattosi poco dopo alla finestra, m’invitava a salire le scale, e venutomi incontro nientemeno che con i distintivi di colonnello sul berretto, passando per un elegante salone, m’introduceva nel suo studio, ove sopra una lunga tavola era spiegata una carta geografica.

Anch’egli agitato parlava d’avamposti, di bombe e di cannoni, e voleva spiegarmi un piano d’attacco che aveva preparato. “Colonnello, l’interruppi allora, niente di tutto questo: so io quel che devo fare; di quanti uomini potete voi disporre? In quanto tempo potete voi riunirli?”

“Ecco, mi rispose, in meno d’un’ora io posso riunire quasi 200 armati.”

“Bene, soggiunsi, mettiamo che siano 60, voi ordinerete loro di occupare questo promontorio, appuntando l’indice sulla carta, quivi, a tempo debito, riceveranno i miei ordini. Il tempo stringe e voglio, prima d’avanzare il battaglione, verificare la posizione occupata dai nostri nemici. Volete voi venire con me?...”

“No, mi ripeté, io mi metterò alla testa dei miei militi ed aspetterò i vostri ordini.”

“Sta bene ed a rivederci.”

Spuntava appena il giorno che il battaglione si trovava schierato di fronte a Casalduni. Immantinenti ordinai di circondare il paese, posto in basso, e di aprire il fuoco di fila fino al mio segnale di cessat-il-fuoc; quindi d’entrare, baionetta in canna, di corsa, compagnia per compagnia per i diversi sbocchi, onde concentrarsi sulla piazza del paese vicino alla chiesa. Le campane suonavano tristemente a stormo, pochi colpi di fucile partivano dai campanili e dai terrazzi.

Dato il segnale di cessat-il-fuoc e di carica alla baionetta, le quattro compagnie irrompevano nel paese senza incontrar resistenza alcuna. Fui sorpreso di trovare le vie deserte ed un silenzio sepolcrale nelle case. I briganti e gli abitanti, avvertiti dell’avvicinarsi dei bersaglieri, s’erano rifugiati sulla cresta d’un monte distante qualche chilometro dal paese. Ordinai allora ad una compagnia di prender posizione di fronte a quel monte, che brulicava di gente, e di far fuoco appena qualcuno avesse accennato di scendere verso noi; in pari tempo mandai avviso al colonnello d’entrare in paese con i suoi militi, che poi, ben contati, non erano più di 40. Era giunto finalmente il momento di vendicare i nostri compagni d’armi, era giunto oramai il momento del tremendo castigo. Chiamati a me gli uffiziali delle tre compagnie che si trovavano riunite sulla piazza, ove s’ergeva anche la casa del sindaco, ordinai loro di far atterrare le porte e di appiccare il fuoco alle case, a cominciare da quella del sindaco.

In breve dense nubi di fumo s’elevavano al cielo e l’incendio divampava in diverse parti del paese. Nella casa del Sindaco già le fiamme, irrompendo...



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