E-Book, Italienisch, 380 Seiten
Wieringa Le avventure di Joe Speedboat
1. Auflage 2014
ISBN: 978-88-7091-375-0
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
E-Book, Italienisch, 380 Seiten
ISBN: 978-88-7091-375-0
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Il giovane Joe Speedboat arriva 'come una meteora' a sconvolgere la cittadina olandese di Lomark, intrappolata tra il lento scorrere del fiume e lo schermo antisuono dell'autostrada al confine con la Germania. Eroe puro e solitario, outsider geniale, con quel nome assurdo che si è dato da sé, Joe è una vera 'forza centrifuga' da cui sorgono idee che mettono in movimento cose e persone, un concentrato di volontà e immaginazione che contagia presto i suoi nuovi amici. Primo fra tutti Fransje, che in seguito a un terribile incidente non può più muoversi né parlare, ma, come un samurai che ha lasciato la spada per la penna, con il solo braccio che può usare scrive la cronaca delle favolose avventure in cui lo trascina Joe. Moderni Huckelberry Finn e Tom Sawyer, i due scuotono il letargico paesino con invenzioni di ogni sorta: bombe, un escavatore per partecipare alla Parigi-Dakar, addirittura un aeroplano per sorvolare un giardino e sbirciare una vicina naturista. E insieme affronteranno il passaggio dal mondo degli dei e degli eroi dell'adolescenza a quello degli uomini. Lieve e profondo, divertente e drammatico, appassionante romanzo di formazione che racconta il superamento dell'innocenza e incarna in Joe Speedboat la volontà di, la tensione verso, la ricerca delle risposte che forse ciascuno può trovare solo dentro di sé, nel tentativo di andare oltre il proprio destino, di osare essere dei 'sognatori'.
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Dormendo così sono invecchiato di un anno. Hanno festeggiato il mio compleanno in ospedale. Ma’ mi racconta della torta con quattordici candeline che hanno mangiato attorno al mio letto. Ho dormito per 220 giorni e, calcolando anche l’inizio della riabilitazione, ci sono voluti più o meno dieci mesi prima che potessi tornare a casa.
È metà giugno. Il miracolo della mia resurrezione – come si ostina a chiamarla ma’ – pesa molto sulla vita del resto della famiglia. Devono nutrirmi, cambiarmi, spostarmi. Grazie a tutti, davvero! ma non riesco nemmeno a tirar fuori quelle quattro parole.
Un giorno i miei fratelli mi portano alla fiera, costretti da ma’. Sam spinge la carrozzella, l’aria aperta mi abbraccia come una vecchia amica. Il mondo sembra cambiato in mia assenza. È come se l’avessero ripulito in previsione di una visita del papa, o qualcosa del genere. Sam mi spinge in tutta fretta per le strade, non vuole che nessuno ci fermi a fare domande su di me. Sento il chiasso della fiera estiva. Le grida, la parlantina sciolta degli imbonitori, le sirene che partono quando qualcuno fa centro – quel chiasso dice tutto. Dice: evviva la fiera!
Dirk ci precede di diversi metri. La sua schiena si vergogna. Prende la via del Sole, supera il Bar del Sole e io e Sam dietro. La fiera si allontana, sento solo i picchi dei rumori, adesso, e l’eco che si spegne. Niente fiera, quindi. Giro la testa verso Sam, che si lancia con me per le strade a una velocità da primato. Arriviamo in fondo al paese, dove c’è la vecchia fattoria di Hoving. Lì ci fermiamo, Dirk ha già passato il cancello. Sono secoli che non vengo qui.
“Dammi una mano!” urla Sam.
Le ruote della carrozzella non vanno nell’erba alta, con l’acetosa e i papaveri. Dirk torna indietro e lo aiuta a spingere la carrozzella nel giardino di Rinus Hoving, che è morto. La fattoria è disabitata e finché i suoi eredi continueranno a litigare su cosa farne resterà così. Mi fanno passare dalla porta del retrocucina. Le piastrelle rosse sono coperte da un tappeto di polvere. Vedo diverse impronte di scarpe. Mi spingono attraverso la cucina e poi lungo un corridoio fino al grande soggiorno, e mi piazzano dietro le porte scorrevoli del mezzanino.
“Mettilo davanti alla finestra”, dice Dirk, “così può guardare fuori.”
“Metticelo tu.”
Sam viene sfiorato da un dubbio. Dirk no. A lui dubbi non ne vengono mai, è troppo stupido per averne.
“Guarda che non possiamo farlo”, dice Sam.
“È colpa sua se è ridotto così, e io non ho nessuna intenzione di andare sulla giostra con lui, se è questo che lei pensa.”
“Lei” è ma’. Non che Dirk abbia alcun rispetto per quello che pensa, solo che ma’ ha un valido strumento a sua disposizione: le mani di pa’. Spunta la testa di Sam.
“Torniamo presto, Fransje, un’oretta e siamo qui.”
Dopo di che scompaiono.
Fantastico, parcheggiato come un mucchio di rottami in una casa in demolizione. Così adesso sai di che cosa sono capaci. Non che prima non lo sapessi, aspettavo solo la conferma dei fatti. I fatti sono sempre meno peggio delle supposizioni. E il fatto è che sono qui bloccato in una casa buia che mi fiata sul collo. Con vista su un davanzale pieno di mosconi morti, ragnatele e gattini di polvere. Le mie paure hanno tutte un occhio aperto, mica le freghi quelle, sono sveglie come grilli! E adesso urlano tutte insieme! Bestie! Pedofili! Spiriti! Insomma: panico. Ma per quanto si può continuare ad aver paura senza che succeda niente? Perché dopo un po’ cominci a sentirti ridicolo e quando vedi che proprio non succede niente, cominci a ridere di te stesso... Lo giuro! Ho sentito sbattere una porta e poi qualcosa che cadeva… Giro la testa, mi costa un tale sforzo da farmi gemere come un deficiente. Come se dovessi abbattere un albero con la fronte. Ed eccolo lì, sulla soglia…
“Ciao”, dice la figura senza muoversi.
Una voce di ragazzo. Guardo contro la luce che viene dalla cucina e vedo solo la sua silhouette ritagliata nel vano della porta. Si avvicina. Un ragazzo, dio sia lodato, nient’altro che un ragazzo. Mi si piazza davanti e mi esamina senza alcun ritegno. Il suo sguardo scivola sulle staffe che mi bloccano i piedi, sul sedile blu – – sui tubi cromati e sulla leva, a destra, con l’impugnatura di legno, che serve a orientare le rotelline anteriori e a trasmettere la forza del braccio alle ruote posteriori, in modo che uno possa manovrare la carrozzella autonomamente. Comprata in crescita, ovviamente. Ma a parte questo, una carrozzella di prima qualità, sempre tenuta al chiuso e tutto quanto. Dicono che un giorno potrò guidarla da solo, ma ora come ora non ho nemmeno la forza di scacciare una mosca.
“Ciao”, ripete il ragazzo. “Sei muto?”
Capelli castani, occhi chiari. Taglio da scodella in testa. Si gira e guarda fuori dalla finestra. Il giardino di Hoving: trifoglio rosso, ortiche e papaveri, fiori che amano farsi ammirare ma poi si offendono così tanto se li raccogli che appassiscono subito.
“Ti hanno parcheggiato qui, eh?” dice con lo sguardo rivolto a Lomark. Le cabine della grande ruota panoramica spuntano sopra i tetti delle case. Annuisce.
“Ho sentito parlare di te. Sei uno degli Hermans, quelli dell’impresa di demolizioni. Dicono che ti ha fatto un miracolo la Madonna. Ma non è che si veda molto, detto senza offesa. Perché se questo è un miracolo, una punizione cos’è, se capisci quel che voglio dire.”
Annuisce di nuovo, con l’aria di essere del tutto d’accordo con se stesso.
“Mi chiamo Joe Speedboat”, aggiunge poi. “Sono arrivato da poco. Abitiamo nell’Achterom, ovvero nel Retro, lo sai dov’è?”
Mani larghe, dita corte. Piedi anche larghi, su cui sta piantato come un samurai, argomento che per caso conosco un po’, i samurai. Il , per esempio, la morte scelta per evitare il disonore, in cui ti squarci il ventre con una spada corta, dal basso verso l’alto, da sinistra a destra. Dalla lunghezza del taglio si misura il coraggio del samurai. Ma non era questo il punto.
Adesso capisco che cosa manda in bestia Dirk, perché questo Joe c’è l’ha scritto in faccia chiaro come il sole: lui non ha paura. Ehi, Joe Speedboat, bombarolo svegliagente – con i tuoi pantaloni tagliati e i tuoi sandalacci di cuoio indurito, dove sei stato finora?
“Aspetta, vado a prendere una cosa”, dice.
Scompare dal mio campo visivo, sento che sale una scala e poi i suoi passi sopra la mia testa. Che cosa c’è lassù, il suo laboratorio? Dove fabbrica le sue bombe e roba simile? C’è la sala comandi di Joe Speedboat? Quando scende ha in mano un timer da lavatrice e due pile Gatto Nero. Si siede sul davanzale e armeggiando con aria concentrata collega i poli delle due pile. Poi monta un dente d’arresto e posiziona il timer sullo zero. Solleva gli occhi.
“C’è andata male al trasloco”, dice con tono grave. “Un incidente. Mio padre è morto.”
Poi si china di nuovo sul suo lavoro.
La prima volta che Lomark aveva sentito parlare di Joe e della sua famiglia era stato quando il loro Scania aveva centrato il monumentale palazzo con i frontoni a gradini della famiglia Maandag, in via del Ponte. Era praticamente entrato con tutto il didietro nel soggiorno, dove Christof, il figlio dei Maandag, stava giocando con un videogame alla tv. Christof non si era mosso di un pollice. La prima cosa che aveva visto, dopo un po’, era un fanale che spuntava come un occhio inferocito nel vortice di polvere e macerie. Ci aveva messo parecchio prima di capire che gli era entrato un camion in casa. Fino a quel momento si era sentito solo il della pallina del videogame che rimbalzava sullo schermo.
C’era il tronco di un uomo riverso sulla griglia del camion. Le braccia penzoloni, come uno spaventapasseri piovuto dal cielo. Il resto del corpo era incastrato nella cabina, palesemente morto. Ma c’era ancora vita lassù: a poco a poco si aprì la portiera di destra e Christof vide scendere un ragazzo di dodici, tredici anni, più o meno come lui. Camicia d’oro, pantaloni alla zuava e un paio di sandali ai piedi, l’aria di uno che ha i genitori un po’ svitati. Il ragazzo si guardò attorno come se niente fosse, mentre gli piovevano addosso i calcinacci.
“Ciao”, disse Christof con il joystick ancora in mano.
L’altro scosse la testa come per scacciare uno strano pensiero.
“Ma chi sei?” gli domandò a quel punto Christof.
“Mi chiamo Joe”, rispose lui. “Joe Speedboat.”
E fu così che Joe Speedboat arrivò come un meteorite nel nostro paese, dove abbiamo un fiume che d’inverno esce dagli argini, una rete fissa su cui corrono le voci e un gallo nello stemma comunale: il gallo che mille anni fa, o giù di lì, ricacciò dalle porte di Lomark un branco di Normanni, mentre i nostri antenati, dov’erano? in chiesa a pregare! “Il gallo che tenne duro”, come diciamo noi qui. Insomma...




