Westerman | Noi, umani | E-Book | sack.de
E-Book

E-Book, Italienisch, 309 Seiten

Reihe: Narrativa

Westerman Noi, umani


1. Auflage 2022
ISBN: 978-88-7091-921-9
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

E-Book, Italienisch, 309 Seiten

Reihe: Narrativa

ISBN: 978-88-7091-921-9
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



Nel 2003, sull'isola di Flores, fu portato alla luce lo scheletro di un ominide destinato a riaccendere il dibattito sulle origini e l'evoluzione della nostra specie: l'Homo floresiensis risultava infatti alto poco più di un metro e dotato di una massa cerebrale estremamente ridotta. Una nuova specie, oppure un passo indietro nell'evoluzione? O forse un caso di nanismo, in una particolarissima area geografica dove sono state rinvenute ossa di rettili e cicogne giganti e di elefanti nani? Stuzzicato nel suo formidabile fiuto per le grandi storie, Westerman si immerge in un'indagine che lo porta dalle sponde della Mosa alle isole dell'Indonesia, sulle tracce dei nostri antenati. Presto, però, la questione delle origini si rivela elusiva, troppo disputata tra grandi paleontologi e scuole di pensiero, con i dibattiti scientifici spesso viziati da rivalità personali, prestigio internazionale e rancori postcoloniali. E la domanda su chi fosse l'uomo di Flores lascia spazio a interrogativi più disturbanti e urgenti: cosa ci rende geneticamente umani? Come è cambiata nel tempo la risposta a questa domanda, dalla paleontologia degli esordi alle tecnologie di oggi? Quanto il pensiero scientifico, con le sue pretese di oggettività, è invece un'inconsapevole vittima della storia? Dopo anni di viaggi e ricerche, intervistando esperti, leggendo diari dimenticati e testi scientifici, fino a partecipare a scavi e farsi mappare il genoma, Frank Westerman racconta delle nostre origini e di chi le ha studiate, favole avventurose di pionieri, autodidatti, luminari di una scienza forse troppo umana, ma non per questo meno importante e grandiosa.

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Prologo


Antoine de Saint-Exupéry, trad. it. di Marina Di Leo, Sellerio, Palermo 2015

Il lunedì di Pentecoste del 2012 il monomotore Cessna Skyhawk, numero di coda PH-SJK, inizia la sua discesa sul paese di Ouddorp, nell’Olanda meridionale. Il pilota si tuffa per un minuto intero sotto la coltre di nubi per prendere visione della linea di costa e della rotta che ha tracciato. In lontananza dal mare si alzano banchi di foschia: scivolano sulla spiaggia con un movimento fluido, come un tempo i primi animali marini devono essere approdati sulla terraferma.

Poche ore prima, alle 10.22, l’Istituto meteorologico nazionale ha diramato l’avviso di aria umida in arrivo da nord-ovest. La giornata si annuncia soleggiata, «ma con possibilità di foschia lungo la costa e, in diverse zone, anche di nebbia».

Il genere di foschia che il pilota vede formarsi davanti ai suoi occhi è un fenomeno che si verifica in media ogni due anni. Si chiama «fiamma di mare» e deve il suo nome all’illusione ottica per cui si ha l’impressione di vedere i frangenti in fiamme: le onde non si rompono normalmente, ma evaporano come pentole d’acqua fumante.

Alle 11.19 il piccolo aeroplano raggiunge il punto più basso della sua discesa: 450 piedi. Un piede è lungo come una grande scarpa, una scarpa numero 47. Per avere un’idea dell’altitudine del Cessna in quel momento, fate 450 passi punta contro tacco, misurate la distanza percorsa, immaginate una scala altrettanto lunga appoggiata alle nuvole e salitela fino in cima. Un minuto o poco più e siete arrivati.

Subito dopo aver memorizzato il paesaggio, il pilota solleva di nuovo il muso dello Skyhawk al cielo, e con il motore che borbotta esegue una virata verso il mare aperto nel tentativo di aggirare la nebbia. Sono le 11.20 (un minuto dopo la discesa sotto le nuvole) quando dalla radio di bordo il PH-SJK prende contatto con la torre di controllo di Rotterdam. Il pilota chiede il permesso di atterrare con rotta di avvicinamento HOTEL, cioè virando sopra la foce della Mosa e del Reno per poi proseguire in direzione est lungo il Nieuwe Waterweg, esattamente come le petroliere e i cargo, solo qualche centinaio di metri più in alto.

La torre di controllo si chiama PAPA. A Rotterdam la pista di atterraggio è una striscia d’asfalto che si arroventa sotto il sole. Non c’è, letteralmente, l’ombra di una nuvola.

«», risponde il controllore di volo in servizio a quell’ora. Ordina al pilota di salire a 1500 piedi e di rimettersi in contatto una volta arrivato sopra Hoek van Holland. Vista la rotta, la velocità di crociera e la posizione sul radar, PH-SJK dovrebbe trovarsi al punto concordato tra cinque minuti. Ma PH-SJK non chiamerà mai più la torre. Né quella di Rotterdam, né nessun’altra.

Un abitante di Ouddorp è l’ultimo ad avvistare con i suoi occhi il Cessna bianco e rosso: l’uomo vede la coda del piccolo aereo dissolversi nelle nuvole sopra il margine delle dune.

In quello stesso momento, a pochi minuti di volo a nord di Ouddorp, un gruppo di genitori e bambini si raduna per fare un giro sul FutureLand Express, un robusto trenino formato da un trattore e due carri adattati a vagoni. I passeggeri sono eccitati perché tra poco saranno tra i primi a calpestare un suolo vergine: solo in pochissimi hanno già messo piede sulla Maasvlakte 2, la «Piana della Mosa 2». È un piccolo passo quello che compiranno per saltare giù dal treno e atterrare su questa nuova terra creata in mezzo al mare, eppure la sensazione è di essere alla vigilia di un evento solenne, che emoziona tutti.

Il programma prevede che il FutureLand Express parta alle 12.00 da una banchina di lastre di cemento al limite dell’area portuale. Il cielo è terso, ma verso mezzogiorno si rannuvola. Si leva una brezza leggera, la temperatura scende. Le turbine eoliche a tre pale della Greenchoice ruotano solitarie nella nebbia che sale, mescolando l’aria salmastra con i fumi delle fabbriche del porto.

La Maasvlakte 2 è stata inaugurata all’inizio della settimana con il fumo azzurro dei fuochi d’artificio, e martedì 22 maggio è stata aperta al pubblico anche la spiaggia circostante, con un brindisi di champagne. L’arenile è delimitato da un cordone di dune alte quattordici metri, dietro cui si allungano le distese di sabbia delle future banchine.

Visto che la messa a dimora dell’ si fa desiderare, per ora la Piana della Mosa 2 assomiglia al Sahara.

In questo lunedì di Pentecoste la nebbia fredda fa rincasare i bagnanti prima del previsto. Il giro del FutureLand Express è confermato, nonostante poco prima della partenza la visibilità si sia ridotta a cinquanta, massimo cento metri. Quella mattina né il conducente del trattore né i suoi passeggeri sentono il rombo di un aereo a elica. Solo le strida dei gabbiani.

La scomparsa di un aereo in uno dei Paesi più densamente popolati al mondo è un evento straordinario. Volare non più: solcare il cielo è ormai considerato una seconda natura. Un anno dopo, la Commissione d’indagine per la sicurezza pubblica un rapporto di 151 pagine intitolato : a differenza delle navi nel Triangolo delle Bermude, il Cessna Skyhawk non è scomparso per sempre, ma solo per 301 minuti. Cinque ore dopo l’ultimo contatto con Rotterdam PAPA, il relitto dell’aereo viene ritrovato 800 metri più in là dell’ultima fermata del FutureLand Express, sulla banchina in costruzione tra il Porto Principessa Amalia e il Porto Principessa Alexia. Il piccolo monomotore, ammaccato e senza ali, giace inclinato a quarantacinque gradi accanto al cratere provocato dallo schianto. Come un uccello andato a sbattere contro un vetro. La lancetta del tachimetro è ferma su 118 nodi, 219 chilometri all’ora.

Il corpo del pilota cinquantenne è riverso sulla cloche. L’uomo caduto dal cielo è privo di sensi, ma respira ancora. Non riprenderà più conoscenza e due settimane dopo morirà in ospedale. Lo schermo del suo telefonino mostra una serie di chiamate rimaste senza risposta. Nella sua borsa da pilota c’è una per il volo di avvicinamento all’aeroporto di Rotterdam. Su questa carta aeronautica (del 2008) la linea di costa risulta 3,5 chilometri più a est rispetto al luogo dell’impatto.

Anche le squadre di soccorso hanno carte ormai superate dalla realtà che avanza. Il Cessna sarebbe precipitato in mare, se non fosse che la linea di costa è stata modificata. E al posto dell’acqua c’è la terraferma. Ma inserendo le ultime coordinate note del velivolo (trentasei secondi all’impatto), sugli schermi dei computer dell’aeroporto di Rotterdam compare una posizione sopra il mare. E anche se c’è scritto RECUPERO DI TERRA IN CORSO, il colore della carta è azzurro (acqua).

«L’abbiamo, crediamo…[] visto cadere in mare», comunica un controllore di volo alla Guardia Costiera. Al che cinque motovedette escono in ricognizione.

La Maasvlakte 2 è un castello di sabbia nazionale, con i due porti intitolati alle principesse reali come fossati. La sabbia proviene da una cava marina: le pompe delle draghe l’hanno aspirata da un banco a circa nove chilometri dalla costa. Nell’era glaciale quel banco era terraferma, e su quella pianura battuta dal vento, tra quelle che oggi si chiamano Gran Bretagna e Olanda, si aggiravano ippopotami e iene, mammut e rinoceronti, leoni delle caverne ed elefanti della foresta.

Scavando il fondale del mare del Nord, noi umani facciamo senza volerlo una cosa pazzesca: riportiamo la preistoria in superficie. Certo, le draghe vanno a caccia di sabbia e ghiaia da far piovere come «luccicanti arcobaleni di fango» là dove bisogna creare terreni. Ma la loro pesca accidentale è costituita da denti di mammut, corna di alci, feci di iena pietrificate, resti di fauna preistorica.

In fondo, ai passeggeri del FutureLand Express non servono più di due metri di visibilità, quanto basta per vedere la sabbia sotto i loro piedi. Sono il genere di persone che perlustra le spiagge alla ricerca di quello che il mare porta a riva. Non casse di whisky gettate fuoribordo e neppure conchiglie, ma fossili.

Il primo premio sarebbe il cranio di un ominide. Più a sud, lungo la costa della Zelanda, è già stato rinvenuto il...



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