E-Book, Italienisch, 343 Seiten
Welty Nozze sul Delta
1. Auflage 2020
ISBN: 978-88-3389-199-6
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
E-Book, Italienisch, 343 Seiten
ISBN: 978-88-3389-199-6
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
E? il settembre del 1923 quando la piccola Laura, da poco orfana di madre, sale a bordo del treno che da Jackson la portera? a Shellmound, la grande piantagione sul Delta del Mississippi dove vive gran parte della famiglia materna e dove sono in corso i preparativi per le nozze della secondogenita diciassettenne dei Fairchild, Dabney, che - per amore o per capriccio - sta per sposare il soprintendente della piantagione, un uomo rude, con il dippio dei suoi anni e per giunta di classe inferiore. Laura non può che osservare incantata la grande casa traboccante di vita e di affetto, di innumerevoli zii, zie e cugini, di servitori anonimi ma onnipresenti, in cui riecheggiano le storie di famiglia e le voci dei fantasmi degli antenati mai tornati dalla guerra. In questo mondo fatto di rituali antichi e piccole e grandi gelosie, dove le donne sono tiranne amorevoli e gli uomini sono creature quasi mitologiche, condannati a essere venerati e scrutati come divinità, la violenza irrompe come un lampo fugace ed è dimenticata un attimo dopo, gli eventi accaduti hanno la stessa rilevanza di quelli scampati o soltanto sognati, e la storia non è che un'eco distante, la scenografia su cui si dipana l'universo privato dei Fairchild. Con una prosa limpida, fuori dal tempo, Eudora Welty ci racconta la fine di un'epoca, costruendo un mosaico di storie che hanno il profumo e il ritmo pigro del più profondo e autentico Sud, un mondo che appare al tempo stesso immutabile e dolorosamente transitorio.
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2
I
Il pomeriggio successivo, Dabney scese le scale quasi al ritmo della canzone che Mary Lamar Mackey stava accennando nella sala da musica: «Drink to Me Only with Thine Eyes». «Oh, sono uno straccio», sospirò distrattamente.
«Hai fatto colazione? Poi corri dalle zie», le disse la madre, fermandosi nell’atrio e puntandole contro un coltello d’argento. «Stai per sposarti e le zie vogliono vederti». Con «le zie» si riferiva alle due sorelle nubili del padre che vivevano al Grove, la vecchia casa sul fiume, zia Primrose e zia Jim Allen, e non a zia Tempe che aveva sposato zio Pinck, o a zia Rowena e zia Annie Laurie, che erano morte. «Ho tutti i negri che papà mi ha assegnato perché si occupino dell’argenteria e degli orribili prismi dei lampadari, e non voglio anche te tra i piedi».
«Mi hanno visto la domenica che sono venute a pranzo», ribatté Dabney, ancora sui gradini.
«Ma quella domenica non eri fidanzata... o comunque non l’avevi annunciato».
Lo sguardo di Dabney si adombrò, in una sorta di lutto compiaciuto.
«Mi faranno un milione di domande».
«Posso andare anche io?», chiese subito India. Era seduta sullo scalino più basso, intenta a finire un cappello di foglie. «Non ho molto da fare».
«Forza, allora», disse Dabney. Scese di corsa e si chinò sulla sorellina sorridendole come forse non faceva da anni.
«Vengo anche io! So saltare, io!» Bluet arrivò all’istante, saltellando con una scarpa sì e una no, i capelli luminosi che svolazzavano. In un angolo, la piccola Sudie di Roxie che doveva «sorvegliarla» si allungò mansueta sul pavimento, reggendosi il mento con la mano. Little Battle sfrecciò per casa senza fermarsi un attimo, se non per sculacciare forte Dabney. Mary Lamar Mackey chiese trasognata: «Dove andate?»
«Adesso smettetela di tampinare Dabney e lasciatela andare», ordinò Ellen. «No, Dabney, stavolta neanche Ranny. Finirete per bighellonare e lo farai cadere da cavallo, e Primrose e Jim Allen saranno costrette a invitarvi a cena».
«Faranno il soufflé di mais?», strillò India.
«Ora basta, India. Se proprio devi andare, porta quel barattolo di melassa, e magari vi do anche un altro assaggio di distillato di more, aspettate che lo travaso».
«Mettiti questo, Dabney». India, tenendolo sugli indici, porse il cappello di foglie alla sorella, che indossava un vestito nuovo.
«Oh, non potrei mai! Che ne dici di metterlo tu?», rispose Dabney, calzando il cappello in testa alla sorella. Nello sguardo tranquillo che India le lanciò si lesse che Dabney era diventata terribilmente schizzinosa. La piccola indurì la mascella, Dabney si accigliò e una delle spine di rosa la punse.
«Assicuratevi di consegnare a Jim Allen il sacco che ho lasciato sulla porta», gridò la madre dal portico sul retro. «Oh, ma dov’è il mio distillato?»
«Vi’let! Vi’let!»
«Portate a zia Primrose la mia stoffa scozzese e il figurino per la mantella», gridò Shelley da sotto la casa, dove si era infilata in cerca della chiave per caricare l’orologio che era convinta fosse caduta in una fessura del pavimento. «Nella stanza di mamma! Vi’let!»
Dabney si corrucciò per un attimo: Shelley era più grande di un anno e ora che lei stava per sposarsi pareva passare tutto il tempo nei posti più assurdi. Avrebbe dovuto prepararsi per il suo viaggio in Europa. Sarebbe partita nel giro di un mese. Diceva che «proprio non ce la faceva» a partecipare agli incontri di bridge, perché erano «solo sessanta ragazzette che si riuniscono in una casa da tutto il Delta per ridacchiare e basta». Riusciva a malapena a partecipare a qualche ballo. «Shelley, vieni fuori! Mamma, sei sicura che vogliano tutti questi bulbi di giacinto?»
«Sono cipolle! India, hai detto a Little Uncle di portare fuori Junie e Rob?»
«Aspetta un attimo, India», la bloccò Dabney. L’afferrò per la gonna che penzolava. «Sei sciatta... è proprio l’età della sciatteria, la tua, non ci si può fare niente». Un altro sospiro, poi scese leggiadra i gradini. «Le cipolle portale tu, io stasera devo vedere Troy».
«Oh, accipicchia», ribatté India.
«Dovremmo restituire quella bomboniera... ma non si può mica mandarla vuota», disse Ellen con voce flebile.
Little Uncle e Vi’let le issarono a cavallo e sistemarono ceste e sacchi in modo che non cadessero. «Non capisco perché non andiamo in macchina», disse Dabney, trasognata. Uscirono dal cancello.
«Ci toccherà vedere Troy, a me e a tutta la famiglia, Troy Troy Troy, ogni sera oltre che ogni giorno per il resto della vita? Troy odia le cipolle? L’ha dichiarato apertamente? Odia le pesche? E i fichi? E i fagioli dall’occhio?»
«Tanto abiteremo lontano», rispose Dabney, ancora trasognata.
Era una giornata serena, scintillante nella luce del pomeriggio. La quinta splendida settimana, con l’eccezione di un solo giorno di cielo cupo. La massa dorata degli alberi ombrosi pareva danzare in lontananza, ondeggiando sotto il cielo color prugna. Sui due lati degli zoccoli dei cavalli il cotone brillava come stelle. Poi un cardinale rosso volò via dal nido nella piantagione. In alto, in un cerchio ininterrotto intorno alla ruota del mondo piatto, aleggiavano le nuvole argentee, con i bordi che si fondevano e sfumavano nel rosa e nell’azzurro del cielo. Le teste delle ragazze e dei cavalli emergevano come fossero tutti nuotatori. Sparsi nelle vicinanze e più in là, i carri di cotone dipinti di verde spiccavano nel chiarore, alti sulle ruote e carichi di bianco come se raccogliessero nuvole. Lungo la strada, i negri si alzavano e lanciavano sorrisi abbaglianti agitando le braccia: sapevano che la signorina Dabney quel sabato avrebbe sposato il signor Troy.
Un uomo su un morello incrociò il loro sentiero ad angolo retto, lungo il Mound Field. Salutò con il braccio teso come un fucile contro il cielo: era Troy, in groppa a Isabelle. Era seguito da una lunga scia di polvere, rosata nella luce. Dabney alzò la mano. «Saluta, India».
Strano, ma quella era ancora la distanza dalla quale lui la affascinava di più. Proprio lì, all’altezza del tumulo indiano, l’aveva notato per la prima volta l’estate precedente, mentre cavalcava insieme a India in sella a Junie e Rob. (E poi, in autunno, sarebbero scappati a Marmion per sedersi sotto la luna accanto alla vecchia casa e al fiume, stuzzicandosi e scherzando.) Guardò con gioia il tumulo indiano con in cima gli alberi, simile a una barca con le vele spiegate sul mare di cotone, come fosse un punto di riferimento. Anche da quella distanza si capiva che lui non era un Fairchild e la cosa la riempiva ancora di uno stupore germogliato spontaneamente da un sussiego svogliato, che rendeva difficile pensare a lui quando si avvicinava. Troy, privo di parlantina, era stato oggetto di storielle e canzonature a tavola, poi, di colpo, era diventato vero. Chiuse gli occhi. Vide una luce accecante, o forse quell’intensità dietro le palbebre tremolanti era una nuvola scura? Cavalcò a occhi chiusi. Troy Flavin era il soprintendente. Si diceva che i Fairchild non sarebbero sopravvissuti a un simile evento, ma ormai parevano tutti troppo impegnati per pensare a morire.
Aveva il doppio della sua età, ma era un puro caso che trentaquattro fosse due volte diciassette. Più avanti le cose si sarebbero sistemate. Quando lei avesse avuto venticinque anni, lui non ne avrebbe avuti cinquanta! «Probabilmente sarà tutto come prima», aveva sentito dire alla madre. «Dabney non se ne sta andando dal Delta, come Mary Denis Summers». Avrebbero avuto Marmion, e Troy avrebbe gestito le due tenute. «Marmion non può mica passare a Maureen!», aveva gridato lei, la prima volta che l’aveva chiesta. «Certo, non legalmente, ma di fatto», aveva ribattuto il padre, cui la faccenda era parsa complicata. Allora Dabney si era rivolta a Maureen: «Senti, tesoro, mi regali casa tua?» Erano mezzo addormentate sull’amaca dopo pranzo. Maureen si era sollevata per guardarla, il viso vicinissimo al suo, e aveva scelto di aprirsi in un sorriso radioso. «Sì», aveva risposto, «ti legalo casa mia-la e dai anche un molso alla mia mela-la». Oh, le cose potevano essere tanto semplici! Virgie Lee, la madre di Maureen, non aveva tutte le rotelle a posto e non avrebbe mai posseduto Marmion. Sarebbe stato più divertente chiedere il Grove a George, e vedere come reagiva... ma ormai era fatta, e il Grove non era prestigioso come Marmion. In risposta al racconto di come lei l’aveva ottenuta, Troy si era limitato a dare una pacca alla sella. Dabney era arrossita: di sicuro era un complimento! Troy parlava poco.
«Si sentono solo cose belle su Troy», le diceva la gente, neanche fosse stato invisibile a tutti tranne che a lei! Ne era tanto orgogliosa (calcolò che a quel punto fosse esattamente all’altro lato del tumulo), una nube scura e temporalesca, la sua lentezza che brontolava e la sua risata che guizzava in lampi luminosi; le «cose belle» parevano ridicole, quasi si stesse parlando di un cugino o di un amico. Più avanti ne avrebbero riso insieme. Zio George l’avrebbe spalleggiata. Si sarebbe comportato come se non ci fosse da parteggiare per nessuno, il che sarebbe stato anche meglio, sarebbe stato perfetto... sempre che non si fosse schierato dalla parte di Troy. Troy gli piaceva...
«Ecco Pinchy, in piena conversione», disse India, per costringerla ad aprire gli occhi. In effetti Pinchy, l’aiutante di Roxy, vagava tra...