Weddle | Se si muovono... falli secchi! | E-Book | www2.sack.de
E-Book

E-Book, Italienisch, 833 Seiten

Reihe: Minimum Fax cinema

Weddle Se si muovono... falli secchi!

Vita di Sam Peckinpah
1. Auflage 2018
ISBN: 978-88-7521-997-0
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

Vita di Sam Peckinpah

E-Book, Italienisch, 833 Seiten

Reihe: Minimum Fax cinema

ISBN: 978-88-7521-997-0
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



Sam Peckinpah è forse il più grande genio misconosciuto dell'epoca d'oro di Hollywood: un personaggio leggendario, perennemente sul filo del rasoio, celebre per i suoi eccessi e per le liti furibonde con i produttori, in difesa dell'originalità del proprio approccio creativo. Attingendo a una mole impressionante di fonti e di testimonianze, David Weddle ne ricostruisce la vita e la carriera: dall'esperienza nei marines all'approdo al neonato e rutilante mondo della televisione, dove affina il mestiere di regista e sceneggiatore, fino all'esplosione come nuovo maestro del western, coronata da capolavori come Sfida nell'Alta Sierra, Il mucchio selvaggio e Pat Garrett e Billy Kid. E ancora le incursioni nel noir, le controversie e le accuse di criptofascismo che accompagnarono l'uscita di Cane di paglia, la collaborazione con grandi attori come Charlton Heston, Steve McQueen e Dustin Offman, l'incontro con Bob Dylan. Ne emerge il ritratto composito di un personaggio scomodo e larger than life, ma anche di un'epoca che rimane tra le più creative e intense nella storia del cinema e della cultura americana.

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1 «OH, UN ALTRO PECKINPAH NERO!»


Nel suo ultimo periodo, Sam Peckinpah amava dare ai suoi intervistatori l’impressione che la sua infanzia fosse stata proprio come una pagina tratta da un western di Louis L’Amour. Discettava sulla durezza del crescere in un ranch di bovari nella California centrale degli anni Trenta. Raccontava storie nelle quali radunava mandrie, legava e marchiava manzi, domava cavalli imbizzarriti, cacciava cervi e controllava le trappole nell’Alta Sierra, attraversava corsi d’acqua con nomi come Coarsegold, «oro grezzo», dove vecchi prospettori brizzolati passavano ancora al setaccio la sfuggente polvere gialla; o raccontava dei saloon in selvagge e fumose città di frontiera come North Fork, dove gli uomini tracannavano bicchierini di torcibudella e risolvevano ancora le loro incomprensioni estraendo rivoltelle da sei colpi.

Descriveva un’infanzia rozza, turbolenta, eppure fantasticamente eccitante. Ma solo parzialmente vera.

Sam Peckinpah era figlio di uno dei più illustri avvocati di Fresno, in California. Crebbe in un ranch dallo stile suburbano, con ventiquattro curatissimi acri di proprietà come cortile di giochi. Durante la Grande Depressione, mentre migliaia di sfollati si accampavano sotto gli alberi sul ciglio della strada, al giovane Sam non mancava alcun bene materiale. Aveva una stanza da letto tutta per sé, piena zeppa di tutti i giocattoli che il suo cuore potesse desiderare. Frequentò una scuola esclusiva e quando alle superiori si iscrisse a una scuola pubblica fu subito riconosciuto come «il ragazzo ricco», con la sua Ford Model A e i vestiti nuovi alla moda, mentre i suoi coetanei dovevano arrangiarsi con cose di seconda mano.

Tuttavia, i grandi racconti che intesseva per i giornalisti non erano neppure totali montature. Il raffinato stile di vita borghese in cui era cresciuto non era che uno sviluppo recente, per i Peckinpah. Solo una generazione prima, il nonno di Sam, Charlie Peckinpah, aveva attraversato le Grandi Pianure con i suoi genitori in un carro coperto. I Peckinpah guadarono fiumi, si trascinarono attraverso deserti e paludi, si arrampicarono su pericolosi passi di montagna e resistettero agli scontri con gli indiani e i banditi.

Negli anni Settanta dell’Ottocento Charlie rivendicò la proprietà di una montagna alta 1800 metri nell’Alta Sierra, a sud dello Yosemite, in California. Insieme ai suoi fratelli fondò la Peckinpah Lumber Company in un pascolo sulla sommità e nel 1885 aveva già trainato giù dalla montagna quasi diecimila metri quadri di legname.

I parenti materni di Sam, i Church, erano anch’essi pionieri instancabili. Moses J. Church, prozio di Sam, scavò il primo grande canale di irrigazione della California centrale. Il Fancher Channel portava acqua dal Kings River, sulle colline della Sierra, fino alle pianure venticinque chilometri più a sud, trasformando un deserto in un fruttuoso terreno di coltura. Quando i coloni conversero a Fresno, i baroni del bestiame che volevano preservare gli spazi aperti contrattaccarono con i loro sicari. Tentarono di sparare a Moses Church tre volte, ma Moses riuscì sempre a sfuggire ai suoi assalitori.

I tentati omicidi non disturbarono particolarmente Moses; sapeva che erano solo le ultime convulsioni di dinosauri agonizzanti. I baroni del bestiame erano spacciati esattamente quanto lo erano stati gli indiani Mono che avevano occupato quella terra prima di loro. Moses aveva scoperto un’arma infinitamente più potente della rivoltella o del Winchester: l’acqua. La portò dove non ce n’era. Al sopraggiungere degli anni Ottanta dell’Ottocento, più di mille miglia di canali avevano trasformato la valle in campi di grano, in vigneti, in piantagioni di fichi, di peschi e di noci. Moses diede i natali al più grande sistema di irrigazione del mondo.

Sam Peckinpah crebbe ascoltando tutti quei racconti fuori dall’ordinario sui suoi antenati, e costruendo nella sua immaginazione una visione grandiosa e idealizzata del Selvaggio West, una dimensione mitica di cui desiderava far parte ma che il tempo aveva sottratto per sempre alla sua portata.

Suo nonno materno, Denver Church, visse il momento della caduta della frontiera al volgere del secolo, ma cambiò proprio come cambiavano i tempi, e si arricchì. In gioventù, era stato un cacciatore e un trapper, un mandriano e un prospettore part-time, ma nel 1895 si iscrisse a Giurisprudenza e si unì ai promettenti ranghi dei nuovi professionisti. Divenne un procuratore distrettuale, un giudice della Corte Suprema e infine un membro del Congresso degli Stati Uniti, per il distretto che comprendeva la contea di Fresno.

Eppure Denver ricordava con nostalgia e rimpianto il tempo della sua giovinezza, quando un uomo poteva osservare dalla cima di una montagna la grande, continua espansione di un continente ancora non incatenato da recinzioni e cavi del telegrafo. Così acquistò un ranch sui monti della Sierra Nevada, appena oltre l’ombra della Peckinpah Mountain. Più di 1500 ettari di ondeggianti praterie – lo chiamavano tutti il vecchio Dunlap Ranch e quel nome sarebbe rimasto. Divenne il rifugio di Denver, la sua via di fuga dal ventesimo secolo, un’impolverata capsula del tempo dove il passato sembrava quasi vivere e respirare di nuovo. Ogni volta, tra un periodo e l’altro a Washington, restava lì per settimane e mesi a cacciare, piazzare trappole e occuparsi di un paio di centinaia di bovini.

Anche Sam Peckinpah visse lì, quasi ogni estate della sua infanzia e molti weekend. Suo nonno, suo padre e il suo fratello maggiore gli insegnarono a cacciare, a cavalcare e a radunare le mandrie. Ebbe l’opportunità di ricreare le sue fantasie, di avere un assaggio di quel mondo perduto di cui i grandi parlavano tanto. E fu così che scoprì la crudele realtà nascosta dietro il mito romantico. I suoi antenati erano stati uomini brutali. Dovevano esserlo per forza, se volevano costruirsi un posto in quella terra selvaggia. Se uno dei suoi ragazzi faceva qualcosa che Charlie Peckinpah disapprovava, lui non ci pensava un attimo a sbatterlo per terra con il dorso della mano. Se un cane ficcava il naso umido sulla faccia di Denver Church mentre era occupato, Denver gli dava una bella lezione, spegnendogli una sigaretta sul muso. «Così impara».

La differenza tra il mito romantico e la realtà del Selvaggio West provocò reazioni complesse nel giovane Sam Peckinpah. I suoi sentimenti profondamente contrastanti verso entrambi sono ciò che dà ai suoi western un’incredibile carica emotiva.

La madre di Sam, Fern, nacque da Denver e Louise Church nel 1893. Divenne una ragazza formosa, col viso rotondo della madre e spessi capelli lunghi di colore ramato. La figlia del membro del Congresso aveva molti bramosi pretendenti e la sua adolescenza fu un turbine di cene, balli e picnic. Riempì le pagine del suo diario con lunghe descrizioni degli abiti che indossava a questi eventi e giudizi sui suoi vari pretendenti.

Ma dietro l’allegra facciata fu, fin dal principio, una ragazza problematica. Sua madre era quasi morta dandola alla luce e, mentre Louise era in convalescenza, Denver allattava la figlia neonata con il biberon, le cambiava i pannolini e la cullava tra le sue braccia per farla dormire. Per tutti gli anni a venire, Denver stravide e si fece in quattro per la sua preziosa «Figlioletta». La sua cieca devozione guastò la ragazza. Sviluppò un bisogno disperato di essere sempre al centro dell’attenzione, un’ossessione che l’avrebbe imprigionata per il resto della sua vita. L’immagine della fragilità di Fern che Denver aveva coltivato divenne una realtà; i diari dei suoi genitori e le prime lettere contengono continui riferimenti ai mal di testa e ai mancamenti di Fern.

A diciannove anni Fern si innamorò follemente di un farmacista di Long Beach, Bob Nichols. Denver sviluppò un’immediata avversione nei confronti dell’imbroglione spacciapillole di città. Agli occhi di Denver chiunque non cavalcasse, non cacciasse e non lo facesse con gusto era un debole, e non c’era nulla che Denver odiasse in un uomo più della debolezza. Trattava il suo stesso figlio, Earl, con freddezza e a volte con aperta ostilità perché lo credeva troppo timido.

In una lunga lettera a sua figlia, Denver tentò di dissuaderla dallo sposare Nichols, ma promise di lasciare a Fern la decisione finale. «Sono sempre stato contrario ai genitori che cercano di scegliere i compagni per i loro figli – sono dell’opinione che meno si inseriscono in queste faccende, meglio è».

Ma mentiva. Secondo i figli ancora viventi di Fern, suo padre agì alle sue spalle o pagando il giovane pretendente o minacciandolo, o più probabilmente entrambe le cose. Qualunque sia stato il metodo, Bob Nichols, l’amore della vita di Fern, un giorno sparì improvvisamente per non tornare mai più. Quando lo shock iniziale finì, Fern cercò di fare buon viso sostenendo che tutto era andato per il meglio, che forse lei e Bob non erano davvero fatti l’uno per l’altra. Ma quarantacinque anni dopo confessò i suoi veri sentimenti nel suo diario: «Amavo mio padre con tutto il cuore. Condividevamo una meravigliosa vicinanza e intesa. Poi fece il doppio gioco con Bob e non l’ho mai dimenticato. Non ho mai dimenticato il dolore per aver scoperto che mio padre aveva agito alle mie spalle, e per la perdita del mio amato. Gli avevo scritto e detto che lo avevo perdonato, ma il dolore ho continuato a portarmelo dentro... Papà aveva fatto lasciare me e Bob – mi dominava completamente, per cui non ho mai sentito di poter vincere in una discussione o in uno...



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