E-Book, Italienisch, 289 Seiten
Reihe: Saggi
Thuram Il pensiero bianco
1. Auflage 2021
ISBN: 978-88-6783-341-2
Verlag: ADD Editore
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Non si nasce bianchi, lo si diventa
E-Book, Italienisch, 289 Seiten
Reihe: Saggi
ISBN: 978-88-6783-341-2
Verlag: ADD Editore
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
«Bisogna fare uno sforzo non indifferente per liberarsi di tutte le maschere che si è stati obbligati a portare, e anche quando ci si riesce, si corre il rischio di non essere capiti, perché la società non ama gli spiriti liberi. Ma sono gli spiriti liberi a cambiare le società.» Che cosa vuol dire essere bianco? E se invece di un colore della pelle indicasse un modo di pensare? Diventare bianco, non è forse imparare a pensare a sé stesso come dominante? Quando si parla di razzismo, il nostro sguardo si rivolge alle persone discriminate, mentre dovremmo guardare alle persone che da queste discriminazioni traggono vantaggio. Sul filo della storia - le conquiste coloniali, la schiavitù, la continua razzia di materie prime e dell'arte africana - Lilian Thuram racconta il pensiero bianco, come è nato e come funziona, il modo in cui dilaga e divide. È la cristallizzazione di una gerarchia, di un sistema economico di dominazione e di sfruttamento. Capire i meccanismi intellettuali invisibili che sostengono questo schema, e rimetterli in discussione, ci farà prendere coscienza che il nostro modo di definirci - sono un uomo, sono una donna, sono nero, sono bianco, sono meticcio, sono cattolico, sono musulmano, sono ebreo, sono ateo - è frutto di un pregiudizio storico e culturale. Per cambiare la realtà, dobbiamo cambiare punto di vista. Questo ci permetterà di considerarci per quello che siamo: esseri umani. «Pierre, tu ti senti bianco?» Percepisco un'esitazione dall'altra parte del filo. «In che senso, Lilian?» «Pierre, sei d'accordo che io sono nero?» «Beh, sì.» «Se io sono nero, tu cosa sei?» «Beh... io sono normale.» È da quella parola, 'normale', che comincia questo libro.
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Introduzione
Qualche anno fa mi avevano invitato per discutere il progetto di una grande mostra sul razzismo. Volevano che fossi il commissario generale, e il fatto che avessero pensato a me per portare questo messaggio al grande pubblico mi onorava. Per spiegare come mi sarei accostato a quell’incarico raccontai un’esperienza che avevo vissuto durante una riunione in un ministero: al momento delle presentazioni mi era stato chiesto cosa facessi e su cosa lavorasse la fondazione che presiedo. «Analizziamo i meccanismi di dominazione nella società», avevo detto. E, guardando le persone sedute attorno al tavolo, avevo richiamato la loro attenzione sulla disparità tra il numero di uomini e donne. «In effetti ci sono poche donne», aveva osservato il presidente. «Non è questo il problema, il problema è che ci sono troppi uomini», era stata la mia risposta. Di colpo avevo sentito su di me gli occhi di tutti gli uomini, come se li avessi aggrediti. Ma la mia era una semplice constatazione.
Per questo, spiegai, nel mio ruolo di commissario generale, speravo di cambiare il punto di vista. Da troppo tempo, quando si parla del razzismo, ci si concentra sulle persone discriminate, mentre io sostengo che dovremmo rivolgere il nostro interesse alle persone che, talvolta senza volerlo o saperlo, da queste discriminazioni traggono vantaggio. Mettere in discussione una categoria che non viene mai messa in discussione: la . Che cosa significa “essere bianco”? Come si diventa bianchi? Perché non si nasce bianco, lo si diventa. Avete mai visto una persona del colore di un foglio di carta bianco? No. Allora perché diciamo di una persona che è bianca? A che età si diventa bianchi? Diventare bianco non è forse come diventare un uomo, crescere pensando a sé come dominante? Mentre parlavo, vedevo il disorientamento intorno al tavolo. I cosiddetti bianchi non sono abituati a essere sotto esame per il colore della loro pelle, né per il significato che potrebbe avere. Ho continuato: «Per guadagnare tempo in questa lotta per l’uguaglianza, dobbiamo lavorare sulla consapevolezza dei visitatori bianchi, che sono cresciuti senza dare una connotazione politica al loro colore».
Ho percepito incomprensione, se non rifiuto. Come se si fosse costituito un “noi” che si chiedeva: «Cosa vuole da noi, ?». Capivo che si sentivano quasi attaccati dalla mia proposta – non ho ancora detto che ero l’unico nero presente nella stanza. Come si sentono attaccati gli uomini quando si fa loro notare che hanno sviluppato un complesso di superiorità nei confronti delle donne. Io non avevo accusato nessuno di essere razzista, ma parlare di una , in effetti… Purtroppo le nostre relazioni si sono interrotte lì.
Questo libro è nato anche da quel dialogo interrotto. Perché la maggior parte dei bianchi rifiuta di esaminare questa costruzione identitaria? O meglio, sembra che non siano consapevoli di avere un colore. Non si parla dei neri chiamandoli “persone di colore”? È la prova che i bianchi non ne hanno. D’altronde, di che colore sono i bianchi? Poiché esiste una minoranza visibile, i bianchi sarebbero la maggioranza invisibile? La stessa parola “bianco” non viene quasi mai usata nel linguaggio corrente per designare un gruppo della popolazione, come se non corrispondesse ad alcuna realtà. E quando si usa, suscita qualche tensione in chi viene definito così.
Dieci anni fa avevo trovato un numero speciale di un periodico, intitolato ,1 che mi aveva spinto a chiedermi: se esiste un pensiero nero, ci sarà anche un pensiero bianco? Quel numero speciale raccoglieva testi di e su Toni Morrison, Maryse Condé, Martin Luther King, James Baldwin, Aimé Césaire, Frantz Fanon. Ma di cosa hanno scritto tutte queste persone nere? Di un mondo che inferiorizza i neri. Della necessità di emanciparsi da questa violenza, per vedersi riconoscere gli stessi diritti delle persone bianche. In fondo, quello che non viene mai detto è che King, Baldwin e gli altri scrivono in reazione a un sistema. Ma questo sistema non viene mai definito con chiarezza. Chi ha costruito un discorso mettendo i bianchi in cima alla “gerarchia umana”? Chi fa credere che i neri sarebbero meno capaci? Chi ha deciso che non avrebbero diritto alle stesse opportunità degli uomini bianchi e delle donne bianche? Il pensiero razzialista bianco.
Ecco la matrice, vecchia di secoli, che ancora oggi la maggior parte delle persone bianche non osa guardare in faccia. Perché nessun giornale dedica un numero speciale al pensiero bianco, che per altro ha forgiato il pensiero nero? Perché queste due parole, pensiero bianco, potrebbero sembrare scioccanti?
A mio avviso sono meccanismi paragonabili a quelli che portano alla dominazione degli uomini sulle donne. «Le opposizioni sessuali, contrassegnate dal sigillo del maschile e del femminile, sono gerarchizzate in quanto i valori di uno dei due poli (il maschile) sono considerati superiori a quelli dell’altro […]. Le società occidentali hanno sviluppato un modello esplicativo che lega la forza maschile alla superiorità dell’essenza dell’uomo. [...] La griglia di lettura che utilizziamo è sempre quella, immutabile e arcaica, di categorie derivanti dalle lontane abilità dei nostri antenati, limitati a ciò che i loro sensi potevano imparare.»2 La storia della resistenza degli uomini all’emancipazione delle donne non è molto più istruttiva della storia dell’emancipazione delle donne? La storia della resistenza delle élite bianche nei confronti dell’emancipazione dei non-bianchi non è altrettanto istruttiva della storia di questa stessa emancipazione? Non è tempo di esaminare la volontà di difendere, generazione dopo generazione, questa linea del colore, questa dominazione?
È interessante constatare come si studi l’«arte negra», il pensiero nero, la letteratura nera, la musica nera, che li si esamini, li si esponga, li si dissezioni. Perché sarebbe vietato studiare il pensiero bianco, la letteratura bianca, la musica bianca? Certi ambiti sembrano sfuggire al loro colore, altri no. Perché?
A un nero – ovunque nel mondo – la società ricorda costantemente di essere nero: sul luogo di lavoro, nei mezzi di informazione. Quando si muove nello spazio pubblico, gli si rammenta spesso il suo colore: sguardi sospettosi. L’espressione di chi sembra cercare nel nero un indizio che riveli chissà quale colpa. È una sensazione che chi non è stato vittima di discriminazione non può capire, perché non fa parte della sua esperienza del mondo.
I bianchi possono andare ovunque, senza essere rinchiusi negativamente nel colore della loro pelle da qualche autorità. Hanno consapevolezza di questa tranquillità, di questa libertà, di questo sentirsi ovunque al proprio posto? Quando siamo in Francia o negli Stati Uniti ripeto ai miei figli di non dimenticare mai il colore della loro pelle: «Voi siete visti come neri, non come bianchi». È molto triste, lo so, ma a volte è una questione di vita o di morte.
Per sfuggire al mio colore, perché non sia che un dettaglio fisico senza importanza, bisogna che i bianchi sfuggano al loro. Come fare? Paradossalmente, occorre prima di tutto che prendano coscienza di avere un colore e di ciò che quel colore impone loro di fare e rifare.
Una sera ho deciso di telefonare a Pierre, un mio amico d’infanzia.
«Ciao Pierre, come stai?»
«Ciao Lilian, bene e tu?»
«Senti, posso farti una domanda?»
«Dimmi.»
«Pierre, tu sai di essere bianco?»
Percepisco un’esitazione dall’altra parte del filo.
«In che senso? Non capisco…»
«Pierre, sei d’accordo che io sono nero?»
«Beh, sì.»
«Se io sono nero, tu cosa sei?»
«Beh… io sono normale.»
Sono scoppiato a ridere.
«Tu sei normale? Quindi io non sono normale?»
«No, non volevo dire questo…»
Pierre e la sua bizzarra risposta, piena di spontaneità, mi hanno permesso di mettere in evidenza qualcosa di essenziale e di profondamente radicato: anche una persona eccezionale, un amico fraterno, può, senza rendersene conto, indossare la maschera bianca della normalità. Chi è in posizione dominante, è così certo del fatto di sentirsi nel giusto, sempre al centro, sempre al proprio posto, che finisce per percepirsi e prendersi come la norma. I bianchi sono così, come gli uomini lo sono rispetto alle donne.
Le donne sanno perfettamente di essere donne, ossia di far parte di un genere dominato dagli uomini, che si sentono autorizzati a decidere ciò che hanno o non hanno il diritto di fare. Quanto tempo e quale energia servirà perché gli uomini riconoscano che anche loro sono stati rinchiusi dentro meccanismi di dominazione, dentro la loro mascolinità con tutti gli obblighi che questo comporta? Allo stesso modo, io, dall’età di nove anni – al momento del mio arrivo a Parigi dopo avere lasciato la Guadalupa – so di essere percepito come nero e so quanto ciò non sia affatto strano. Il pensiero bianco mi ha imposto una maschera di nero.
Ma i bianchi per lo più vorrebbero...




