Tartaro | Ascoltatori | E-Book | www2.sack.de
E-Book

E-Book, Italienisch, 139 Seiten

Reihe: add saggistica

Tartaro Ascoltatori

Le vite di chi ama la radio
1. Auflage 2019
ISBN: 978-88-6783-256-9
Verlag: ADD Editore
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

Le vite di chi ama la radio

E-Book, Italienisch, 139 Seiten

Reihe: add saggistica

ISBN: 978-88-6783-256-9
Verlag: ADD Editore
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



Per alcuni è un sottofondo, ma per molti è una presenza che scandisce il tempo migliore della giornata: ascoltare il programma preferito, conoscere la musica del momento, ritrovare la voce di un conduttore 'amico'... In ogni caso, la radio ha la capacità magnetica di attirare persone che hanno qualcosa in comune e che spesso si trasformano in una vera e propria comunità: quella degli ascoltatori. Ma che cosa vuol dire ascoltare? Chi sono gli ascoltatori? Incuriosita dalle voci, dalle richieste telefoniche e dai messaggi che arrivano in diretta, Susanna Tartaro è 'uscita dalla radio' per incontrare alcuni di loro e diventare lei - per una volta dall'altra parte dell'apparecchio - quella che si mette in ascolto. In queste pagine, le storie di chi ascolta si intrecciano a quelle di chi fa la radio, e può capitare che l'emozione per le vite di sconosciuti si leghi a quella di avere in studio un premio Nobel. Tra retroscena della diretta, inconvenienti tecnici e un lavoro fatto di confronto, relazioni e curiosità, 'Ascoltatori' è un libro di radio e di persone, e di come le due cose sanno stare bene insieme.

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Valeria


«Cerco un vecchio libro per bambini, il titolo è . Lo faccio per conto della signora Elisabetta, una nonnina che sta perdendo la memoria, ospite della casa di riposo dove lavoro come operatrice di pet therapy Mi ha confidato di non essere più in grado di ricordare le cose, poverina, è disperata. Ma questo testo che lesse da bambina lo ricorda alla perfezione, magari potrebbe esserle anche di aiuto.»

Ci sarà pure qualcuno che ne ha ancora in casa una copia, chiedeva accorata Valeria, ci sarà qualcuno in ascolto che esaudirà anche la richiesta di quest’ascoltatrice chiedeva, anche lui accorato, il conduttore.

Sono certa che chi si trovasse all’ascolto in quel momento le avrà immaginate: una vecchia con la memoria che fugge e una giovane donna che tenta di riacchiapparla.

«Càpita, Elisabetta, càpita spesso anche a me di dimenticarmi le cose. Dove metto la macchina o che giorno è, per esempio, capita anche a me che ho solo ventotto anni.» Ogni ascoltatore poteva Valeria avvicinarle il cane e l’espressione vacua di Elisabetta, la mano con le vene blu sul muso di Uma, il pastore bernese con il quale l’anziana passa un’oretta un paio di volte alla settimana. Tanti giorni tutti uguali, ultimamente molto più uguali e grigi, dentro una nebbia in cui affonda sempre di più. Insieme ripetono gli esercizi: un biscottino nel palmo della mano affinché Uma lo slinguazzi, le palline rosse lanciate lontano e da riportare vicino, spingendole con il muso fino alle pantofole. Ore e ore fatte di carezze lungo una schiena calda, con la speranza che il pelo lucido che scivola tra le dita riesca ad ancorarla a terra, a farla restare aggrappata qui.

«Cosa hai mangiato a pranzo, Elisabetta? E io, io come mi chiamo?»

Fu in uno di questi pomeriggi, dopo il giochino del biscotto, che Elisabetta iniziò a raccontare di una bambina di nome Cristina. Parlava di un libro del secolo scorso in cui la protagonista trascorreva giornate intere sulla porta di casa, tutta sola, povera bambina. Elisabetta metteva al posto giusto ogni parola, ricomponendo a memoria l’intero testo della favola e sembrava tornata quella di una volta. «Non solo», diceva Valeria nei pochi minuti della diretta che aveva a disposizione, «non solo, perché oltre al testo Elisabetta descrive le illustrazioni nei dettagli una per una, come se le avesse ancora davanti agli occhi. Qualcuno potrebbe fare dono di a Elisabetta?»

Le pupille di Valeria si stringono nella luce del pomeriggio che, calando, saetta le sue ultime lame gialle. Ha occhi bellissimi. «Ho iniziato come cavallara in un maneggio e ho imparato le tecniche dell’ippoterapia», mi dice slacciando il guinzaglio di Uma, anche lei intenta a godersi la pausa. «È andata avanti per un po’ di tempo cosí poi, per caso, sono giunta alla , probabilmente fuggendo da un tipo di esistenza prestabilita che, senza ancora averla vissuta, già mi stava stretta. Non sono certo una da ufficio o da famiglia delle pubblicità, questo no. Ma chi ero? E cosa volevo fare? Non cercavo una strada precisa, mi è capitato di percorrere questa e mi sono appassionata al punto di farne la mia vita. Ho deciso di perfezionarmi, ho studiato per fare l’operatrice e sono passata dai cavalli ai cani. Con Uma ascolto l’altro anche se l’altro non parla. Con la pet therapy, la tecnica che facilita il rapporto tra soggetti chiusi in se stessi, per malattia, disabilità o senilità, e il resto del mondo, si sta nel mezzo, in ascolto. Ci si tira indietro, si sospendono emozioni e giudizio, la patologia non deve interessarmi, neanche chi sono e dove mi trovo, devo solo provare ad ascoltare quello che accade. Bisogna esserci portati, è ovvio, ma è una tecnica che si affina con lo studio e tanta pratica. Tra il paziente e il cane ci sono io.»

Mentre snocciola tutti gli esami sostenuti, acciambellata ai suoi piedi Uma la segue vigile. Del resto anche lei si è preparata a lungo, e anche il suo stile di vita è diverso da quello dei suoi colleghi tutti pappa e passeggiata. «Conosce bene la disciplina, per questo si stressa molto», dice Valeria facendole una coccola speciale, «perché il suo genere di ascolto è molto più complicato del nostro. Obbedire a un ordine dato in un ambiente poco familiare, non spaventarsi per le carezze maldestre di persone disabili o di bambini, non sono certo doti istintive. Si tratta di una comunicazione difficile da imparare e decodificare per un animale e molto faticosa da sostenere. E infatti, raggiunti i dieci anni di attività, è obbligatorio interrompere.»

Se Uma potesse so che annuirebbe, probabilmente lo sta facendo, oppure conterebbe quanti giorni mancano al pensionamento da questa vita da cani. Struscia il testone biondo contro la mano di Valeria come per non interrompere la dose di carezze, la dolcezza di un vocabolario segreto.

Le guardo mentre continuano la loro pausa in giardino. Il cane è sempre accovacciato, la bandana azzurra intrecciata al collare le dona un’aria giocherellona, Valeria si fa una sigaretta. Alliscia la cartina, pesca dalla tasca un ciuffetto di tabacco e guarda di nuovo lontano. Il tramonto si stende sulla periferia romana provando a domarla. Il cielo sta per inghiottire tutto: la casa di riposo, il giardinetto con le aiuole di pansé e anche quel medico laggiù dall’aria mite che chiacchiera con il parente di un ospite.

Il personale è indaffaratissimo. La pet therapy dura quarantacinque minuti, oggi è giovedí e sono previsti altri due turni. Ci sono da preparare i pazienti, riportare o accompagnare i degenti in camera, togliere gli ingombri dal pavimento, arieggiare le varie salette e chissà cos’altro. Lo schema deve funzionare e gli orari delle medicine, del pranzo, della cena, del riposo e dello svago, devono essere rispettati al minuto. Un camice verde si assicura con una collega di Valeria che la festa non duri oltre le 18,30 perché poi dovranno prepararsi per la cena.

Sí. Oggi pomeriggio è prevista una festa. Il libro è stato trovato e donato, con molto affetto, da un’ascoltatrice di Parma, la signora Beatrice, che ha diligentemente provveduto a spedirlo a Valeria. La consegna ufficiale a nonna Elisabetta sarà il clou della festicciola, e io sono qui per assistere all’evento.

Arrivare non è stato facile, o meglio lo è stato ma solo grazie al navigatore. Mi trovo in una delle tante Rome dal perimetro diverso, cangiante, con i suoi problemi e il suo romano, mi trovo dove l’impasto tra gergo antico e slang da rapper incazzato si fonde in un suono duro che sembra esplodere in bocca. Avrò consultato Google Maps una decina di volte per non sbagliare, lo schermo evidenziava strade che come inutili piccoli tubi grigi non collegavano a nulla. Finivano lí dove le guardo finire adesso che ci sono sopra e le percorro.

L’enorme complesso a ferro di cavallo, posizionato al centro di una raggiera di viuzze dai nomi misteriosi, in modalità satellite si puntellava qua e là di bandierine arancioni che localizzavano i compro-oro e i . Dietro la parrocchia, due grandi campi di calcetto, tutti azzurri. Chi mai sarà stato Adeodato Ressi da dedicargli una strada, penso cercandolo su Wikipedia poco prima di atterrare su altri pezzetti di verde, di quelli che hanno resistito alla speculazione edilizia, dove fiori gialli, rovi di bacche e spighe si muovono al vento delle auto che passano. Adesso sono anch’io dentro Google Maps, i millimetri sono diventati metri e chilometri e li sto percorrendo uno dopo l’altro.

Davanti a me, una macchina con l’insegna scuola-guida procede rispettando limiti di velocità e distanza di sicurezza. Decido di mettermi in scia, è l’unico modo per difendermi dalle auto che premono alle mie spalle. Chi prende lezioni di guida in questa zona dovrebbe acquisire punti a parte, gli dovrebbero riconoscere un’abilità straordinaria o almeno restituirgli i soldi del bollo. Per la tensione stritolo il volante.

Laggiù c’è il Corviale, con la sua lunga schiena sinuosa, e dalla parte opposta l’antica residenza di campagna dei papi, il Castello della Magliana. Nel mezzo, tra il serpente e il vecchio maniero, come in una favola gotica, la casa di riposo Villa della Magnolie. Se non c’è traffico, ma è una proiezione puramente teorica, via delle Vigne dista una quarantina di minuti dal centro quindi non cosí tanto, almeno non cosí tanto da giustificare una tale distanza culturale e sociale. Non è chiaro quando la città smetta di essere quello che conosco per diventare un soffuso, periferico, dove le rampe ai lati della strada emergono anfibie. In che punto si trasforma? Le Colonne d’Ercole non si vedono ma so che ci sono, segnano un confine invisibile: al di là i ricchi, al di qua i poveri. Dal piccolo giardino della casa di riposo dove sono finalmente arrivata guardo la Roma dei casolari tra i palazzoni, il panorama desolato e ardente.

Valeria butta fuori il fumo con un mezzo sospiro, la sigaretta è finita come la breve pausa tra una seduta e l’altra di pet therapy. Cerca qualcosa dove spegnere la cicca, beve un sorso...



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