Szczygiel | Quello che non c'è | E-Book | www2.sack.de
E-Book

E-Book, Italienisch, 256 Seiten

Reihe: Cronache

Szczygiel Quello che non c'è

Quindici storie vere
1. Auflage 2021
ISBN: 978-88-7452-901-8
Verlag: Nottetempo
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

Quindici storie vere

E-Book, Italienisch, 256 Seiten

Reihe: Cronache

ISBN: 978-88-7452-901-8
Verlag: Nottetempo
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



Con un gusto e uno stile unici Szczygie? affresca storie vere dal sapore onirico. In ogni sua opera il reportage diventa una riflessione sull'esistenza senza mai perdere la presa sul reale. Quello che non c'è è un percorso tra narrazioni, suggestioni e riflessioni attorno al tema della mancanza, dell'assenza, della perdita. Ma anche attorno alla memoria, e alla consapevolezza del tempo inesorabile. Ciò che non c'è non è necessariamente qualcosa che è andato perduto o è sparito per sempre: 'Ogni cosa deve avere una sua forma e un suo ritmo. Soprattutto l'assenza' è la lezione di Hanna Krall che echeggia in ognuna di queste pagine. Quindici storie che ritraggono situazioni e personaggi appartenenti a mondi e tempi distanti tra loro: si va da un artista albanese a un negozio di rigattiere a Budapest, da una poetessa ceca a un soldato ucraino, fino al padre dell'autore stesso, con cui Mariusz Szczygie? intraprende un viaggio che forse sarà l'ultimo. Diciassette occasioni per osservare quel che accade quando qualcosa non c'è, quando qualcuno non c'è, quando il passato non c'è piú o la memoria si perde. Quando non esistono tulipani blu. Quando non c'è amore o non si trovano le forchette da formaggio. Quando non c'è nessuna finzione, come nella poesia e nell'arte del reportage di cui questo autore si conferma maestro.

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Jerzy Szczygiel a Praga


Devo vedere per l’ultima volta questa bellissima città in cui tu hai trascorso tanto tempo, figliolo.

L’aveva già vista, sempre per l’ultima volta, nel 2009, nel 2010 e nel 2012. Perciò questa sarebbe stata la sua quarta ultima volta.

Papà, domando il 7 giugno 2015 mentre sono al portatile, sto scrivendo un reportage su di te a Praga, come dovrebbe essere?

Be’, ci devono essere il mio cognome e il mio nome: Szczygiel Jerzy. E deve essere un testo leggero, non pesante, perché a Praga tutto è leggero. Inoltre, aggiunge, vorrei che fosse interessante e pieno di incanto.

Giusto, approva di punto in bianco la mamma, che di rado esprime il suo parere, deve essere incantevole, sennò che cosa lo scrivi a fare.

Ullallà, nessuno mi aveva mai posto condizioni simili.

Papà non ha grandi pretese, lascia che nella stanza dell’albergo entri la televisione ceca e resta immobile per l’intera serata. È al settimo cielo quando gira sul canale che trasmette , musica rombante per ottoni dai ritmi sfrenati, che in confronto persino il Bregovic piú selvaggio è un arciduca di delicatezza. Dopo trenta secondi di io sputerei fuori l’esofago.

Oooh!

Che cooosa?

Be’, ringiovanisco, mi dice lui, che se ne sta davanti al televisore.

Trasmettono la hit-parade della , una dopo l’altra si esibiscono piccole e grandi band, con cantanti tutte ultrasessantenni. Sai una cosa, continua, ho capito perché qui in Cechia tante vecchie si danno alla musica. Perché la domenica, invece di andare a messa, si divertono a cantare. Le nostre vecchie bigotte non hanno mica tutta questa gioia interiore, la uccide la chiesa.

In questo istante la mia mente si ferma e non sa da che parte andare, perché il papà, in Polonia un pio seguace di Radio Maryja, in Repubblica Ceca chiaramente si demoralizza.

Gli dispiace di non parlare ceco, cosí ha imparato a dire tre parole, e quando è di buon umore scatta sull’attenti e scandisce: Dimmi se ho capito bene: è un biglietto per il teatro, è un biglietto per il tram, e per l’aereo, giusto? Non riesce a capacitarsi che un biglietto possa avere tre nomi diversi. Gli spiego che sul piano della civiltà i cechi sono superiori a molte altre nazioni, ottimizzano la propria lingua, è per questo che hanno una sola parola là dove gli altri ne hanno quattro o cinque: un, biglietto, per, il, tram. Ti ricordi quella volta, mi chiede, che un tuo amico polacco voleva entrare in uno di quei club con ragazze e aveva chiesto una ?

Papà è un irrefrenabile conversatore, quindi mi spinge sempre ad attaccare discorso con i cechi. Si raccomanda però che siano cechi veri, gli altri non sono cosí interessanti. Al ristorante, mentre pranziamo in un cortile all’aperto, mi fa abbordare un uomo paffuto con i capelli castani e una barbetta rossiccia. Si chiama Jan e gestisce un albergo. Chiedigli, dice mio padre (santo cielo, da vecchio farò esattamente come lui, se non peggio, riconosco già le prime avvisaglie!), allora chiedigli come sono i cechi. Vuoi che gli chieda cosí a bruciapelo come sono i cechi? Ma se neanche lo conosco. Be’ sí, voglio saperlo, in fondo è la mia quarta visita a Praga e non mi sono ancora informato. Glielo chiedo. Al che Jan, trentaquattro anni, risponde che i cechi sono tremendi e non gli piacciono. In realtà non gli piace la gente in generale. Prova simpatia soltanto per quelli che conosce piú da vicino. Potremmo conoscerci meglio, propone, magari davanti a un bicchiere di vino, perché secondo lui è una pacchianata tutta ceca quella di offrire una birra. È incredibile, dice Jan, che voi due siate profumati. Sentire l’aroma di un’acqua di colonia addosso a un maschio ceco rasenta il miracolo, e dovete sapere, signori, che lavorando nel bel mondo ho sviluppato una certa sensibilità per i miracoli. Digli, s’intromette il papà, che mio figlio mi compra l’acqua di colonia due volte all’anno, e che ci parli una buona volta di come sono questi cechi. Dice, dico al papà, che i cechi sono tristi. Indifferenti al mondo e chiusi in se stessi. Macché, protesta mio padre, sono molto allegri, per esempio questo cappello l’ho comprato durante la mia seconda visita a Praga, dai vietnamiti, in via Na Veselí che significa “in allegria”, e dove la trovi in Polonia una via con questo nome, eh, dove la trovi? Da noi sí che c’è tristezza. Tristezza e Rydzyk1. E inoltre una volta d’estate abbiamo soggiornato a casa del signor Milan all’angolo tra via Na Veselí e via Na Lepším, “al meglio”. Be’, meglio di cosí?!

Papà, il signor Jan dice che i cechi sono molto allegri ma solo dopo aver conosciuto qualcuno piú da vicino. Sono allegri tra di loro, mentre il mondo attorno potrebbe anche non esistere, non ne hanno alcun bisogno. Ecco perché mi piace questa nazione, si entusiasma mio padre, i cechi non se ne vanno in giro, bastano a se stessi, non come i polacchi. Il vero patriottismo consiste nel non andare da nessuna parte, o semmai a Praga, per due settimane, come me e la mia mogliettina.

O anche per tre, rettifica poi quando gli leggo questo testo ad alta voce.

Vi dico una cosa, dichiara l’uomo che mio padre ha scelto per farsi spiegare il carattere dei cechi, in linea di massima tutte le persone sono uguali. L’ho capito grazie al mio lavoro, e sono ormai quattordici anni che lo svolgo. Certamente adesso sono qualcosa piú che un semplice receptionist. Arriva un ebreo nel nostro hotel e attacca con: giv mi, giv mi, giv mi. Arriva un arabo ed è la stessa solfa: giv mi, giv mi, giv mi. Gente, penso tra me e me, perché continuate a farvi guerra, perché vi odiate cosí tanto, se siete fatti con lo stesso stampino?! Non sarà che non riuscite a sopportare in primo luogo voi stessi? Perciò non appena vi riconoscete negli altri vorreste fare harakiri, ma siccome non avete il coraggio di ammazzarvi, e per giunta la sera dovete dare una ripassata a vostra moglie, allora un harakiri lo eseguite sí, ma su degli sconosciuti!

No, questa cosa sulla ripassata alla moglie non mi è piaciuta, non è una cosa bella da sentire, commenta mio padre, stiamo per pranzare, questo signore ci toglie l’appetito. Digli che la lingua ceca è molto interessante. A essere sincero, ribatte Jan, a me invece il suono del polacco non piace, avete una lingua incredibilmente morbida, bamboleggiante, sembra di sentir parlare dei bambini2, mentre la nostra è la piú dura tra le lingue slave, è dura quasi quanto il tedesco.

Papà, dobbiamo andare, altrimenti non faremo in tempo a portare la mamma a teatro. Vuoi dire ancora qualcosa al signor Jan prima di salutarlo? E che cosa potrei dire cosí su due piedi? chiede mio padre. Uno che è scampato alle due falci, quando prova troppa emozione, troppa gioia, perde la lingua.

Quali falci?

Sette e sette. Settantasette, le due falci. Se uno le supera e ne esce indenne, continua a vivere, sí, ma anno dopo anno deperisce, è nella natura delle cose. Che cosa può avere ancora da dire un vecchio? E chi lo starebbe a sentire? Se mai trovasse qualcuno disposto a stare lí ad ascoltarlo, dovrebbe lasciargli il proprio patrimonio. Giunti a quest’età, ci si chiede soltanto dove si trova la spiaggia piú vicina.

La spiaggia?

Sí, spiaggia, per sdraiarsi sulla sabbia ed esercitarsi a tornare polvere.

Siamo nell’edificio della Nuova Scena del Teatro Nazionale. Papà ammira il foyer. Non scordarti del , continuava a ripetere in Polonia prima della partenza, ed è per questo motivo che siamo qui in giugno e non in luglio, perché vogliamo goderci il , il teatro, visto che a luglio e agosto gli attori sono in vacanza. Ancora meglio se andiamo al Národni Divadlo. Gli altri teatri possiamo visitarli come semplici edifici, l’architettura è una cosa magnifica, lo so bene, ho pure lavorato nell’edilizia e non per niente sono un maestro imbianchino. Bisogna che vediamo il piú possibile, figliolo, mi piace avere ricordi.

E fila tutto a meraviglia, finché non comincia il balletto, ahimè moderno. Sul palco si esibiscono danzatori israeliani e cechi. Sembrano scimmie, sentenzia papà. È musica allucinogena, come mi è saltato in mente di portarli a vedere questa roba? Siamo seduti nella seconda fila laterale, il martellamento sui tamburi e sulle casse e un frastuono come di trapani o di congelatori ci fanno schizzare la pressione alle stelle, potremmo fare causa al teatro per danni alla salute e vincerla. Secondo i critici, Mr. Gaga, il piú grande coreografo israeliano, fa sí che i danzatori sembrino spinti da un forte istinto primordiale e non riescano a fare a meno di muoversi, ma lo spettacolo è troppo persino per me. Mio padre ne esce distrutto. Non dice niente per un po’, è visibilmente scosso, dopo di che annuncia: Cara moglie, figliolo, d’ora in poi mi comporterò bene. Vi prometto che sarò una brava persona.

Perché? Cosa ti è successo? s’informa la mamma.

Perché dopo la morte non voglio andare all’inferno. Questa...



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