Sontag | Malattia come metafora | E-Book | sack.de
E-Book

E-Book, Italienisch, 240 Seiten

Reihe: Figure

Sontag Malattia come metafora

e L'Aids e le sue metafore
1. Auflage 2020
ISBN: 978-88-7452-824-0
Verlag: Nottetempo
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

e L'Aids e le sue metafore

E-Book, Italienisch, 240 Seiten

Reihe: Figure

ISBN: 978-88-7452-824-0
Verlag: Nottetempo
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



Un classico, ha scritto Italo Calvino, non ha mai finito di dire quel che ha da dire. Cosa ci dicono, oggi, questi due saggi di Susan Sontag, intensissimi e intrepidi come da sua cifra, pubblicati per la prima volta nel 1978 e nel 1989? Che la malattia, nonostante l'illusione di oggettività che l'Occidente 'scientifico' tende a coltivare, non è percepita né concepita secondo le sue coordinate reali, ma è una costruzione culturale, profondamente connotata in senso metaforico. La malattia non parla di se stessa, perché la facciamo sempre parlare di altro, attraverso il linguaggio figurato con cui la bardiamo nella comunicazione e nell'immaginazione. E poiché 'è quasi impossibile prendere residenza nel regno dei malati senza lasciarsi influenzare dalle sinistre metafore architettate per descriverne il paesaggio', è in primo luogo ai malati che dobbiamo una resistenza e una liberazione dal cascame di queste metafore, particolarmente pericolose nel caso di malattie epocali, mitizzate (e mistificate) come 'predatori malvagi e invincibili': il cancro e le epidemie infettive (peste, tbc, sifilide, Aids, e altre che potremmo aggiungere a partire dal presente). 'Nel tentativo di comprendere il male 'radicale' o 'assoluto', andiamo alla ricerca di metafore adeguate', ma è solo togliendo potere a queste appropriazioni retoriche, afferma Sontag, che possiamo conoscere piú a fondo la realtà della malattia e affrontarla con la necessaria consapevolezza.

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Per gran parte della loro storia, gli usi metaforici della tbc e del cancro si intersecano e si sovrappongono. L’Oxford English Dictionary registra il termine consumption [consunzione] in uso come sinonimo di tubercolosi polmonare fin dal 13981. (John di Trevisa: “Quando il sangue si assottiglia, sopravvengono rapidamente consunzione e deperimento”). Ma anche la concezione premoderna del cancro evoca l’idea di consunzione. L’OED dà come prima definizione figurata di cancro: “Tutto ciò che erode, corrode, corrompe, o consuma lentamente e furtivamente”. (Thomas Paynell nel 1528: “Un cancro è un ascesso melancolico, che divora parti del corpo”). La piú antica definizione letterale di cancro è quella di escrescenza, gonfiore o protuberanza, e il nome della malattia – dal greco karkínos e dal latino cancer, che significano entrambi granchio – fu suggerito, secondo Galeno, dalla somiglianza tra le vene gonfie di un tumore esterno e le zampe del granchio; e non, come in molti ritengono, dal fatto che una malattia metastatica striscia o si insinua come un granchio. Ma l’etimologia indica che in passato anche la tubercolosi era considerata un tipo di estrusione abnorme: la parola tubercolosi – dal latino tuberculum, diminutivo di tuber, bozzo, rigonfiamento – designa un gonfiore, una protuberanza, una protrusione o un’escrescenza patologica2. Rudolf Virchow, che a metà Ottocento fondò la scienza della patologia cellulare, considerava il tubercolo alla stregua di un tumore.

Perciò, dalla tarda antichità fino a tempi relativamente recenti, la tubercolosi era – tipologicamente – un cancro. E il cancro era descritto, al pari della tbc, come un processo attraverso cui il corpo si consumava. Le concezioni moderne delle due malattie non poterono profilarsi prima della nascita della patologia cellulare. Soltanto grazie al microscopio, infatti, fu possibile cogliere la specificità del cancro in un particolare tipo di attività cellulare, e comprendere che la malattia non sempre assume la forma di un tumore esterno o almeno palpabile. (Prima della metà del XIX secolo, nessuno avrebbe riconosciuto nella leucemia una forma di cancro). E non fu possibile separare definitivamente il cancro dalla tbc fino al 1882, quando si scoprí che quest’ultima era un’infezione batterica. Tali progressi nel pensiero medico permisero alle metafore principali delle due malattie di differenziarsi nettamente, assumendo connotazioni in gran parte contrapposte. Poterono allora cominciare a prendere forma le moderne fantasie sul cancro – fantasie che dagli anni ’20 in poi avrebbero ereditato molti dei problemi evidenziati dalle fantasie sulla tbc, per quanto le due malattie, e le rispettive sintomatologie, fossero ormai concepite in modi estremamente diversi, e quasi opposti.

La tbc è intesa come una malattia di un solo organo, i polmoni, mentre il cancro è inteso come una malattia che può manifestarsi in qualunque organo e il cui raggio di estensione è il corpo intero.

La tbc è concepita come una malattia dai contrasti estremi: cereo pallore e vampate di rossore, iperattività alternata a languore. Il suo corso spasmodico è esemplificato da quello che si considera il sintomo prototipico, la tosse. Il malato è scosso dalla tosse, poi si accascia, riprende fiato, respira normalmente; quindi, ricomincia a tossire. Il cancro è una malattia che comporta una crescita (talvolta visibile; piú tipicamente, interna), una crescita abnorme, e alla fine letale, che è misurabile, incessante, costante. Benché possano esserci periodi in cui la crescita tumorale si arresta (le remissioni), il cancro non produce contrasti paragonabili a quegli ossimori comportamentali – attività febbrile, appassionata rassegnazione – che si considerano caratteristici della tbc. Il tubercolotico è pallido di tanto in tanto; il pallore del malato di cancro è inalterabile.

La tbc rende trasparente il corpo. Le radiografie, che costituiscono l’ordinario strumento diagnostico, permettono, spesso per la prima volta, di vedere il proprio interno – di diventare trasparenti a se stessi. Mentre si ritiene che la tbc sia, fin dal suo primo insorgere, ricca di sintomi percepibili (progressivo deperimento, tosse, languore, febbre), e possa rivelarsi in modo drammatico e repentino (il sangue sul fazzoletto), i principali sintomi del cancro sono considerati, caratteristicamente, invisibili – sino allo stadio finale, quando è ormai troppo tardi. La malattia, spesso scoperta per caso o grazie ad analisi mediche di routine, può aver raggiunto un grado avanzato senza mostrare alcun sintomo rilevabile. Il corpo è opaco e occorre portarlo da uno specialista per scoprire se contiene un cancro. Ciò che non può percepire il paziente, lo stabilirà lo specialista, analizzando tessuti prelevati dal suo corpo. I tubercolotici possono vedere le loro radiografie e perfino possederle: nella Montagna incantata i pazienti del sanatorio le portano con sé nel taschino. I malati di cancro non guardano le proprie biopsie.

Si riteneva – e lo si pensa ancora – che la tbc provocasse fasi di euforia, crescita dell’appetito, desiderio sessuale esasperato. Nella Montagna incantata, parte della cura cui i pazienti si sottopongono è una seconda colazione, consumata con entusiasmo. Si ritiene, invece, che il cancro paralizzi la vitalità, trasformi i pasti in un supplizio, spenga il desiderio. Si immaginava che soffrire di tubercolosi fosse un afrodisiaco e conferisse straordinari poteri di seduzione. Il cancro è considerato desessualizzante. Ma è caratteristico della tbc che molti dei suoi sintomi siano ingannevoli – una vivacità che deriva dalla debilitazione, guance rosee che sembrano un segno di salute ma sono dovute alla febbre – e un’impennata di vitalità può essere segno di una morte imminente. (In genere tali sprazzi di energia sono autodistruttivi, e possono rivelarsi distruttivi anche per gli altri: basti ricordare la leggenda di Doc Holliday, il pistolero tubercolotico del Vecchio West, che una devastante malattia ha liberato da ogni freno morale). Il cancro ha soltanto sintomi veritieri.

La tbc è disintegrazione, febbrilità, smaterializzazione; è una malattia di liquidi – il corpo si trasforma in flemma, muco, espettorato e, alla fine, in sangue – e di aria, del bisogno di un’aria migliore. Il cancro è degenerazione, i tessuti corporei si trasformano in qualcosa di duro. Nel 1891, un anno prima di morire di cancro, Alice James scrive nel suo diario di “questa terribile sostanza granitica nel mio seno”. Ma quel nodulo è vivo, è un feto dotato di volontà propria. In una voce redatta intorno al 1798 per il suo progetto di enciclopedia, Novalis definisce il cancro, insieme alla cancrena, “parassiti a pieno titolo – crescono, sono generati, generano, hanno la loro struttura, secernono, mangiano”. Il cancro è una gravidanza demoniaca. E san Girolamo alludeva probabilmente al cancro quando scrisse: “Altri, idropico, con il ventre gonfio partorisce la morte” (“Alius tumenti aqualiculo mortem parturit”). Benché il decorso di entrambe le malattie comporti il deperimento, la perdita di peso provocata dalla tbc è intesa in modo molto diverso da quella determinata dal cancro. Nel caso della tbc, chi ne soffre è “consunto”, bruciato. Nel caso del cancro, il malato è “invaso” da cellule estranee, che si moltiplicano, provocando l’atrofia o il blocco delle funzioni corporee. Il malato di cancro “avvizzisce” (a detta di Alice James) o “si rattrappisce” (a detta di Wilhelm Reich).

La tbc è una malattia del tempo; accelera la vita, la intensifica, la spiritualizza. In inglese come in francese, la consunzione è “galoppante”. Il cancro ha stadi piú che andamenti; diviene (prima o poi) “terminale”. Agisce lentamente, insidiosamente: il classico eufemismo utilizzato nei necrologi annuncia che qualcuno “si è spento dopo una lunga malattia”. Tutte le descrizioni del cancro lo caratterizzano come lento, e in questa accezione il termine fu inizialmente usato come metafora. “La parola di costoro s’insinua come un cancro”, scrisse Wyclif nel 1382 (traducendo una frase contenuta in 2 Timoteo 17); e tra i piú antichi usi figurati, il cancro è metafora di “pigrizia” e “ignavia”3. Metaforicamente, il cancro non è tanto una malattia temporale, quanto una malattia o una patologia spaziale. Le sue metafore principali rimandano alla topografia (il cancro “si estende” o “prolifera” o “si diffonde”; i tumori sono “asportati” chirurgicamente), e la sua conseguenza piú temuta, al di là della morte, è la mutilazione o l’amputazione di una parte del corpo.

La tbc è spesso immaginata come una malattia della miseria e della deprivazione – di indumenti logori, corpi smagriti, stanze non riscaldate, scarsa igiene, cibo insufficiente. Non sempre la miseria è letterale come quella della soffitta di Mimí nella Bohème; nella Signora delle camelie la tubercolotica Marguerite Gautier vive circondata dal lusso, ma nel suo intimo è una derelitta. Il cancro, per contro, è una malattia della vita...



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