E-Book, Italienisch, 420 Seiten
Reihe: Figure
Sontag / Dilonardo Contro l'interpretazione
1. Auflage 2022
ISBN: 978-88-7452-974-2
Verlag: Nottetempo
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
e altri saggi
E-Book, Italienisch, 420 Seiten
Reihe: Figure
ISBN: 978-88-7452-974-2
Verlag: Nottetempo
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Un limpido talento critico, una capacità fuori dal comune di orientarsi nell'universo contemporaneo di segni e linguaggi plurali: con sguardo allenato da continue combinazioni tra passioni profonde e interessi eclettici, Susan Sontag traccia un'originalissima, radicale rotta attraverso la teoria, la letteratura, il cinema, il teatro e le arti degli anni sessanta del '900. Prima dell''età del nichilismo', Sontag scrive gli articoli riuniti nel 1966 in Contro l'interpretazione, il suo libro d'esordio come saggista: 'un atto di liberazione intellettuale' che la fa in breve diventare una figura di riferimento dello scenario contemporaneo, delle sue rivelazioni, trasgressioni, sperimentazioni, illusioni, della sua opposizione alle gerarchie (alto/basso) e alle polarità (forma/contenuto, intelletto/sentimento). Che scriva dello 'stile' come centro di gravità dell'espressione artistica o disegni una mappa dettagliata e ormai classica delle forme della sensibilità 'Camp', che parli degli happening in cui l'azione evade dai teatri o si sposti dal diario di Pavese ai Taccuini di Camus, dalla libertà di Genet alla coscienza disgustata di Sartre, il filo delle parole di Susan Sontag non perde il suo obiettivo: evitare che il vaso di Pandora dell'interpretazione-superfetazione si rovesci sull'esperienza dell'opera d'arte, deformandola e saturandola di 'significati' a proprio uso e consumo.
Autoren/Hrsg.
Weitere Infos & Material
Contro l’interpretazione
Willem de Kooning, in un’intervista
Oscar Wilde, in una lettera
1
La più antica dell’arte deve averne riconosciuto la natura incantatoria, magica: l’arte era uno strumento del rito. (Si vedano le pitture delle grotte di Lascaux, Altamira, Niaux, La Pasiega ecc.). La più antica dell’arte, quella dei filosofi greci, ha sostenuto che l’arte fosse mimesi, imitazione della realtà.
È stato allora che si è posta la peculiare questione del dell’arte. Per i termini stessi in cui è formulata, infatti, la teoria mimetica sfida l’arte a giustificare se stessa.
Platone, che enunciò la teoria, pare averlo fatto al fine di stabilire che il valore dell’arte era dubbio. Poiché egli considerava anche gli oggetti materiali di uso comune come oggetti mimetici, imitazioni di forme o strutture trascendenti, perfino il miglior dipinto di un letto poteva essere soltanto l’“imitazione di un’imitazione”. Per Platone, l’arte non è né particolarmente utile (un letto dipinto non serve a dormirci sopra), né, in senso stretto, veritiera. E gli argomenti di Aristotele in difesa dell’arte non mettono davvero in dubbio l’idea di Platone secondo cui ogni forma d’arte è un elaborato trompe-l’œil e, perciò, una menzogna. Aristotele, però, contesta l’idea che l’arte sia inutile: menzognera o meno, per lui l’arte ha un certo valore perché è una forma di terapia. In fin dei conti l’arte è utile, medicalmente utile, controbatte, poiché purifica dalle emozioni pericolose che essa stessa ha suscitato.
Per Platone e Aristotele, la teoria mimetica si accompagna al presupposto che l’arte sia sempre figurativa. I propugnatori di tale teoria, tuttavia, non devono inevitabilmente ignorare l’arte decorativa o astratta. L’erronea convinzione che l’arte sia necessariamente una forma di “realismo” può essere rettificata o abbandonata senza oltrepassare l’orizzonte problematico della teoria mimetica.
Il fatto è che in Occidente la coscienza dell’arte e le riflessioni che essa ha ispirato sono sempre rimaste all’interno dei confini tracciati dalla teoria greca dell’arte come mimesi o rappresentazione. È a causa di questa teoria che l’arte in quanto tale – a prescindere da ogni singola opera d’arte – diventa problematica, e necessita di una difesa. E la difesa dell’arte ha generato sia la singolare concezione secondo cui quello che abbiamo imparato a chiamare “forma” è separato da ciò che abbiamo imparato a chiamare “contenuto”, sia la benintenzionata strategia che rende essenziale il contenuto e accessoria la forma.
Anche in tempi moderni, quando la maggior parte degli artisti e dei critici ha abbandonato la teoria dell’arte come rappresentazione di una realtà esterna a favore della teoria dell’arte come espressione della soggettività, l’assunto principale della teoria mimetica perdura ancora. Sia che concepiamo l’opera d’arte secondo un modello pittorico (l’arte come raffigurazione della realtà), sia secondo un modello espressivo (l’arte come espressione dell’artista), il contenuto, infatti, resta prioritario. Con il tempo può variare, per cui ai nostri giorni è forse meno figurativo, meno trasparentemente realistico. Ma si continua a presupporre che un’opera d’arte il suo contenuto. Oppure, come si suole affermare oggi, che un’opera d’arte, per definizione, qualcosa. (“X dice che…”, “X cerca di dire che…”, “X ha detto che…” ecc. ecc.).
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Nessuno di noi potrà mai ritrovare quell’età dell’innocenza anteriore a ogni teoria, in cui l’arte non aveva alcun bisogno di giustificarsi, né ci si chiedeva cosa un’opera d’arte, perché si sapeva (o si credeva di sapere) cosa . Finché avremo una coscienza, saremo costretti a dedicarci al compito di difendere l’arte. Possiamo soltanto contestare questo o quel mezzo di difesa. O meglio, abbiamo l’obbligo di abbandonare ogni mezzo di difesa e giustificazione dell’arte che sia diventato particolarmente ottuso, gravoso o insensibile rispetto alle esigenze e alle pratiche contemporanee.
È questo il caso, oggi, dell’idea stessa di contenuto. Quale che sia stata in passato, oggi tale idea è perlopiù un ostacolo, un fastidio, un sottile, ma non troppo, filisteismo.
Per quanto possa sembrare che i recenti sviluppi di molte arti ci abbiano distolto dall’idea che un’opera d’arte sia primariamente il suo contenuto, questa idea continua a esercitare una straordinaria egemonia. Ciò accade, a mio giudizio, perché è perpetuata nella forma di un certo approccio alle opere d’arte, profondamente radicato in quasi tutti coloro che prendono sul serio l’arte. L’eccessivo risalto attribuito all’idea di contenuto, infatti, comporta il perenne, e mai conchiuso, progetto dell’. E, per converso, l’abitudine di accostarsi alle opere d’arte per alimenta l’illusione che abbiano realmente un contenuto.
3
Ovviamente, non mi riferisco all’interpretazione nell’accezione più ampia del termine, quella in cui Nietzsche afferma (a ragion veduta) che “non ci sono fatti, solo interpretazioni”. Per interpretazione intendo qui un consapevole processo mentale che illustra un certo codice, certe “regole” interpretative.
Applicata all’arte, l’interpretazione prevede lo stralcio di una serie di elementi (X, Y, Z, e così via) dall’insieme dell’opera. Il compito dell’interpretazione è, in pratica, un compito di traduzione. L’interprete afferma: non vedete che X in realtà è – o in realtà significa – A? Che Y è in realtà B? Che Z è in realtà C?
Quali circostanze hanno potuto dar luogo a questo singolare progetto di trasformazione dei testi? La storia ci fornisce i materiali per darci una risposta. L’interpretazione fece la sua prima comparsa nella cultura della tarda antichità classica, quando la forza e l’attendibilità del mito furono minate dalla visione “realistica” del mondo introdotta dal progresso scientifico. Una volta posto il problema che ha ossessionato la coscienza post-mitica – quello del decoro dei simboli religiosi –, i testi antichi non furono più accettabili nella loro forma originaria. Si fece pertanto ricorso all’interpretazione per riconciliarli con i bisogni “moderni”. Così gli stoici, per conformarsi all’idea che gli dèi dovessero essere morali, eliminarono attraverso l’allegoria le caratteristiche indecenti che nell’epica omerica contraddistinguevano Zeus e il suo turbolento clan. Attraverso l’adulterio commesso da Zeus con Latona, spiegarono, Omero in realtà alludeva all’unione tra forza e saggezza. Nella stessa vena, Filone d’Alessandria interpretò come paradigmi spirituali le fattuali narrazioni storiche della Bibbia ebraica. La storia dell’esodo dall’Egitto, dei quarant’anni di peregrinazione nel deserto e dell’arrivo nella Terra promessa, affermò, era in realtà un’allegoria dell’emancipazione, delle tribolazioni e della liberazione finale dell’anima individuale. L’interpretazione, perciò, presuppone una discrepanza tra il significato evidente di un testo e le esigenze (posteriori) dei lettori. E cerca di risolverla. Per qualche ragione, un testo è diventato inaccettabile; e, tuttavia, non può essere rifiutato. L’interpretazione è una strategia radicale che consente di conservare un testo antico, considerato troppo prezioso per poterlo ripudiare, rimodernandolo. Senza spingersi fino a cancellarlo o a riscriverlo, l’interprete lo altera. Ma, non potendo ammetterlo, pretende soltanto di averlo reso intelligibile, rivelandone il vero significato. Per quanto alterino un testo (un altro famigerato esempio è costituito dalle interpretazioni “spirituali”, rabbiniche e cristiane, di un’opera chiaramente erotica come il ), gli interpreti devono pretendere di leggervi un significato già presente.
Ai giorni nostri, tuttavia, l’interpretazione è ancora più complessa. Il fervore contemporaneo per il progetto dell’interpretazione è spesso motivato non dalla reverenza nei confronti di un testo problematico (dietro cui può celarsi un’aggressione), bensì da una palese aggressività, da un disprezzo per le apparenze. L’antico stile interpretativo era tenace, ma rispettoso; erigeva un altro significato al di sopra di quello letterale. Lo stile interpretativo moderno dissotterra e, dissotterrando, distrugge; scava “dietro” il testo, alla ricerca del vero significato recondito. Le dottrine moderne più celebri e influenti, quelle di Marx...