E-Book, Italienisch, 360 Seiten
Reihe: Narrativa
Sonmez Nord
1. Auflage 2021
ISBN: 978-88-7452-895-0
Verlag: Nottetempo
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
E-Book, Italienisch, 360 Seiten
Reihe: Narrativa
ISBN: 978-88-7452-895-0
Verlag: Nottetempo
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
'Burhan Sönmez è uno scrittore di passione, di memoria e di cuore' Elif Shafak In questo romanzo di Burhan Sönmez, scritto nel 2009, un giorno in fondo a un burrone viene ritrovato il corpo di un uomo con un orecchino di vetro custodito in bocca. Si tratta di Aslem, partito vent'anni prima per il nord senza lasciare tracce né spiegazioni. Il figlio Rinda è cresciuto tra le foreste e i precipizi che circondano il villaggio con la madre e il cavallo Belek, pieno di nostalgia mescolata a rancore per quel padre sconosciuto e andato lontano, chissà dove e spinto da cosa. Ed è proprio Rinda a scoprire lo scintillio dell'orecchino tra le labbra del cadavere di Aslem, mentre la luna piena all'improvviso si eclissa nella notte. Cosí quel monile nascosto diventa un segno per il ragazzo, il segreto di un lascito da rintracciare, e con Belek parte anche lui per il nord, a ricostruire la storia del padre e il vuoto che avverte in se stesso. Il nord è strano, misterioso, fa paura: Rinda, come Aslem, è un abile cacciatore, ma perde continuamente le impronte del cervo di cui tutti gli parlano lungo la strada, mentre incontra guaritori, sapienti, torturatori, una vecchia che parla con una volpe, un sultano ossessionato da un sassolino, le donne ?ahmaran che custodiscono la lingua delle madri e il ricordo della scrittura che è stata loro sottratta. E ognuno gli racconta una storia, immergendolo in una corrente di verità - sul suo cammino, sulla sorte del padre e sul mondo - che si intrecciano, scompongono e ricompongono, un'onda di risacca che sfrangia di continuo gli orli del reale. Sono destini incrociati, o le forme incessanti di un sogno corale? La fascinazione del racconto e la forza narrativa della tradizione orale curda ricoprono le pagine di Nord come un sortilegio.
Weitere Infos & Material
Le impronte del cervo
Mevlana Jalal al-Din Rumi
Quella notte, al termine dell’incessante nevicata che era proseguita per tutto il giorno, il cielo si purificò dalle nuvole e fu avvolto da una luce azzurra. Chi avesse osservato i luccicanti campi del cielo e poi il vasto candore della terra, avrebbe pensato che la neve era stata lavata con un’acqua azzurra e non avrebbe saputo se ciò che guardava era il cielo o la terra. L’ospite inatteso di Glut era giunto in quella notte luminosa, lasciandosi alle spalle una scia di impronte di zoccoli.
Era da tempo che Glut, che viveva solo in un angolo remoto della campagna, in una casa di un’unica stanza, non riceveva ospiti improvvisi. In effetti non si poteva dire che fosse del tutto solo: nella piccola stalla lí accanto aveva un cavallo e due mucche che gli davano il latte, e la loro contava come una famiglia, ne sentiva il fiato non solo quando dormiva accanto a loro, se erano malati, ma anche quando sedeva davanti al fuoco a lavorare il cuoio cantando una ballata. Quando durante la notte il suo sonno leggero era stato interrotto dai rumori di un cavallo sulla neve, si era subito diretto alla porta, come se fosse in attesa di una persona conosciuta.
Persino nel buio era possibile distinguere il fiato, trasformato in vapore, del cavallo fermo di fronte all’uscio, e dal verso che emetteva si intuiva che aveva compiuto un lungo cammino. Il cavaliere non aveva l’aria di voler salutare Glut, che aveva aperto la porta: restava a capo chino, muto, era impossibile capire se fosse stato lui a condurre il cavallo, o se invece era stato l’animale a portarlo fino a lí.
Glut fece un paio di passi e lo chiamò di nuovo. Non ricevendo risposta, toccò leggermente il cavaliere e cercò di scuoterlo, come si fa per risvegliare un ubriaco. Prese il braccio del cavaliere, che non si era svegliato, e lo tirò verso di sé, ma non appena la mano s’impigliò in qualcosa sul suo petto, si rese conto che si trattava di una freccia. Prese l’uomo in braccio e lo portò dentro.
Il legaccio che teneva al collo l’ampia pelliccia che gli copriva le spalle si sciolse, e la pelliccia cadde per terra. Era nudo, non portava altri vestiti, il suo corpo era ghiacciato. Glut gli stese addosso la pelliccia.
Lo spessore della freccia nel petto del cavaliere stupí Glut, ma quando toccò il punto in cui era entrata nella carne comprese che non era penetrata in profondità, evidentemente era stata lanciata da una grande distanza e, avvicinandosi al bersaglio, aveva rallentato la sua corsa. Tuttavia lo aveva colpito, raggiungendo la parte sinistra del petto, poco sopra al cuore.
Glut posò la mano sulla parte inferiore della freccia e controllò il cuore del cavaliere, ma non capí se era ancora vivo. Accese la lampada a olio sulla mensola di pietra del camino. Dopo aver aggiunto un po’ di legna al fuoco che si era affievolito, stavolta si chinò sul cuore del cavaliere non con la mano ma con l’orecchio, e trattenendo il respiro provò a sentirne il battito. Non passò molto che, sebbene flebile, avvertí quel suono e, tirato un sospiro di sollievo, rialzò il capo e commentò: “Il mio fortunato ospite è ancora vivo”.
L’uomo aveva il viso pieno di sangue, doveva aver ricevuto un colpo o forse era caduto. Preoccupato di scoprire un volto conosciuto, Glut ripulí il sangue molto lentamente. Mentre osservava i lineamenti sempre piú chiari dell’uomo, era combattuto tra la paura e la curiosità. Poi si raddrizzò. Nonostante il tempo passato, riconobbe all’istante il viso dell’ospite, rischiarato dalla luce della lampada.
Quel viaggiatore era arrivato una sera in casa di Glut mentre aveva altri ospiti, e questo era stato sufficiente a creare tra loro un certo legame. Il giorno dopo aveva ripreso il cammino.
Il volto era pallido per la perdita di sangue, la pelle aveva un colorito chiaro ed era evidente che aveva proseguito il viaggio a lungo, nonostante la ferita. Il suo stato spaventò Glut, il quale agí in fretta, sistemò tra i ciocchi del camino una barra di ferro e ripulí la ferita dal sangue che aveva ripreso a scorrere. Mentre faceva bollire dei semi di prezzemolo in una pentola sul fuoco, prese da un sacco della radice di genziana, che da tempo era disseccata, la pestò e la ridusse in polvere. Tolse dal fuoco l’acqua che aveva preso a bollire in un batter d’occhio e la sistemò sulla neve per farla raffreddare.
L’uomo ferito era steso immobile, come se il suo cuore avesse smesso di battere. Né il rumore provocato da Glut, né il fuoco che lentamente gli riscaldava il corpo restituivano il minimo segno di vita alle sue mani.
Glut prese una piccola coppa dalla mensola di pietra sul camino e intinse il dito nella polvere che conteneva. Si portò alle labbra quella polvere sottile come farina, color verde chiaro. Socchiuse gli occhi, fu percorso dalla bocca fino alla punta dei piedi da un fulmine calmo. Tirò leggermente il labbro inferiore dell’ospite e gli passò la stessa polvere sulla gengiva.
Giunto il momento del compito piú arduo, Glut si inginocchiò accanto all’uomo, tenne ben fermo con la mano il punto in cui la freccia incontrava la carne e, come se stesse per estrarla dal proprio petto, inspirò profondamente. La freccia era rotta, perciò non riusciva ad afferrarla comodamente. Non pensava a quanto fosse corta o a come si fosse spezzata, bensí alla possibilità di riconoscere nella punta conficcata nella carne un segno che ne indicasse il proprietario. Se non si fosse spezzata, dalla forma o dal colore delle tre piume all’estremità avrebbe potuto comprendere a chi apparteneva.
Inspirò per un’ultima volta e, non appena ebbe rimosso la freccia chiudendo istintivamente gli occhi, il sangue prese a scorrere velocemente dalla ferita. Cercando di tamponarla con un pezzo di tessuto, si allungò verso il fuoco lí accanto. L’estremità della barra di ferro che reggeva in mano grazie a un pezzo di cuoio era ormai diventata una fiamma scarlatta e lui, premendola sulla ferita, la cauterizzò. Si sentí un suono simile all’acqua che cade sul fuoco, venne fuori un leggero fumo e un odore di carne bruciata si diffuse nella stanza.
Glut fu felice di notare che l’ospite era svenuto, perché mentre cauterizzava la ferita il suo corpo aveva avuto un sobbalzo causato dal dolore, cosí ritornò alla polvere verde, ne prese un po’ e la sparse sulle sue gengive. Poi ne aggiunse ancora un po’. Ora avrebbe dormito tranquillamente, provando meno dolore.
Glut prese la pentola posta a raffreddare all’esterno della casa e tornò dentro. Pulí la ferita con l’infuso di semi di prezzemolo e, per evitare che riprendesse a sanguinare, la cosparse di cenere fredda. Attese un po’, quindi aggiunse la radice di genziana polverizzata. Infine fasciò la ferita e lasciò riposare l’ospite.
Quella mattina le nuvole coprirono il cielo, la coltre di neve cambiò di colore, passando dal bianco al grigio. Glut non ci pensò poi tanto, fino a sera. Restò al capezzale dell’ospite che bruciava di febbre, fino a quando lentamente iniziò a fare buio. L’uomo che già era stato suo ospite era steso per la seconda volta accanto al camino, solo che ora era ferito.
Sulla punta della freccia estratta dalla ferita non c’era alcun segno di riconoscimento del proprietario, non era nemmeno possibile estrapolare un indizio dal tipo di legno utilizzato. Era stata ricavata da un albero mai visto prima, e per essere cosí dura non era bastato averla oliata e lasciata asciugare un paio di volte. Era stata indurita ricorrendo a un metodo che lui non conosceva. A differenza delle altre frecce, che solitamente erano sottili per poter volare piú veloci, questa era tanto spessa da potersi dire rozza. Per scagliare a grande distanza frecce come quella occorreva utilizzare dei grandi archi, e questo significava che gli arcieri avevano la forza per poterli maneggiare. Le sue supposizioni sugli arcieri lo preoccuparono.
Si ricordò di come quell’uomo ospitato una sola notte, nonostante la giovane età, fosse sapiente. La sapienza era un tesoro che procurava facilmente dei nemici e incantava tutti, buoni e cattivi. Un saggio armato si aggirava continuamente sul ciglio della morte, e da ogni dettaglio delle sue armi era chiaro che l’ospite fosse un abile guerriero. Era evidente che fosse minacciato da un pericolo, ma per un attimo a Glut venne in mente che il suo ospite poteva essere il pericolo che minacciava gli altri.
Mentre il crepuscolo tingeva il cielo di rosso, andò alla porta. L’aria era chiara, le stelle della notte precedente avrebbero ancora una volta colmato la volta celeste. Guardò le macchie sbiadite di sangue che si allungavano sulla neve come una linea, si chinò e prese in mano un po’ di neve. La strinse nel palmo e un brivido freddo rifluí dai polsi al petto.
Allora ripensò a cosa bisognava fare. Le orme dell’ospite erano ancora sulla neve, i nemici avrebbero potuto seguirle. Subito prese dalla stalla un fascio di ramoscelli. Li legò con una corda e assicurò l’altro capo...