E-Book, Italienisch, 175 Seiten
Reihe: Minimum classics
Soldati Rami secchi
1. Auflage 2024
ISBN: 978-88-3389-561-1
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
E-Book, Italienisch, 175 Seiten
Reihe: Minimum classics
ISBN: 978-88-3389-561-1
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
1906/1999 è stato narratore, giornalista, saggista e regista cinematografico. Negli anni Trenta è passato dalla sceneggiatura alla regia cinematografica e poi televisiva, mettendo in scena diversi adattamenti di opere letterarie. Nel 1960 ha abbandonato Roma e il cinema, e ha trascorso il resto della vita tra Milano e Tellaro, dove ha scritto Rami secchi. Tra le sue opere più celebri, America primo amore (1935), A cena col commendatore (1950), I racconti del maresciallo (1967) e La sposa americana (1977).
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Avvertirsi, sempre e comunque, lontani Profilo bio-bibliografico
I racconti del nonno e della balia: la scrittura come «attività fisiologicamente naturale»
Mario Emilio Vespasiano Giuseppe Giovanni Soldati (cinque nomi, ha scritto Bruno Falcetto, «che sembrano preludere alle molte facce, professionali, esistenziali della sua identità») nasce a Torino il 17 novembre 1906, da Umberto e Barbara Bargilli. Il padre, nella descrizione del figlio un uomo «buono», «brillante», «allegro», è torinese da molte generazioni, commercia in seta ed è spesso lontano da casa per lavoro. La madre, che proviene da famiglia di tradizione militare, è amante delle arti ma anche donna energica, fortemente devota e iperprotettiva. La famiglia, di cui fa parte anche la sorella minore Dolores (sempre affettuosamente chiamata Lola), vive in un appartamento al secondo piano di via Ospedale 20 (oggi via Giolitti), prospiciente a quello dell’avvocato Piero Richelmy, fratello del cardinale di Torino e padre di Agostino (Tino), futuro letterato, poeta e amico di Mario per tutta la vita. I Soldati appartengono alla agiata borghesia cittadina. In casa si parla «perfettamente il francese, benissimo il torinese, maluccio l’italiano».2 Attraverso la mediazione del nonno materno Giuseppe Bargilli, autore di romanzi e di novelle, e della balia Narcisa Bartolini, che gli raccontava favole e storie di paese, Mario sviluppa dall’infanzia il gusto della narrazione e percepisce la scrittura come «un’attività fisiologicamente naturale».3
La vocazione interrotta e la scuola come prigione
Dal 1912 Mario frequenta come «esterno» l’Istituto sociale dei Padri Gesuiti, dove rimarrà fino al terzo anno del liceo classico. Studente brillante – come ricordato in era «sempre tra i primi della classe» – è tuttavia un bambino irrequieto, avido, come sarà poi sempre, di spazi aperti, di movimento, di vita. Gli anni «più mesti, più grigi, più chiusi» saranno, anche nel ricordo, quelli delle medie e la scuola stessa, confesserà, gli «faceva, sempre, l’effetto di una prigione». La vita, quella fatta di stupore e incanto che incessantemente Soldati descriverà nelle sue opere future, è altrove: nelle lunghe gite ciclistiche con l’amico Tino Richelmy, nei viaggi per le vacanze, passando da Genova – «un’altra terra, un altro mondo» come e ancor più della New York di – fino a Viareggio.
L’adolescenza è segnata da una forte e inquieta adesione al cattolicesimo; la fede è anzi la «sola vera cosa importante» e tocca il suo culmine nel «desiderio fortissimo» di entrare nell’ordine dei Gesuiti. Il proposito è abbandonato nel 1923, dopo l’anno di riflessione suggeritogli da Padre Argàno, quando si iscrive alla Facoltà di lettere dell’Università di Torino. E tuttavia: se la fede di Soldati, con il passare degli anni, era andata venandosi di dubbi, la sua adesione ai principi morali del cristianesimo rimarrà sempre ben salda. Come mostrano, tra i molti, romanzi quali e , i motivi cristiani del peccato, della redenzione, della dannazione e della penitenza funzioneranno sempre, in lui, come schemi concettuali irrinunciabili per la decifrazione della realtà. Tale impostazione sopravvive a tutti i dubbi, a tutti i tentativi di laicità, e anche a quella prima, fondamentale crisi del 1921: «un dubbio totale o, come si direbbe oggi, esistenziale», ovvero che non esista «nulla, nulla assolutamente, se non ciò che vediamo, tocchiamo, possiamo sperimentare».4 La crisi non porta, insomma, all’azzeramento dell’orizzonte metafisico, ma al riconoscimento di una identità nel dubbio di fede e vita: «la religione vera è fatta di dubbio e angoscia [...] La fede è vita e dunque è strettamente collegata al dubbio».5 Soldati sembra quasi ribaltare la prospettiva e i precetti cristiani, lungi dal perdere valore, vengono declinati nel mondo: «L’aldilà», scriverà, «per me, è tutto di qua. Bisogna però agire l’aldilà esistesse. Non c’è nulla della Chiesa che io rifiuti: io rispetto, anzi accetto, quel che dice non perché è certamente vero, ma fosse vero».6 In questo ribaltamento di prospettiva echeggia, chiara e razionale, una pascaliana scommessa sull’esistenza di Dio. Ed è nota, del resto, la grande ammirazione di Soldati verso il pensiero della scuola di Port Royal come «sublime tentativo di fondere e superare insieme cattolicesimo e protestantesimo».7 Quella di Cristo, il Dio uomo, è ormai una «invenzione», ma è una invenzione «straordinaria», perché è un simbolo e «i simboli [...] contengono le più alte tra le verità»: «La realtà umana è fatta di vita e di morte, di croce e di resurrezione. Cristo è radicalmente vero perché mito e simbolo sono la verità stessa. Si creda o no alla realtà della resurrezione, Cristo è vivo in noi perché la sua verità è viva».8
Chi volesse capire l’atteggiamento fondamentale di Soldati verso il cristianesimo, il suo inesausto muoversi nella contraddizione di una fede perduta e una «scommessa» sempre in atto, dovrebbe però rivolgersi in prima istanza a quello straordinario reportage che è . Vi troverà aspre critiche alla piccineria delle «cricche cattoliche», sdegno per «l’attività terrena» e il politicismo della gente di chiesa; e ancora, e sopra tutto, la condanna dei credenti le cui certezze mai vacillano. Ma, improvvise come lampi notturni intravisti dal treno, nella mente di Soldati si aprono anche voragini metafisiche. Basti un esempio, Soldati è in viaggio, solo nel suo scompartimento e il treno, diretto a Lourdes, ha appena passato Nizza:
Un treno di notte, se non mi distraggo, mi fa, sempre, pensare alla morte. Ma questa volta, coricato e sballottato sulla tela fra le fragili liste, mi sentivo ancora più indifeso: un niente lanciato tra la vita e la morte [...] Morire, morire così, stupidamente incredulo in un treno di credenti [...] Ma tornai, per un attimo, a implorare dalla Madonna la Grazia? A chiedere perdono dei miei peccati? A credere nell’Inferno? Mi feci il segno della Santa Croce? Ebbene sì, dopo breve lotta tornai: recitai un breve atto di contrizione, e feci il segno della Croce. Superstizione, debolezza, mi dissi l’indomani, col sole. Alcuni lettigari portavano un distintivo all’occhiello, una piastrina smaltata dov’era scritto a lettere d’oro: Ma noi non sappiamo quello che pensiamo davvero. Molti credono di credere, e invece non credono; e molti credono di non credere, e invece credono.9
L’università e la fuga in America
Negli anni tra la fine del liceo e l’università si avviano e consolidano le amicizie decisive: ai fratelli Richelmy – nel 1922 aveva salvato Lello dall’annegamento nelle acque del Po, atto che gli valse la medaglia al valor civile – si aggiunsero Mario Bonfantini, Carlo Levi, Giacomo Debenedetti e Piero Gobetti, che gli era stato presentato dal poeta e amico Giacomo Noventa. Gli anni dell’università, in una Torino che è ancora un centro culturale di prima importanza, sono anni «belli e seri, sostanziosi», come li definirà poi Giorgio De Blasi,10 durante i quali si compie una gioiosa educazione letteraria e artistica: dai romanzi europei contemporanei – la di Proust scoperta da Debenedetti – la poesia di Umberto Saba, fino alle opere di Felice Casorati (che era possibile incontrare nel tardo pomeriggio, seduto ai tavolini del caffè Dilei in via Po), Soldati sembra interessarsi di tutto, e tutto sembra assorbire, rielaborare, fare proprio.
Nel 1927 Soldati si laurea, relatore Lionello Venturi, discutendo una tesi in storia dell’arte dedicata al pittore cremonese Boccaccio Boccaccino e vince una borsa di studio triennale per i corsi di perfezionamento presso l’Istituto superiore di storia dell’arte di Roma, dove studia con Adolfo Venturi e Pietro Toesca. Ovunque vada, Torino, l’alta Val di Susa, Roma, Soldati annoda amicizie, scopre nuovi stimoli, fa esperienze che poi serviranno da spunto per i romanzi e racconti futuri. Altri incontri decisivi sono, nel 1927, quelli con Alberto Moravia (già conosciuto nelle vacanze in Versilia degli anni Dieci) ed Emilio Cecchi. Sono, questi, anni felicemente laboriosi: collabora con la rivista diretta da Lionello Venturi e cura il catalogo della Galleria d’arte moderna del Museo civico di Torino. Nel 1928, insieme a Enrico Emanuelli e Mario Bonfantini fonda e dirige la rivista (1928-30). Nelle edizioni della rivista pubblica la sua prima opera narrativa, la raccolta di novelle , che raccoglie immediati e lusinghieri consensi con recensioni di, tra gli altri, Giuseppe Antonio Borgese, Elio Vittorini, Eugenio Montale. Il futuro, fra carriera universitaria, letteratura e collaborazioni ai giornali sembrerebbe dunque tracciato. Eppure, non appena si presenta l’occasione – ovvero non appena, nel 1929, ottiene una borsa di studio alla Columbia University – Soldati fugge. Così, sulla rivista , descriverà la sua decisione di abbandonare gli studi di storia dell’arte a Roma:
Mi dicevo che ero nato per scrivere, per scrivere...