E-Book, Italienisch, 187 Seiten
Reihe: Narrativa
Söderberg / Ciaravolo La giovinezza di Martin Birck
1. Auflage 2024
ISBN: 978-88-7091-786-4
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
E-Book, Italienisch, 187 Seiten
Reihe: Narrativa
ISBN: 978-88-7091-786-4
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Stoccolma, fine Ottocento: Martin Birck è un bambino che ama la sua famiglia, beneducato e gentile. Ma è già diverso dagli altri: sta spesso in disparte, vive nei sogni e nell'immaginazione, ha sempre nostalgia dell'altrove, a Natale dell'estate, in estate della neve e della magia del Natale. Passano gli anni e Martin è un ragazzo diplomato che spera di diventare un poeta e si augura un amore infelice e un posto all'Accademia Svedese, o di vivere da eremita e scrivere per aprire gli occhi all'umanità sul senso della vita e la verità. Ma qual è la verità? Martin la cerca mentre tenta di partecipare ai rituali dei suoi compagni borghesi: un lavoro nella pubblica amministrazione, le serate all'opera, le bevute al bar. Ma «cosa ne abbiamo fatto della vita?» si ripete. Come può trovarsi a suo agio in una società in cui le donne sono represse, costrette a proteggere la loro «virtù» o a macchiarsi della sua perdita, con la compiacenza dei gentiluomini? E come può credere nello stesso dio di sua madre, tutore dell'ordine borghese, e nel suo «cristianesimo per tradizione e consuetudine»? Con grande sensibilità lirica e sottile ironia, Hjalmar Söderberg tratteggia un personaggio che sente lo stesso scollamento tra l'io e la vita di Niels Lyhne di Jacobsen e Malte Brigge di Rilke, in un classico assoluto del Novecento scandinavo. Martin Birck è un rispettabile cittadino, ma anche un femminista ante litteram, un ateo sofferto, un poeta talentuoso eppure mai pubblicato. Finché non scoprirà una possibile felicità minore, da vivere in clandestinità nelle notti di Stoccolma, perché forse solo fuori dalle gabbie delle convenzioni e del perbenismo si trova la vita vera.
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II
Quando si svegliò, la mamma era lì, accanto al letto, con una camicia bianca pulita in mano e gli diceva:
«Alzati, piccolo dormiglione, Maria è già andata a scuola. Non ti ricordi che oggi è il giorno della razzia del pero in cortile? Devi spicciarti se vuoi che resti qualcosa anche per te!»
La mamma di Martin aveva gli occhi azzurri e i capelli castani. E lo sguardo in quegli occhi, allora, era ancora ridente e radioso.
Lasciò la camicia sul letto, gli fece un cenno e uscì.
Maria era la sorella maggiore di Martin. Aveva nove anni. Andava a scuola e sapeva già come si dicevano molte cose in francese.
Ma Martin aveva ancora le palpebre pesanti di sonno e la testa confusa dal sogno, e non si decideva ad alzarsi.
La tenda era alzata e la luce del sole riempiva la stanza. La porta della cucina era socchiusa. Lotta si era sporta dalla finestra a parlare con qualcuno, di sicuro Häggbom, il portiere. Infatti Häggbom si mise a cantare giù in cortile con la sua voce da ubriaco:
S’io fossi ricco come Salomone
e avessi soldi in moneta sonante,
per la Turchia partirei all’istante
e di ragazze ne comprerei un milione.
«E cosa se ne farebbe, Häggbom, di così tante?» domandò Lotta. «Proprio lei che neanche sa tenere a bada la sua madama?»
Martin non arrivò a sentire la risposta di Häggbom, ma Lotta scoppiò in una risata sonora.
«È proprio uno svergognato, Häggbom», esclamò.
Doveva essere la moglie del portiere che usciva in cortile in quel momento: si sentì un rumore come di qualcuno che gettava via l’acqua sporca dei piatti. E subito prese a strapazzare Häggbom, e anche Lotta. Lotta ci rise sopra e chiuse la finestra sbattendola.
Martin rimase sdraiato, semi sveglio, a fissare le crepe del soffitto. Ce n’era una che era davvero identica a madama Häggbom, a guardarla bene.
La campana della chiesa di Ladugårdslandet batteva le nove,2 e quando ebbe finito di battere, cominciò l’orologio della sala. Martin saltò giù dal letto e corse alla finestra per vedere se c’erano ancora pere sull’albero.
Il pero del cortile era amato dai gatti e dai bambini del caseggiato. Era un albero vecchio e imponente, molti rami erano già secchi e morti, ma gli altri producevano ancora fiori e verde in primavera e frutti in autunno.
I ragazzi di Häggbom, arrampicati in cima all’albero, buttavano giù le pere, dopo essersi fatta la propria scorta in tasca, mentre sotto la schiera degli altri bambini si accapigliava per ogni frutto che cadeva. In mezzo al branco la signora Lundgren, con la sua figura massiccia e la sua voce possente, cercava di mantenere un minimo di equità, ma nessuno le dava retta. La piccola Ida Dupont, sola in disparte, guardava a occhi sgranati e le mani dietro la schiena, senza osare lanciarsi nella mischia. La signora Lundgren, comunque, non si preoccupò di farle arrivare neanche una pera, perché non aveva buoni rapporti con il signor Dupont, violoncellista dell’orchestra dell’Opera Reale.
Martin, preso all’improvviso dalla foga, si infilò in fretta e furia i vestiti e si precipitò giù per le scale.
Lotta gli urlò dietro:
«Non dovresti lavarti e pettinarti, almeno?…»
Ma Martin era già in cortile. La signora Lundgren lo prese subito sotto la sua protezione.
«Butta giù una pera per Martin, John. Tieni ben in alto il berretto, piccolo, che ti danno una pera…»
Una pera atterrò nel berretto. Ma ecco che Martin non riusciva a trovare il coltellino: voleva sbucciarla.
«Dammela qui, che te la sbuccio io», disse la signora Lundgren.
Afferrò la pera, la morse con i suoi grossi denti gialli e strappò via un pezzetto di buccia. Martin spalancò gli occhi e si fece tutto rosso. Adesso non la voleva più per niente, la pera.
In quella il signor Dupont, che stava alla finestra con lo zucchetto rosso in testa a fumare la sua pipa in maniche di camicia, si sporse e rise della signora Lundgren.
Lei si offese:
«È un bambino viziato», disse.
John esibì trionfante l’ultima pera, i ragazzini lanciarono grida di urrà, ma lui se la ficcò in tasca. Poi Ville ne trovò un’altra, e quella era proprio l’ultima; quando scorse la piccola Dupont vicino al muro con le lacrime agli occhi, gliela gettò generosamente nel grembiule. Si levò un nuovo coro di urrà: la razzia del pero era finita.
Ma a quel punto uscì madama Häggbom:
«Santo cielo che cagnara, e proprio mentre Häggbom è in punto di morte! Scendete da quell’albero, mocciosi!»
Häggbom era stato malato qualche tempo prima, e la fantasia della moglie tornava spesso e volentieri a quel tempo relativamente felice.
Non appena i ragazzi scesero dall’albero, afferrò John per i capelli e Ville per l’orecchio e li trascinò in casa. Ma la signora Lundgren si sentì punta sul vivo: in un certo senso, aveva presieduto lei alla scena. Inoltre i battibecchi la divertivano, non perse quindi l’occasione di criticare con sarcasmo il comportamento fuori luogo di madama Häggbom, la quale mollò all’istante i ragazzi e le si piantò davanti con le mani sui fianchi. Scoppiò un bel litigio, accorsero spettatori e si spalancarono le finestre di tutte le cucine.
Alla fine una voce irruppe nella gazzarra:
«Sst! Il sottosegretario!»
Di colpo calò il silenzio: Oldthusen, sottosegretario al ministero, era il proprietario dell’appartamento più grande, e l’inquilino più distinto di tutto il caseggiato. Indossava una redingote lunga e attillata e portava una cartella di pelle logora sotto il braccio. Arrivato in fondo alle scale, si fermò per una presa di tabacco, e uscì a passo lento dal portone con l’espressione distratta e preoccupata dell’uomo di stato.
Martin e Ida sgattaiolarono fuori in strada, mano nella mano. Si avventurarono timidamente oltre il portone e si fermarono in mezzo alla via, strizzando gli occhi per il sole.
La strada era bordata da case di legno, tetti di tegole e alberi verdi. Il caseggiato dove abitava Martin era l’unico in pietra di tutta la via. La «Fila lunga», una fila di casette basse di un grigio sporco, in diagonale sul lato opposto, era immersa nell’ombra. Lì ci abitavano solo i più indigenti, diceva la madre di Martin. La feccia, nella versione della signora Lundgren. Alla tintoria un po’ più giù sulla via c’era evidentemente poco da fare: il tintore era sulla porta in ciabatte e camice di lino bianco e parlava con la donna nel negozio. Perfino fuori dall’osteria dell’angolo era tutto tranquillo. Un carro della birra era fermo davanti, e il cavallo, le gambe anteriori legate, mangiava l’avena da un sacco appeso al muso.
La campana della chiesa di Ladugårdslandet batté le dieci.
Ida indicò in fondo alla strada:
«Arriva la vecchia delle capre.»
L’anziana donna stava avvicinandosi con le sue due capre, una tenuta alla corda e l’altra libera. La nipotina del sottosegretario aveva la pertosse e doveva bere latte di capra.
«Sì, e là arriva lo straccivendolo.»
Il vecchio straccivendolo passò tutto curvo dal portone, con il suo sacco in spalla e il bastone nero e bisunto in mano. Dicevano che avesse visto giorni migliori.
Due ubriachi uscirono dall’osteria e si avviarono barcollando per la via, tenendosi a braccetto. Un agente di polizia in pantaloni bianchi di lino camminava su e giù, dalla tasca posteriore spuntava una copia del giornale .3 Un corteo di galline uscì dall’aia della Fila lunga, con in testa il gallo; il poliziotto si fermò, tirò fuori mezza pagnotta dalla tasca posteriore e si mise a dargli da mangiare.
«Che facciamo?» domandò Ida.
«Non so», rispose Martin.
Sembrava molto imbarazzato.
«Vuoi la mia pera?»
Ida prese la pera dalla tasca e la mise sotto il naso di Martin. Aveva un aspetto molto invitante.
«Possiamo fare a metà», propose Martin.
«Dai, facciamo a metà.»
«Ma non ho un coltello per dividerla!»
«Non fa niente. Mordi prima tu, poi mordo io!»
Martin diede un morso e lo stesso fece Ida. Martin dimenticò che voleva la pera sbucciata.
Ora c’era qualcuno che chiamava Martin: l’attimo dopo arrivò la nonna e lo prese per mano.
«Santo cielo, Martin, ma che cosa hai in testa, oggi? Non devi pettinarti, lavarti e fare colazione? Diamine di un birbante.»
La nonna doveva fare la cattiva, ma Martin rideva.
Nell’androne incrociarono Häggbom, che già camminava un po’ malfermo. Cedette cerimoniosamente il passo e si tolse con grande ossequio il berretto, continuando a bofonchiare la sua canzone:
per la Turchia partirei all’istante
e di ragazze ne comprerei un milione.
Nel cortile c’era silenzio. Il gatto grasso e fulvo di madama Häggbom faceva le fusa sdraiato a occhi socchiusi sopra...