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E-Book

E-Book, Italienisch, 450 Seiten

Reihe: Sotterranei

Smith Cambiare idea


1. Auflage 2010
ISBN: 978-88-7521-292-6
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

E-Book, Italienisch, 450 Seiten

Reihe: Sotterranei

ISBN: 978-88-7521-292-6
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



La giovane autrice-bestseller dei romanzi Denti bianchi, L'uomo autografo e Della bellezza, acclamata dalla critica come una delle voci più importanti della narrativa anglofona contemporanea, tradotta e amata in tutto il mondo, pubblica per la prima volta un'opera di saggistica, e sceglie di farlo in Italia con minimum fax. Cambiare idea raccoglie articoli, recensioni, saggi (alcuni dei quali apparsi in Italia sulle pagine di Internazionale) che spaziano dalla letteratura al cinema alla politica, fino alla confessione personale. Zadie Smith analizza l'opera di classici della letteratura come Vladimir Nabokov, Franz Kafka, E.M. Forster e il recentemente scomparso David Foster Wallace; racconta la propria esperienza personale nelle bidonville della Liberia al fianco dei responsabili di una ong, ma anche negli hotel di Los Angeles durante la settimana degli Oscar; rievoca la grandezza di attrici come Katharine Hepburn e Anna Magnani e riflette sulla potenza retorica di Barack Obama; scrive pagine rivelatrici sul processo creativo della scrittura, e sulle dinamiche familiari che hanno contribuito a formare i suoi gusti e la sua personalità. A ciascuno di questi argomenti applica una lucidità di sguardo e un'originalità di pensiero affascinanti, e uno stile brillante, già ben noto ai suoi lettori, che mescola rigore e ironia. Il risultato è una ricognizione godibilissima quanto autorevole di mille aspetti del nostro panorama culturale; ma anche una sorta di diario personale in cui scopriamo, quasi senza filtro, le passioni, i gusti, le idiosincrasie di una scrittrice di straordinario talento.

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SENTIRSI DEL MESTIERE


1. Macropianificatori e Microgestori


Prima di tutto, un’avvertenza: ciò che ho da dirvi sul mio mestiere non va oltre la mia esperienza personale, che è quella che è – dodici anni e tre romanzi. Anche se il mio intervento sarà diviso in dieci brevi sezioni che rappresentano le varie fasi della stesura di un romanzo, quella che descrivono più precisamente, in verità, è la stesura dei romanzi. Chiarito questo, voglio mettere a vostra disposizione due brutti termini per indicare due specie diverse di scrittori: il e il .

Il Macropianificatore si riconosce dai suoi post-it, dalle Moleskine che insiste a comprare. Il Macropianificatore prende appunti, organizza il materiale, elabora una trama e crea una struttura: tutto ciò prima ancora di scrivere il titolo del libro. Questa sicurezza strutturale gli concede una grande libertà di movimento. Non è raro che i Macropianificatori comincino a scrivere i loro romanzi partendo dal centro. Man mano che procedono, in avanti o all’indietro, le loro difficoltà si moltiplicano con il moltiplicarsi delle scelte. Conosco Macropianificatori che sostituiscono ossessivamente un finale con un altro, tolgono personaggi dal libro e ce li rimettono, invertono l’ordine dei capitoli e compiono frequenti – e per me impensabili – interventi radicali sul romanzo: spostano l’ambientazione da Londra a Berlino, ad esempio, o cambiano il titolo. Io non riesco neanche a starli a sentire quando parlano di tutto questo, non perché lo disapprovi, ma perché i metodi degli altri scrittori sono sempre assolutamente incomprensibili e terrificanti. Dal canto mio, sono un Microgestore. Inizio un romanzo dalla prima frase e lo concludo con l’ultima. Non mi verrebbe mai in mente di scegliere fra tre finali diversi, perché non ho la più pallida idea di quale possa essere il finale finché non ci arrivo, e chi ha letto i miei romanzi non ne sarà sorpreso. I Macropianificatori hanno la casa quasi tutta costruita fin dal primo momento, e dunque la loro ossessività si concentra sull’interno: spostano di continuo i mobili. Mettono una sedia in camera da letto, poi in salotto, poi in cucina e poi la riportano in camera da letto. I Microgestori costruiscono la casa piano per piano, procedendo per singoli elementi fino all’interezza. Ogni piano dev’essere robusto e ben arredato, con tutti i mobili al loro posto, prima che sopra se ne possa costruire un altro. Nel corridoio c’è la carta da parati anche se le scale non portano ancora da nessuna parte.

Dato che i Microgestori non fanno progetti su larga scala, i loro romanzi esistono solo nel momento presente, in una certa sensibilità, nella frequenza tonale di ogni riga. Quando comincio un romanzo, sento che di quel romanzo non c’è nulla al difuori delle frasi che metto sulla pagina. Devo stare molto attenta: l’intera natura dell’opera cambia a seconda della scelta di qualche parola. Il che conduce a un tipo particolare di patologia per la quale ho un altro brutto nome: sop, ossia . Si presenta soprattutto nelle prime venti pagine. È una sorta di dramma esistenziale, una lunga risposta alla breve domanda Si manifesta sotto forma di fissazione ossessiva sulla prospettiva e la voce narrante. Nel giro di un solo giorno le prime venti pagine possono passare dal presente in prima persona al passato in terza persona, al presente in terza persona, al passato in prima persona, e così via. Cambio il tutto diverse volte al giorno. Dato che sono una scrittrice inglese schiava di un’antica tradizione, in ogni mio romanzo ho finito per ritrovarmi allo stesso punto da cui ero partita: terza persona, tempo passato. Ma passo mesi a rigirare il testo da una modalità all’altra. Aprendo i romanzi altrui, un Microgestore riconosce subito gli altri Microgestori: quell’accumulo iniziale di frasi scritte con fin troppa cura, rilavorate ossessivamente, un blocco di ampollosa verbosità che si scioglie e si rilassa solo una volta superato il traguardo delle venti pagine. Nel caso di , la mia sop è degenerata incontrollabilmente: quelle prime venti pagine le ho riscritte per quasi due anni. Ripensare a tutte le proprie opere passate fa venire la nausea, ma le prime venti pagine in particolare danno le palpitazioni. È come fare visita a una cella dove un tempo si è stati incarcerati.

Eppure, mentre la sop fa il suo corso, in qualche modo il resto del romanzo viene alla luce. È questa la cosa strana. È come dare la carica a una macchinina girando e rigirando la chiavetta a molla... Quando alla fine la lasciamo andare, parte a una velocità pazzesca. Stabilito una volta per tutte il tono, il resto del libro l’ho finito in cinque mesi. Scervellarsi sulle prime venti pagine è un modo per lavorare sull’intero romanzo, per trovarne la struttura, la trama, i personaggi: tutte cose che, per un Microgestore, sono contenute nella sensibilità di una frase. Quando c’è il tono, il resto viene di conseguenza. Certi decoratori di interni dicono lo stesso a proposito di una sfumatura di vernice.

2. Le parole altrui, prima parte


Scrivere un romanzo è fondamentalmente un trucco basato sulla credulità. E la prima persona che dovete convincere a crederci siete voi stessi. È difficile riuscirci da soli. Io raccolgo frasi in giro, citazioni, l’equivalente letterario di una squadra di cheerleader. Solo che l’analogia non è molto azzeccata: le cheerleader ispirano allegria. Io attacco al muro cartelli che mi fanno stare malissimo. Per cinque anni ho tenuto appiccicata alla porta una citazione da :

Dobbiamo trovare quegli strumenti di misura di una scala sconosciuta al mondo, tracciare i nostri stessi disegni schematici, elaborare il segnale di retroazione, stabilire i collegamenti, ridurre il margine d’errore, cercare di apprendere la funzione reale... su quale incalcolabile disegno dobbiamo azzerare l’obiettivo?

All’epoca, probabilmente pensavo che il compito del romanzo fosse andare alla scrupolosa ricerca di informazioni nascoste: personali, politiche o storiche che fossero. Dico perché non riconosco più quella scrittrice, e la sua idea di romanzo già mi sembra oppressiva, aliena, inutile. Credo che questa sensazione non sia insolita, specie agli inizi. Non tanto tempo fa, durante una cena, ero seduta accanto a un giovane scrittore portoghese e gli ho detto che volevo leggere il suo primo romanzo. Lui mi ha afferrato un polso, in preda a una sincera disperazione, e ha detto: «No, ti prego, non lo fare! All’epoca leggevo solo Faulkner. Non avevo . Oddio, ero tutta un’altra persona!»

Ecco, funziona così. Le parole altrui sono molto importanti. E poi, senza nessun preavviso, smettono di essere importanti, così come tutte le vostre parole che le parole vi hanno stimolato a scrivere. Gran parte dell’esaltazione che ci dà un nuovo romanzo sta nel poter ripudiare quello precedente. Le parole altrui sono il ponte che si usa per passare da dove si è a dove si vuole andare.

Ultimamente mi sono imbattuta in una nuova citazione. L’ho messa come screensaver sul computer, mi aiuta a crederci un po’ mentre cerco di scrivere un altro romanzo. È un pensiero di Derrida, molto semplice:

Se non si mantiene il diritto al segreto si entra in uno spazio totalitario.

Vale a dire: basta con la dissezione umana, basta entrare nella testa dei personaggi, spaccarla come una noce, estirparne ogni segreto! Per ora, questo è il mio nuovo atteggiamento. Fra qualche anno, quando questo libro sarà finito e ne starò cominciando un altro, le cose cambieranno ancora.

«»: credo che lo pensino molti scrittori, nel passaggio da un libro all’altro. Un nuovo romanzo, cominciato con speranza ed entusiasmo, fa presto a diventare imbarazzante ed estraneo agli occhi del suo autore. Quando si finisce di scrivere un libro, non si vede l’ora di cominciare a odiarlo (e in effetti quel momento non tarda mai molto ad arrivare): nel sentirsi distrutti si guadagna una strana forma inversa di fiducia in se stessi, perché essere distrutti, dover ricominciare daccapo, vuol dire avere dello spazio davanti, una direzione in cui andare. Pensate a quell’esclamazione rivelatrice che Shakespeare ha messo in bocca a re Giovanni: «Infine l’anima ha spazio per respirare!» In campo narrativo, il vero incubo sta nel perdere il desiderio di muoversi.

3. Le parole altrui, parte seconda


Certi scrittori non leggono niente di nessun romanzo finché sono impegnati a scrivere il proprio. Nemmeno una parola. Non vogliono vedere neanche la copertina di un romanzo. Mentre scrivono, il mondo della letteratura muore: nessuno ha mai scritto, nessuno sta scrivendo, nessuno scriverà più. Provate a consigliare un bel romanzo a uno scrittore di questo tipo mentre è al lavoro, e vi guarderà come se l’aveste pugnalato al cuore con un coltello da cucina. È questione di temperamento. Certi scrittori sono come quei violinisti che per accordare lo strumento hanno bisogno del più totale silenzio. Altri...



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