Slataper | Il mio Carso | E-Book | sack.de
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E-Book, Italienisch, 54 Seiten

Slataper Il mio Carso


1. Auflage 2015
ISBN: 978-963-526-389-9
Verlag: Booklassic
Format: EPUB
Kopierschutz: 0 - No protection

E-Book, Italienisch, 54 Seiten

ISBN: 978-963-526-389-9
Verlag: Booklassic
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L'opera viene concepita come un'autobiografia lirica e si articola in tre parti corrispondenti a tre periodi della vita del protagonista-autore, l'infanzia, la giovinezza e la maturita. Momenti chiave del simbolismo del libro sono la discesa a Trieste e la salita sul Secchieta, che corrispondono a momenti di svolta nella vita di Scipio. Il punto centrale dell'opera e la disperazione per il suicidio della donna amata e per la morte della madre. Per Slataper l'atto del suicidio toglie valore e senso a qualunque atto umano. Nonostante questo, dopo un lungo dramma interiore, la conclusione e positiva e si concretizza nell'ultima, bellissima pagina in cui viene condensato il messaggio del libro: anche se non esistono piu valori assoluti che possano giustificare e dare un senso alla vita e alle azioni degli uomini il protagonista sceglie di andare avanti ugualmente e di accettare l'esistenza cosi com'e in base ai principi del volontarismo etico.

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Eh, ma in città, prima ancora di andar lassú in carso, io mi annoiai molto. Ora ci penso; e vorrei raccontarvi dei miei anni di scuola, dei miei cari condiscepoli, delle prime persone che conobbi; ma non m'interessa abbastanza. Vi scriverei lunghe pagine seccanti. Invece è bello raccontare godendo delle proprie avventure e dei sogni. Io mi diverto pensando alla mia vita. Anche la città è divertente, sebbene qualche volta m'abbia seccato. Mi piace il moto, lo strepito, l'affaccendamento, il lavoro. Nessuno perde tempo, perché tutti devono arrivare presto in qualche posto, e hanno una preoccupazione. Nei visi e negli stessi passi voi potete riconoscere subito in che modo il passante sta preparando l'affare. Se guardate bene, siete subito presi in un gioco eccitante d'operosità, e la vostra intelligenza batte e rimanda istantaneamente i possibili attacchi d'astuzia, di coltura, di bontà, di vendetta. Un inquieto e giovine animale s'agita in voi, e voi andate per le strade ricchi della sua vita istintiva, com'uno a cui ricircoli il sangue nella mano stecchita di freddo sotto il guanto. Andate contenti nell'aria fusa di strepiti e volontà, sentendo che qui, dove l'interesse d'ogni passante trabocca, comunica, scorre negli altri, e si scansan gli urti e i carri accogliendo con logica inavvertenza le mosse altrui qui, nella strada, si decide il domani del mondo. E io vado per le strade di Trieste e sono contento ch'essa sia ricca, rido dei carri frastornanti che passano, dei tesi sacchi grigi di caffè, delle cassette quasi elastiche dove fra trine e veli di carta stanno stivati i popputi aranci, dei sacchi di riso sfilanti dalla punzonatura doganale una sottile rotaia di bianca neve, dei barilotti semisfasciati d'ambrato calofonio, delle balle sgravitanti di lana greggia, delle botti morchiose d'olio, di tutte le belle, le buone merci che passano per mano nostra dall'Oriente, dall'America e dall'Italia verso i tedeschi e i boemi. Se voi venite a Trieste io vi condurrò per la marina, lungo i moli quadrati e bianchi nel mare, e vi mostrerò le tre nuove dighe nel vallon di Muggia, fisse nell'onde, confini della tempesta, costruite su enormi blocchi di calcare cementato. Per il nuovo porto minammo e frantumammo una montagna intera. Mesi e mesi di furibondi squarciamenti che rintronavano l'orizzonte e s'abbattevano come il terremoto sulle nostre case piene di finestre. E piccoli vaporini, un po' superbi del loro pennacchio di fumo, facevan rigar dritte lunghe file di maone tutte pancia, - e dalla strada napoleonica si vedeva sfolgorar nel mare i carichi di pietra scintillante. Quest'è il quarto porto di Trieste. La storia di Trieste è nei suoi porti. Noi eravamo una piccola darsena di pescatori pirati e sapemmo servirci di Roma, servirci dell'Austria e resistere e lottare finché Venezia andò giú. Ora, l'Adriatico è nostro. Io avrei dovuto fare il commerciante. Mi piacerebbe di piú trattare e contrattare che studiare i libri. La bella cosa viva che è l'uomo! le sue mani che s'insaccocciano per nascondervi i moti istintivi alle vostre parole, i suoi misteriosi occhi fondi che s'attaccano su i vostri per impedirvi il salto di fianco, la sua idea precisa, sotterranea, che vi chiama al centro vorticoso girandovi in spirale ironica dietro le spalle! Bella cosa è l'uomo, e mette voglia di combattere. Dal suo modo di parlare voi capite che prezzo bisogna fargli. Egli guadagna tempo, sorride, pulisce gli occhiali, accende una sigaretta - voi, ecco sapete la vostra strada e le tappe. Oh! anch'egli è giunto all'improvviso, e fa finta di non guardarvi, ma tutto il suo corpo si meraviglia della scoperta e si slaccia gioioso di sicurezza: e voi siete due uomini smascherati di fronte, e armati che l'altro non si rificchi nella macchia. Ma chi di voi sa far smaniare quell'altro della sua insufficiente certezza? Chi sa rigirarlo nelle mani e spremer acqua dal fuoco e spegnerlo, e bruciarlo secco? Anche domani è un giorno: e un giorno che può dar mille per le cento corone che oggi vi siete fatte rubare. Ah quel caffè che nel Brasile fiorisce male questa primavera! Primavera, calda primavera, amici miei, nuovo sole su grano nuovo, strade piú larghe e braccia piene di rami fioriti - e noi andiamo a scuola con il pacco di libri al fianco. Andiamo fra la gente e le carrozze, trasognati dietro i nostri desideri di commercianti, di soldati, di pompieri; levandoci ogni mattina alle sette, alle sette e qualche minuto di dolce coscienza semisveglia di letto, ogni mattina, perché, la domenica, c'è messa. Primavere lampanti ai verdi scuretti. Grigia piovosità d'inverno. Pomi e pere grasse sugli alberi. Autunno ritornato. Ogni mattina. Il falegname pialla; - l'officina nera con la macchia sfavillante, alcuni mezzivisi, un martello in alto; - gli operai con i calzoni blu sollevare il lastricato e picconare il massiccio terreno per una conduttura d'acqua o di gas. Com'è triste il piccone e la vanga nel terreno battuto della città! Si lavora senza che nessuno vi possa seminare. Ecco il casamento arido. Otto classi, venti parallele. Qua dentro ho passato nove anni della mia vita.   Una buona ragazza, di carne incitante e un glovane alto e forte, qualche volta triste. Essi si sposeranno fra ott'anni. Essi stanno seduti su un largo sofà, tenendosi strette le mani e godendo dei loro caldi corpi. La mamma vuol assai bene alla figliola, ed è un po' seccata dei lunghi anni e della serietà del giovane. Sarà contenta quando si sposeranno, se il giovane non porterà via la figliola e staranno insieme, allegri e senza tormenti. La zia corre, alzando e calando con la sua gamba zoppa, a preparare l'arrosto per la nipote bella che le promette un bacio. La zia è contenta che essa faccia come vuole il giovane, non vada ai balli, vada poco al teatro, legga qualche libro. Egli è l'unico che la difenda contro la cognata, e la zia gode che l'idee di lui siano opposte a quelle della cognata. Il babbo, a tavola, si sbottona il gilè e additando con la mano grassa e unta la sovrabbondanza delle vivande dice soddisfatto: "Se moro mi, i mii no i ga de magnar". Egli è contento d'aver sulle spalle un peso sempre piú grave, e brontola sempre perché i suoi capiscano com'egli sappia lavorar bene. Il giovane comprende benissimo tutta la piccola famiglia estranea, e anche l'ammira. E la ragazza è buona, e quando egli la rimprovera o s'addolora perché non si capiscono, gli dice con carezza: "Sí, sí, ti ga ragion, ma ti vederà, studierò, legerò, semo tanto giovini. No stemo esser tristi, dai!". E gli anni passano, passano tre anni, e ognuno un giorno vede la sua strada. Cosí il giovane intruso lasciò la povera ragazza disperata, salutò la mamma, andò via e soffrirono per qualche tempo.   Ero stato socio della "Giovine Trieste", non mi ricordo piú sotto che nome, perché il regolamento delle scuole medie austriache proibiva allora di far parte di qualunque società, "specialmente se politica". Pagavo regolarmente i dieci soldi settimanali. Assistevo regolarmente alle sedute. Tintinno del campanello automatico, il socio entrava, diceva: "Bonasera", guardava attorno per trovare un conoscente, si faceva portare una bottiglia di birra dal custode - un ometto simpatico con orecchie a vela e naso grosso e lungo, a cui sarebbero stati bene i colletti a risvolto dei nostri nonni, - accendeva una sigaretta, leggeva i giornali, chiacchierava. Non si faceva niente, ma ci si consolava pensando alla preparazione. Tutti si lagnavano della "Patria", la direzione del partito liberale di cui noi eravamo l'ala sinistra; ma prima di decidere un leggero rimprovero a questo o quel nostro uomo rappresentativo, si domandava il permesso alla "Patria". Una sera, in seduta, quando l'i. r. commissario era già andato via - perché quando c'era lui si davano annoiatamente i resoconti di cassa e si leggeva sorridendo la relazione ufficiale, - si inveí con forte parola contro l'apatia remissiva di Hortis e degli altri deputati. Poi si votò un vibrato ordine del giorno; e, come cosa implicita, il presidente domandava chi volesse venir con lui da Venezian per il nulla osta. Io chiesi timidamente dalle sedie: «Ma perché domandare il permesso a Venezian?». Tutti rimasero stupiti. S'alzò su un giovanotto dal viso insecchito e mummificato in buchi e angolosità, e sorrise con indulgente compassione fra i denti guasti, salivando abbondante. Poi disse, un po' tartaglia, ma come chi la dice buona: «Se vedi che 'l mulo ga de magnar 'ncora pagnote!». Si sedette contento, e tutti risero battendo le mani. Fu quella l'unica volta che pronunziai mezza parola in seduta pubblica. Del resto brontolavo con i pochi altri ingenui intorno a un tavolo-scacchiere, progettando ogni sera di formar la "montagna" nel seno stesso della società. Ma non si concluse mai nulla. E soprattutto ascoltavo i discorsi dei maggiori, per imparar di politica, per aver armi contro la zia che disapprovava l'occuparsi d'irredentismo. Parlavano in generale di trucchi da fare alle guardie, dell'ultima schifoseria giallonera dei socialisti, del loro capo ufficio come si sedeva sulla sedia e teneva la penna. Uno poteva imparare come si fabbrica lo schizzetto triplice per dipingere di biancorossoverde la k. k. polizia; e poteva anche essere informato che Franzca del 41 era passata, per cause ignote, nel casino in via del Solitario. Un giovanottino con un neo-tre-peli-lunghi raccontava della campagna a Domokos e della strippata data a Roma per l'anniversario...



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