E-Book, Italienisch, 480 Seiten
Reihe: Gli Iperborei
Åsbrink Il mio grande, bellissimo odio
1. Auflage 2025
ISBN: 978-88-7091-743-7
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
E-Book, Italienisch, 480 Seiten
Reihe: Gli Iperborei
ISBN: 978-88-7091-743-7
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Scrittrice e giornalista svedese, si è affermata in patria e all'estero con reportage letterari di argomento storico e sociale che fondono fascino narrativo, una ricerca minuziosa e una profonda sensibilità, ottenendo premi prestigiosi come l'August e il Kapu?ci?ski. Iperborea ha pubblicato 1947, racconto poetico di un anno decisivo per la storia dell'Occidente, Made in Sweden, un viaggio tra cinquanta parole, eventi e personaggi che hanno fatto la Svezia, e Abbandono, che racconta tre generazioni di donne sullo sfondo della storia del Novecento.
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1
Una bambina in un cortile. Dietro di lei due edifici bassi: la casa in cui è nata e in cui vive insieme ai genitori e a una sorella di quattordici anni più grande. Davanti a lei una vasta pianura e l’orizzonte. Solo qualche tratto di boscaglia e pochi alberi isolati interrompono la linea che corre intorno a tutto il creato del Signore, meraviglia delle meraviglie, amen. Sente i cavalli muoversi nella stalla, grandi creature possenti e odorose. Le oche becchettano il terreno, fingendo che la ghiaia sia mais. Il gatto sta in agguato nell’ombra, fingendosi un leone. La bambina aspetta al sole, fingendosi un maschio. Il padre arriva con i cavalli, uno grande per sé e uno piccolo per lei. Finalmente. Aspetta quel momento da ore, desiderosa di uscire all’aria aperta, di sentire i muscoli del cavallo che si muovono e il vento che soffia sulla pianura.
La bambina studia ogni giorno, sotto la supervisione della madre. Con lo stesso zelo con cui impara a temere Dio, impara a scrivere e a far di conto. Ripete le coniugazioni dei verbi francesi e si esercita nei lavori all’uncinetto, nel ricamo e nel rammendo, tutte cose che una donna deve saper fare. Legge e rilegge i brani del catechismo ad alta voce, finché non li sa a memoria. La madre è silenziosa ma determinata. Programma il lavoro in modo che la figlia riceva la miglior educazione possibile a casa, come è stato per lei. Scrivere versi, leggere libri, sviluppare il pensiero, suonare il piano, imparare la posizione delle dita sulla tastiera, spostando il pollice a metà di una scala per suonare tutte le note di un’ottava con una mano sola, leggere la musica così come le ricette di cucina; a sua figlia insegna tutto questo.
Victoria Maria Bruzelius è una bambina intelligente, a cui piace imparare cose nuove. Solo che la scuola della madre è terribilmente fredda, priva di gioia, solitaria e desolata. L’unico modo per sopportarla è sognare a occhi aperti. Ma dato che è sola e non può nascondersi dietro alle mani alzate degli altri alunni, è costretta a dividersi in due.
Due bambine magroline. Due Victoria. Una è seduta sullo sgabello di legno, con un vecchio vestito della sorella aggiustato per coprirle le lunghe gambe, concentrata e diligente, legge ad alta voce i brani della Bibbia e si sforza di apparire presente. Contemporaneamente, in segreto, si trasforma nell’altra Victoria. È una trasformazione rapida, quasi impercettibile: si rintana in se stessa e diventa una bambina allegra e avventurosa che attraversa in lungo e in largo paesaggi fantastici. Mentre la prima Victoria legge il catechismo, la seconda si gode il sole, incontrando pericoli e grandi divertimenti. Si lancia al galoppo sfrenato su pianure sconfinate, parte per un lungo viaggio in Italia, ammira i frutti dei limoni, assiste a spettacoli d’opera e compra bei vestiti. Passeggia per giardini, vestita di sete preziose con semplici ma raffinati gioielli. Nessuno immagina i mondi cangianti e luminosi di quei sogni a occhi aperti, nessuno lo deve sapere. Solo i piedi la tradiscono, battendo irrequieti sul pavimento. Ma è tutto lì. La sua vita interiore si espande, splendente di colori vivaci e odorosa di legno di cedro o d’incenso, e Victoria è totalmente libera.
Ogni giorno, tranne la domenica, passa sei ore da sola con la madre. Poi raggiunge il padre.
*
Su! dice lui. In groppa! A volte porta la pistola. Lasciano il podere al passo, lui davanti, sul suo alto cavallo, lei dietro, su quello piccolo. Poi al trotto. Svoltano sulla strada che porta verso l’ombra verde che si apre sotto gli alberi. Dopo un po’ smontano e fanno una sosta. Bevono dell’acqua, forse suo padre qualcos’altro. Poi lui estrae la pistola, grigia e metallica. Le racconta tutte le avventure in cui lo ha accompagnato: di quando l’ha salvato da un attacco di orsi e coccodrilli, di quando è stato catturato da un troll ma lui gli ha sparato e il troll è svanito!
Poi solleva l’arma trionfante. Adesso tiriamo al bersaglio. Vedi il melo selvatico venti metri davanti a noi, con le mele ancora acerbe sui rami? Tieni il braccio teso, così, metti le dita qui.
Il papà grande e grosso posiziona le mani della figlia attorno all’arma e le spiega cosa fare. La pistola è più pesante di quanto lei immaginasse.
Tieni fermo il braccio. Mira alla mela. Spara!
La bambina piega l’indice, preme il grilletto. L’esplosione le solleva il braccio e la pallottola finisce molto lontano dal vecchio melo, da qualche parte tra i tronchi. Un pessimo colpo. Il botto la fa scoppiare a piangere.
Che c’è, ti sei spaventata?
No, per niente.
Bene.
Ancora, dice la bambina, anche se il secondo colpo la spaventa quanto il primo.
Ancora, ma vorrebbe smettere.
Ancora, finché suo padre dice basta, soddisfatto di avere un figlio a cui piace sparare. Rimontano in sella e proseguono per campi e pascoli.
La madre li aspetta a casa. Il padre ha appena raccontato qualcosa di divertente e il figlio ride ammirato, ma c’è la mamma, e la figlia serra le labbra sulla risata. Smonta da cavallo, si sistema la gonna azzurra ed entra in casa.
Forse è andata così, quando Victoria Benedictsson ha imparato a sparare. In alcune lettere racconta che il padre le ha insegnato a maneggiare una pistola, e a vent’anni scrive a un’amica di aver sempre avuto paura degli spari e degli scoppi. Ma chi può saperlo con certezza? Raccontare la vita di un’altra persona, scrivere una biografia, è un po’ come passeggiare su una spiaggia in cerca di fossili e conchiglie, relitti sputati dal mare. Le conchiglie conservano tracce di alghe, ma la loro origine, il mare stesso, non si può afferrare. È sempre più grande e potente di chi lo guarda, e più imprevedibile.
La vita di una persona comincia, procede e finisce. Quello che ne resta sono lettere, diari e ricordi sparsi, relitti sputati dal tempo. In un certo senso gli storici e i biografi sono come collezionisti di stelle marine. Hanno in mano dei frammenti e fanno ipotesi sull’insieme. Il tempo non si può afferrare, è sempre più grande e potente di chi lo guarda, e più imprevedibile.
I pomeriggi insieme al padre, tra cavalcate, pistole e aneddoti strabilianti, torneranno nelle lettere come nelle opere di Benedictsson. Hanno a che fare con la libertà, la vita all’aria aperta e una sorta di felicità, ma anche con qualcos’altro: il cupo disprezzo per se stessa. Qualche volta accenna alla rabbia e ai forti sensi di colpa che provava da bambina, alle ore passate a fissare fuori dalla finestra senza guardare veramente, mentre nel petto le si torceva uno spietato strumento di tortura.
In uno dei suoi ultimi racconti, «Ur mörkret» (Dal buio), una donna parla della sua vita. È in una stanza buia, sdraiata su una chaise longue, mentre, su una sedia, un uomo la ascolta. Racconta della bambina che è stata, che amava cavalcare per le pianure della Scania insieme al padre.
Abbiamo iniziato a recitare la nostra commedia quando avevo sette o otto anni, una commedia per bambini in cui io ero ciò che lui desiderava: un figlio. Uscivo insieme a lui sul mio cavallino, assumevo pose da maschio, imparai a fischiare, sviluppai la forza fisica e per compiacerlo iniziai anche a imprecare un po’.
Nel racconto, la donna riferisce un evento cruciale che molti studiosi e biografi hanno interpretato come un ricordo d’infanzia della stessa Benedictsson, sul quale si sono basati per spiegare gran parte della sua vita, compreso il suo disprezzo per le donne. La sua avversione è rivolta al genere femminile nel suo complesso, ma anche a quelle che ritiene siano le proprie caratteristiche femminili e, soprattutto, al fatto di essere nata donna.
Non so con esattezza quando notai per la prima volta la sprezzante espressione di sgomento misto a disgusto che il volto e la voce di mio padre assumevano spesso, ma credo sia successo in un’occasione che mi è rimasta impressa. Avevamo fatto un lungo giro a cavallo. Mio padre era nervoso e accaldato, aveva lo sguardo cupo e le narici dilatate. Quando era in quello stato, sapevo che non si fermava davanti a niente. Arrivammo a un largo fossato, o un canale, che lui superò senza problemi, per poi voltarsi ad aspettare che io facessi lo stesso. Il mio cavallo era piccolo e, non so se per colpa sua o mia, rifiutò di saltare, bloccandosi sul bordo del fossato. Allora mio padre voltò il suo cavallo – ancora oggi riesco a vedere quella giravolta! – e l’animale volò in un unico slancio sopra il canale con la potenza e l’agilità di un levriero. Mi si rizzarono i capelli in testa, quando mio padre mi afferrò per un braccio e, guardandomi severamente negli occhi, disse: Hai paura! Non aggiunse altro e mi lasciò subito andare, come se si vergognasse di avermi trattata con durezza. Si limitò a guardare me e il mio cavallo. Ero vestita quasi da ragazzo e cavalcavo in arcione, ma sulla sella era adagiata la mia gonna blu. Fu allora che gli vidi negli occhi quell’espressione, che mi devastò e che da allora mi tiene schiacciata a terra, anzi no, mi tiene afflosciata come un sacco vuoto. Non mi diede alcuna spiegazione e io non proferii parola. Si limitò a sferzare il cavallo e ripartì al trotto, mentre io rimasi dov’ero.
Il mio istinto segreto mi disse che mi disprezzava non perché ero debole, ma perché avevo il diritto di esserlo. Non avrei mai potuto essere altro che… una di quelle per cui la viltà è una virtù!
La voce della donna esce dal buio. Tra una messe di ricordi e migliaia di istanti vissuti, identifica...