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E-Book

E-Book, Italienisch, 312 Seiten

Reihe: Cronache

Rennis Charming men

La storia degli Smiths
1. Auflage 2024
ISBN: 979-12-5480-130-7
Verlag: Nottetempo
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

La storia degli Smiths

E-Book, Italienisch, 312 Seiten

Reihe: Cronache

ISBN: 979-12-5480-130-7
Verlag: Nottetempo
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



Regno Unito, anni Ottanta, Thatcher al governo e liberismo alle stelle, ascesa degli yuppies, Guerra Fredda, conflitto nelle Falkland, working class sul lastrico e disoccupazione altissima, droghe a buon mercato e una pletora di culture giovanili underground: quattro ventenni di origini irlandesi cresciuti nei sobborghi popolari di Manchester, Nord cupo e industriale dell'Inghilterra, esplodono brillanti e imprevisti come un astro di passaggio su questo sfondo poco rassicurante. Si chiamano Smiths, il cognome inglese più diffuso, ma sono tutt'altro che ordinary: hanno un carisma e un'ispirazione fuori dal comune. La band si scioglierà dopo solo cinque anni e quattro album, ma sarà fatale per un'intera generazione - e ben oltre -, dentro e fuori i confini nazionali. La voce felpata, i testi perturbanti e il fascino sopra le righe del talentuoso frontman Morrissey diventano, insieme al sound agrodolce creato da Johnny Marr e all'alchimia strumentale di Andy Rourke e Mike Joyce, il segno di un'epoca in bilico sulla disillusione e l'insofferenza. Outsider ingestibili e, insieme, simbolo della britishness, 'nuovi Beatles' e paladini dell'indie, sofisticati autori pop e acuti narratori della realtà che li circonda come delle emozioni più intime, gli Smiths sono finiti nel Parlamento britannico e tra le barricate in piazza, in film e serie tv, sui giornali e nelle ossessioni dei fan. È per tutte queste ragioni, come dimostra il libro documentatissimo e appassionante di Fernando Rennis, che questi charming men, fuori da ogni etichetta, sono diventati un'icona.

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Handsome Devil / 1982-83


Le sette e un quarto, la porta che sbatte: non il miglior modo di iniziare un venerdì. Suo marito era uscito alle sei, figuriamoci se qualcuno avrebbe mai avuto l’ardire di entrare così nella sua camera da letto. Scrostando via il sonno dagli occhi, ecco che la figura davanti a lei prende forma: nessun collaboratore o ufficiale avventato, ma uno sconosciuto scalzo in jeans e maglietta che, come quei figli che vanno a svegliare la mamma, è qui, nella sua stanza. Come se non bastasse, il suo pollice sanguina per via del frammento di un posacenere di vetro che gli si è conficcato nel dito. Per un istante i loro occhi si incrociano, occhi vicini eppure così distanti: lui è un disoccupato di trentatré anni, le ne ha cinquantasei ed è la regina. Quattro giorni dopo, il riferisce la conferma “quasi incredibile” da parte del ministro dell’Interno: il 9 luglio 1982 un certo Michael Fagan si è intrufolato a Buckingham Palace spingendosi fino alla stanza da letto di Elizabeth II. Padre di quattro figli, proprio come la regina, Fagan ha scavalcato un muro sormontato dal filo spinato, eluso guardie e cani, si è arrampicato su una grondaia ed è entrato nel palazzo.

Sembra essere la nuova moda dell’ultimo anno. Prima i tre turisti tedeschi che si sono accampati nei giardini reali, convinti di essere a Hyde Park, poi quell’uomo invaghito della principessa Anna ritrovato tra i cespugli. La polizia aveva avuto il suo bel daffare. Aveva arrestato davanti all’inferriata un giovane con un fucile ad aria compressa e si era imbattuta in uno squilibrato che puntualmente scavalcava i cancelli. Era stata anche minacciata da uno svitato che brandiva un pugnale di venti centimetri.

Michael Fagan aveva fatto visita a palazzo già due giorni prima, quando si era scolato mezza bottiglia di vino per il disturbo. Forse anche allora erano stati i funghi allucinogeni a dargli la spinta necessaria. Quando, la seconda volta, si era trovato di fronte alla regina, Elizabeth gli aveva domandato: “Che cosa ci fa qui?”, lasciando subito la stanza. Appena ne aveva avuto l’occasione, Fagan aveva spiegato: “Penso che potrebbe esserle utile conoscere una persona normale che possa dirle come stanno le cose”. Voleva metterla in guardia su come le politiche di Margaret Thatcher stavano riducendo in ginocchio la popolazione. Poco dopo la sovrana e il suo ospite inaspettato si erano seduti a parlare, una di fronte all’altro, su due eleganti poltrone. Con un’esperienza così nel proprio curriculum, non ci poteva essere persona più accreditata a cantare un brano come e Fagan, su invito della band punk Bollock Brothers, nel 1983 non avrebbe perso l’occasione di registrare una versione del famoso pezzo dei Sex Pistols.

Quando suonano nel 1976 alla Lesser Free Trade Hall di Manchester, Maher non ha nemmeno tredici anni, ma l’estate successiva è già sopra un palco con la sua chitarra. Ci sale in una delle 12.000 feste in strada organizzate nel paese per il Giubileo d’argento della regina. Appena due anni dopo, i Sex Pistols non ci sono più e lui ha un nuovo cognome: John Lydon adesso canta nei Public Image Limited e Maher si è trasformato in Marr. Ci pensava già da adolescente perché non era facile pronunciare il suo cognome, fin quando su non aveva letto che il batterista dei Buzzcocks si chiamava John Maher. Suonava troppo familiare, proprio come il viso di quella direttrice odiosa del supermercato dove aveva lavorato per qualche settimana, identica a Margaret Thatcher.

Marr nasce da genitori irlandesi il giorno di Halloween del 1963. Passa la sua infanzia in una casa a schiera di Ardwick Green, a Manchester, dove risuona sempre la musica di un giradischi Dansette e della radio, custoditi nella stanza sul retro. Poi c’è zia Betty, che suona e condivide con il resto della famiglia l’amore per la musica rock e ci sono feste dove, a un certo punto, ci si mette a ballare e cantare tutti insieme. La maestra Cocane e i dischi del chitarrista irlandese Rory Gallagher gli hanno fatto capire che la musica è la sua strada, quindi, quando papà John gli regala una chitarra acustica, le sue giornate cominciano a essere scandite principalmente dal giradischi e dalle corde che pizzica nel tentativo di riprodurre tutti i suoni che fuoriescono dallo scorrere della puntina sui solchi del polivinile.

Se dei T. Rex è il primo disco che Marr compra con i suoi risparmi, quello del gruppo di Marc Bolan il 16 giugno 1972 al Belle Vue è il primo concerto a cui assiste il tredicenne Morrissey. È nato anche lui da genitori irlandesi il 22 maggio 1959 e la musica è diventata ben presto la sua passione. Era successo dopo quell’ del 1965, quando aveva perso due nonni e lo zio Ernie, morto ventiquattrenne, alla stessa età del suo idolo James Dean. Ai tentativi di suo padre, che voleva farlo svagare portandolo all’Old Trafford dove giocava il Manchester United, preferiva i libri della madre. Il suo barometro interno si era settato ormai sulla malinconia: le vicende familiari avevano plasmato quel bambino di otto anni che preferiva la solitudine ed era già stato sfiorato dall’idea che il suicidio avesse qualcosa di affascinante.

In questo periodo compra il suo primo disco, di Marianne Faithfull, l’avvisaglia del suo grande amore per le cantanti degli anni Sessanta. Così, ben presto prende l’abitudine di cantare ogni sera, con buona pace dei vicini di casa. Mentre la vita e le opere di Oscar Wilde diventano una vera e propria ossessione, attende con trepidazione il giorno magico in cui poter trovare in edicola le riviste musicali come , , , , . La sua curiosità lo fa innamorare del cinema e a undici anni lo spinge a guardare un documentario sugli allevamenti animali: da quel giorno decide di diventare vegetariano. Qualche tempo dopo assiste al concerto dei New York Dolls, band rock newyorkese dei primi anni Settanta dai tratti glam che ha rappresentato un’influenza importante per il punk, e che è diventata nel frattempo il suo gruppo preferito al punto che può fregiarsi del titolo di presidente del loro fan club ufficiale nel Regno Unito.

Se Fagan avesse camminato da Buckingham Palace al 384 di Kings Road a Stretford, Manchester, ci avrebbe messo più di due giorni. Per fortuna Johnny Marr parte da molto più vicino, Wythenshawe. Due mesi prima dell’incontro della regina con un estraneo davanti al suo letto, si sta consumando un altro evento importante di questo 1982. A quell’indirizzo Marr ci è arrivato dopo una vera e propria caccia al tesoro: si è rivolto a Phil Fletcher che gli ha fatto il nome di Steve Pomfret, meglio conosciuto come Pommy. Sta cercando la casa di quello Steven Morrissey. Johnny ha aspettato il suo giorno libero ed è andato dai suoi per fare qualche telefonata. Quando si vedono, Pomfret gli porge un foglietto e si offre di accompagnarlo.

Prendono il 263 e, dopo dieci minuti, eccoli davanti alla porta. È una giornata di maggio che sa già di estate. Devono bussare due volte prima che apra qualcuno. Lo fa Jacqueline, la sorella di Morrissey, che si ritrova di fronte al ciuffo di un ragazzino vestito con jeans, anfibi da motociclista, gilet e un berretto da aviatore. Lui chiede di Steven, Jackie lo va a chiamare e, dopo un po’, Morrissey arriva col suo taglio corto e il cardigan largo. Esauriti i convenevoli, Marr non perde tempo.

“Sto mettendo su un gruppo e mi chiedevo se fossi interessato a cantarci”.

“Entrate”.

Era da un po’ di tempo che Morrissey non si faceva vedere in giro. In realtà, questa visita inaspettata è pura manna dal cielo. Aveva provato a guadagnarsi da vivere scrivendo. Ma, appena intuito che Manchester stava diventato la seconda città punk del Regno Unito, le principali riviste musicali si erano già accaparrate corrispondenti da lassù. Uno di questi era Jon Savage, trasferitosi nel 1978 da una “fatiscente” Londra a Chorlton, dove aveva ospitato qualche volta un Morrissey aspirante giornalista, passando alcuni pomeriggi ad ascoltare musica e a parlare di libri. Intercettando il suo amore per le cantanti pop degli anni Sessanta, durante uno di questi incontri Savage gli aveva regalato un album di Rita Pavone, che proprio in quel decennio era entrata più volte in classifica nel Regno Unito e negli USA. Gli interessi e le posizioni controcorrente di Morrissey non erano così facili da digerire, mentre lui non aveva voglia di imbarcarsi negli impegni e oneri che toccavano a chi con passione si concentrava su una propria rivista indipendente. Il caposervizio del aveva ripetutamente rifiutato le continue proposte dell’aspirante critico musicale che, quindi, si era tenuto stretto la collaborazione con il , per il quale si firmava Sheridan Whiteside. Dopo vari soggiorni negli Stati Uniti, dove poteva contare su un appoggio dalla zia Mary, Morrissey era riuscito a pubblicare, finalmente, le sue 48 pagine sui New York Dolls grazie all’editore mancuniano John Muir, che aveva fatto uscire la per la sua piccola Babylon Book nel 1981. In quello stesso periodo lavorava anche alla storia del suo mito James Dean, riprendendo il titolo di una poesia che gli...



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