Proulx | Distanza ravvicinata | E-Book | www2.sack.de
E-Book

E-Book, Italienisch, 317 Seiten

Reihe: Minimum classics

Proulx Distanza ravvicinata

Storie del Wyoming / 1
1. Auflage 2019
ISBN: 978-88-3389-104-0
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

Storie del Wyoming / 1

E-Book, Italienisch, 317 Seiten

Reihe: Minimum classics

ISBN: 978-88-3389-104-0
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



Era il 1995 quando Annie Proulx, reduce dal grandissimo successo di Avviso ai naviganti culminato con il Premio Pulitzer, si stabilì nel Wyoming, attratta dalla maestosa ferocia dei paesaggi, tra praterie deserte e picchi scoscesi, tempeste di neve e una fauna selvaggia. Da allora quei territori, con le loro leggende e i loro personaggi - uomini e donne forgiati alla durezza della vita, pronti al compromesso e alla fatica ma anche a lasciarsi travolgere dalle ventate imprevedibili della passione - sono diventatila materia prima della sua scrittura, e il racconto la forma perfetta per narrarne le storie. Con Distanza ravvicinata, minimum fax dà il via alla pubblicazione integrale delle «Storie del Wyoming». In questa prima raccolta, valutata dalla critica come una delle vette della narrativa contemporanea, risalta già il delicato alternarsi di realismo e incanto, quieta disperazione e deflagrante poesia, del quale Annie Proulx ha saputo fare la propria cifra, e che ha nel magnifico «Brokeback Mountain», trasposto per il cinema da Ang Lee, un esempio insuperato.

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Il manzo scuoiato a metà


Nel lungo srotolarsi della sua vita, da quando era un ragazzino spaccone con un abito di lana che saltava al volo su un treno fuori da Cheyenne, fino all’anno che stava trascinando avanti da vecchio zoppicante, Mero aveva ricacciato i pensieri legati al posto da cui veniva, un cosiddetto ranch costruito su uno strano terreno, lungo la cerniera meridionale dei monti Big Horn. Era riuscito a togliersi da lì nel 1936, era andato in guerra ed era tornato indietro, si era sposato e risposato (anche una terza volta), aveva fatto soldi con la pulizia delle caldaie e dei condotti d’aria e con alcuni oculati investimenti, era andato in pensione, si era dato da fare nella politica locale e poi ne era uscito, sempre senza scandali, e mai era tornato indietro per vedere il suo vecchio e Rollo in bancarotta e in rovina, perché era sicuro che fossero finiti così.

Lo chiamavano ranch e lo era stato, ma un giorno il vecchio aveva detto che era impossibile allevare mucche in una terra così aspra, dove il bestiame cadeva dai dirupi, sprofondava dentro voragini, perdevano un sacco di vitelli per via degli agguati dei puma, non cresceva erba da fieno ma prosperavano i cardi e l’euforbia velenosa, e il vento insaccava talmente tanta sabbia da graffiare i parabrezza fino a renderli opachi. Il vecchio rimediò un lavoro come postino, ma aveva l’aria di sentirsi in colpa quando doveva infilare richieste di pagamento nelle cassette delle lettere dei vicini.

Mero e Rollo videro l’impiego alle poste come una defezione dal lavoro al ranch, lavoro che ricadde completamente sulle loro spalle.
I capi d’allevamento si erano ridotti a ottantadue, e le mucche non valevano più di quindici dollari l’una, ma continuarono a riparare le staccionate, spuntare le orecchie e marchiare a fuoco, recuperare la mandria dai pantani e cacciare i puma, nella speranza che prima o poi il vecchio si sarebbe trasferito a Ten Sleep con la sua donna e la sua bottiglia, e loro avrebbero potuto rimettere in sesto il posto, come già aveva fatto la loro nonna Olive, quando Jacob Corn l’aveva piantata in asso.

Ma il vecchio non mollò l’osso, e Mero sessant’anni dopo si ritrovava ottantenne, vedovo e vegetariano, a stantuffare sui pedali di una cyclette nel soggiorno di una casa coloniale a Woolfoot, in Massachusetts.

In una di quelle umide mattine, una stridula voce di donna al telefono si presentò come Louise, moglie di Tick, e gli disse che doveva tornare a casa, in Wyoming. Mero non sapeva chi fosse, né chi fosse Tick, fino a quando la donna non disse Tick Corn, il figlio di tuo fratello Rollo, che è morto, ucciso da un emù imbizzarrito, anche se il cancro alla prostata era lì che lo aspettava al varco. Certo, disse, ci puoi scommettere che Rollo era ancora proprietario del ranch. O almeno della metà. Io e Tick, aggiunse, lo abbiamo mandato avanti negli ultimi dieci anni.

Un emù? Aveva sentito bene?

Certo, rispose. Be’, per forza non potevi saperlo. Hai mai sentito parlare del Vecchio Wyoming?

No, non ne aveva sentito parlare. E comunque che razza di nome era Tick? Faceva venire in mente quei grossi insetti grigi che si toglievano ai cani.1 E dunque quella zecca pensava probabilmente di prendersi tutto quel dannato ranch e fare il botto. Disse: Cos’è questa storia degli emù? Vi ha dato di volta il cervello laggiù?

Rispose che il ranch adesso era così, si chiamava il Vecchio Wyoming. Rollo aveva venduto a suo tempo il posto all’associazione delle ragazze scout, ma una ragazza era stata aggredita da un puma e l’associazione l’aveva rivenduto al ranch dei Banner, che erano confinanti e che per qualche anno avevano allevato bestiame, poi se ne erano liberati scaricandolo a un ricco uomo d’affari australiano che aveva dato vita al Vecchio Wyoming, ma per lui era un’attività troppo remota, e non gli era andata bene con il suo amministratore, un tizio dell’Idaho che portava una cintura da rodeo presa in un banco dei pegni, quindi alla fine si era rivolto a Rollo e gli aveva offerto di spartirsi metà degli interessi se avesse ripreso in mano il ranch. Questo succedeva nel 1978. Gli affari erano andati a gonfie vele. Certo, al momento erano chiusi, perché d’inverno non c’erano turisti. Il povero Rollo stava aiutando Tick a spostare gli emù in un altro ricovero quando uno di loro aveva avuto un raptus e gli si era avventato contro con le sue grosse zampe uncinate. Gli emù hanno degli artigli terribili.

Lo so, disse. Mero guardava programmi sulla natura, alla televisione.

La donna urlava come se le linee telefoniche fossero cadute a terra in tutto il paese. Tick ha recuperato il tuo numero con il computer. Rollo diceva sempre che voleva mettersi in contatto. Voleva che vedessi come era cambiata la sua sorte. Ha cercato di respingere l’animale con il bastone, ma quello se l’è squarciato dalla pancia in su.

Mero pensò che la sorte, forse, non aveva ancora finito di rivelare il suo corso. Impaziente di venirne a capo disse che sarebbe andato al funerale. Non era il caso di discutere di voli e appuntamenti all’aeroporto, le disse, non avrebbe preso l’aereo, una brutta esperienza anni prima con raffiche di grandine, quando era atterrato l’aereo sembrava una piastra traforata. Aveva intenzione di andare in macchina. Certo, era consapevole della distanza. Aveva una macchina dannatamente buona, una Cadillac, aveva sempre guidato Cadillac, con gomme svedesi di marca Gislaved, strade provinciali e autostrade, era un ottimo guidatore, toccando ferro non aveva mai avuto un incidente in vita sua, in quattro giorni sarebbe stato lì, entro sabato pomeriggio. Percepì la sorpresa nella voce della donna, fu certo che stesse facendo il conto dei suoi anni, immaginando che ne avesse ottantatré, un anno o giù di lì più vecchio di Rollo, e che se ne andasse in giro con un bastone anche lui, un anziano bavoso ai suoi ultimi giorni, mentre lei si stava toccando probabilmente i capelli sbiancati. Contrasse le braccia muscolose, si piegò sulle ginocchia, pensò di essere in grado di schivare un emù. Avrebbe visto suo fratello calato in un buco di terra rossa del Wyoming. L’occasione avrebbe potuto farlo tornare indietro nel tempo; la scia abbagliante di lampi contro le nuvole non segnala il loro scaricarsi a terra, ma l’irrimediabile salire verso l’alto, attraverso l’aria surriscaldata.

Se n’era andato all’improvviso quando aveva avuto l’impressione che l’amichetta del suo vecchio – adesso non ne ricordava più il nome – avesse cambiato rotta, e Rollo stava con gli occhi fissi sulle dita della donna mordicchiate a sangue, le unghie mangiate fino alla carne viva, le vene del collo come corde, gli avambracci ombreggiati dalla peluria, la sigaretta accesa e il fumo che saliva in volute, facendole sbattere gli occhi sporgenti da mustang, una miniera di racconti di vita dura e caos.

Il vecchio stava perdendo i capelli, Mero aveva ventitré anni, Rollo venti e lei li teneva in pugno come un mazzo di carte. Se ti piacevano i cavalli, allora ti sarebbe piaciuta anche lei, con il suo collo arcuato e il sedere da puledra, così alta e inquartata che ti faceva venire voglia di darle una pacca sul didietro. Il vento sibilava intorno alla casa, soffiando cristalli di neve attraverso le crepe della porta di legno deformata, e tutti loro in cucina sembravano elettrizzati dall’intensità di un proposito.

Lei stava in equilibrio, appoggiata con il grosso sedere alla cassa del cibo del cane, lo sguardo sul vecchio e su Rollo, ruotando di tanto in tanto i suoi occhi lucidi verso Mero, i denti squadrati che rosicchiavano un filo d’unghia, succhiando il sangue che ne usciva, mentre tirava boccate di fumo.

Il vecchio beveva il suo Everclear che rimestava con un rametto scorticato di salice per dargli un sapore amarognolo. L’immagine di lui gli si accampò chiara in testa quando fu davanti all’armadio d’ingresso, lo sguardo sui cappelli. Doveva portarne uno per il funerale? Il vecchio portava il suo con un’improbabile arricciatura sulla tesa, un rotolo stretto nel punto a destra dove la mano lo afferrava per toglierlo o calcarselo di nuovo in testa, mentre a sinistra veniva giù ondulata come il tetto di un capanno. Lo avresti riconosciuto a due miglia di distanza. Lo teneva addosso anche mentre, seduto al tavolo, ascoltava i racconti della donna su Tin Head, vuotando di continuo il bicchiere finché non era sbronzo marcio, la faccia da gangster ammorbidita, il naso schiacciato da rodeo, le sopracciglia attraversate da cicatrici, l’orecchia mozzata che si dissolvevano via via che beveva. Doveva essere morto da cinquant’anni e passa, sepolto nel suo maglione da postino.

La ragazza del vecchio aveva cominciato una storia: dunque, c’era quel tizio chiamato Tin Head che stava giù dalle parti di Dubois quando mio padre era un bambino. Aveva un piccolo ranch, qualche cavallo, qualche mucca, moglie e figli. Ma c’era qualcosa di strano in lui. Aveva una piastra di metallo in testa perché era caduto sbattendo su dei gradini di cemento.

Un sacco di gente ce l’ha, aveva detto Rollo in tono provocatorio.

Lei aveva scosso la testa. Non come la sua. La sua piastra era di ferro zincato e gli mangiava il cervello.

Il vecchio aveva sollevato la bottiglia di Everclear e ammiccato verso di lei dicendo: Ti va un goccio,...



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