E-Book, Italienisch, 252 Seiten
Reihe: Cronache
Prevedello Una rivolta
1. Auflage 2024
ISBN: 979-12-5480-148-2
Verlag: Nottetempo
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Orizzonti e confini del Nord-Est
E-Book, Italienisch, 252 Seiten
Reihe: Cronache
ISBN: 979-12-5480-148-2
Verlag: Nottetempo
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
'Hai sentito di Luciano? Ha sparato al banchiere di Campodarsego'. In questo modo Enrico Prevedello viene a sapere che il padre del suo migliore amico Arturo è finito in galera dopo un gesto folle. Luciano Franceschi, piccolo imprenditore, vive a Borgoricco, nella produttiva provincia di Padova: la sua famiglia gestisce l'omonimo caseificio, un allevamento di maiali e una bottega nel cuore della cittadina. È il tipico grande lavoratore del Veneto, e della storia della sua terra ha una viva coscienza. Di più, è un indipendentista, sodale dei 'serenissimi' che nel 1997 invasero piazza San Marco a bordo di un improbabile carro armato artigianale. Quando nel 2008 la sua azienda, come molte altre, viene stretta dalla crisi, Luciano tenta di convincere il direttore della banca di cui è socio ad accordargli un prestito sino a quel momento negato. Esce di casa portando con sé una pistola. Vuole solo intimidire il direttore, poi però parte un colpo. Prevedello ha seguito per anni questa vicenda, come un'ossessione personale e come un prisma attraverso cui leggere, in forma anche distorta, la storia del luogo in cui è nato. Frutto di lunghe conversazioni con Luciano e la sua famiglia, e di un viaggio a ritroso dentro la cronaca dei movimenti indipendentisti nel Nord Italia, Una rivolta è un potente, inesorabile 'romanzo verità'.
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Parte seconda
1
A Borgoricco, a tre quadrati di distanza da casa dei miei, abitava un uomo che posava i piedi sullo stesso asfalto su cui li posavamo anche noi ma percorreva strade del tutto diverse dalle nostre. Ha scritto vari libri sulla storia del Veneto e dei veneti, uno di questi parla proprio del graticolato, che per lui non va chiamato romano soltanto perché è stato realizzato in epoca di dominazione romana: è stato fatto dai veneti. Tanto varrebbe chiamare le zone industriali del Veneto americane, aggiunge, perché erette in epoca di dominazione statunitense. La copertina è azzurra con scritte gialle; la scritta più in alto, sotto al nome dell’autore (Giuseppe Segato), è una sorta di esergo:
…e …Dio plasmò l’uomo
a propria immagine e somiglianza
perché potesse compiere opere simili alle Sue
…ed allora i Veneti plasmarono la loro terra
ad immagine e somiglianza di un’opera di Dio
Si intitola , sottotitolo: ; subito sotto compare un triangolo con dentro un mirino e al centro un carro armato visto dall’alto, e poi: “su grandi distanze alta precisione puntamento anticarro”.
La copia che ho in mano è stata regalata a Luciano proprio da Segato, detto Bepin, con “un serenissimo augurio di mira precisissima, anzi puntamento anticarro”. È il 1999, Bepin e Ciano collaborano ormai da un paio d’anni alla costruzione dell’autogoverno veneto, Segato non fa che entrare e uscire dal carcere, in cui è finito con l’accusa di eversione, e passa qualche mese ai domiciliari e ai lavori socialmente utili. Ha lavorato nella biblioteca di Borgoricco; V., la bibliotecaria, mi ha raccontato che stava in una stanzina a studiare e catalogare libri, e quando arrivava qualcuno che stava facendo ricerche sul graticolato, magari uno studente universitario, lo intortava per ore con la sua lettura mistica della trama di strade millenarie e l’entusiasmo di un innamorato.
In poche parole, nel suo libro propone un’interpretazione geometrica delle posizioni dei vari graticolati pianificati in epoca romana nel Nord-Est. Ha utilizzato la Carta Tecnica Regionale del Veneto, sviluppata all’inizio degli anni Novanta, con scala fino a 1:5000, molto più precisa delle mappe dell’Istituto Geografico Militare Italiano, che si fermano a 1:25.000. Dopo un grande lavoro di misurazioni e collimazioni (“Quaranta giorni e quaranta notti di osservazione è costata la folgorante intuizione che mi appresto a descrivere”), ha scoperto che i graticolati sparsi nel Veneto centrale sono legati da triangoli rettangoli i cui lati coincidono con i cardi massimi e i decumani massimi (le due strade principali e ortogonali da cui si partiva per pianificare tutte le altre), e i cui vertici toccano punti strategici distanti multipli di 20 quadri (un quadro è un lato del graticolato, misura 710 metri ovvero 20 ). Il numero 20 ritorna e collega Bassano, Padova, Oderzo, Asolo, Treviso, Altino, attraverso triangolazioni inscritte nei graticolati. Lo studio è preciso e profondo, irriducibile in un racconto, perché quello che più si percepisce è l’amore che Segato riconosce nelle relazioni tra queste antiche opere d’arte fatte di strade del suo Veneto.
2
Il 13 settembre del 1996 Umberto Bossi, segretario della Lega Nord, è la vena gonfia di una manifestazione che inizia alle sorgenti del Po, sul Monviso, dove lui raccoglie dell’acqua in un’ampolla. Il 15 si arriva a Venezia, in Riva degli Schiavoni, dove Bossi svuota l’ampolla nel mare. Poi ammaina una bandiera italiana (o la getta in mare, stando ad alcuni testimoni) e fa issare la nuova bandiera della Padania: il sole delle Alpi, verde su sfondo bianco. Di fronte a lui ci sono migliaia di persone che sventolano la vecchia bandiera lombarda con la croce rossa in campo bianco, e decine di bandiere marciane, segno che ci sono molti sostenitori serenissimi. Poi, con voce ferma e pause a cadenza regolare, legge la : si riconosce la Padania come il luogo in cui vivono i Popoli Padani, una “comunità naturale, culturale e socioeconomica fondata su un condiviso patrimonio di valori, di cultura, di storia e su omogenee condizioni sociali, morali e economiche”. Il territorio padano si estende dalle regioni del Nord Italia fino a Toscana, Marche e Umbria, un’area occupata dallo Stato italiano che ha “costretto con l’inganno i Popoli della Padania a soggiacere al sistematico sfruttamento delle risorse economico-finanziarie prodotte dal lavoro quotidiano per sperperarle nei mille rivoli dell’assistenzialismo clientelare e mafioso del Mezzogiorno”. Per poter raggiungere questo obiettivo lo Stato italiano “ha cercato di dominare i Popoli della Padania affidando compiti e funzioni di ordine pubblico e di sicurezza a prefetti e forze di polizia garanti del più odioso centralismo coloniale”, e di “sopprimere le lingue e le identità dei Popoli della Padania attraverso la colonizzazione del sistema pubblico di istruzione”. Visto e riconosciuto “l’inalienabile potere sovrano di ogni popolo a decidere liberamente con chi stare, come e da chi essere governato”, e chiamando i Padri Padani a testimoni (non so a chi si riferisse), il 15 settembre 1996 Umberto Bossi proclama solennemente: la Padania è una repubblica federale indipendente e sovrana. Ha pronti altri due documenti: una costituzione transitoria con delle indicazioni per gli italiani su come lasciare i territori padani e una carta dei diritti dei cittadini padani. Tra le altre cose definite dalla costituzione transitoria ci sono l’inno nazionale ( di Giuseppe Verdi), l’ultimatum entro cui devono finire le negoziazioni con l’Italia (15 settembre 1997) e una nuova moneta, la Lira Padana.
In questo periodo Luciano è attivo nella Liga Veneta alleata alla Lega Nord, forse è uno di quelli che sventolavano la bandiera della Repubblica Serenissima durante la dichiarazione di indipendenza della Padania, sperando in un passo deciso verso un’imminente liberazione del Veneto. Però a lui ’sta cosa della Padania non andava giù del tutto: capiva il Lombardo-Veneto, che aveva una riconoscibilità storica convincente, ma la Padania metteva assieme un po’ di tutto, dai piemontesi agli umbri, e che c’aveva a che fare il Veneto coi genovesi o coi Savoia?
Nel frattempo a Borgoricco la bottega, l’allevamento e il caseificio lavoravano a pieno regime, io e Arturo iniziavamo a pensare che scuola fare dopo le medie e un gruppo di venetisti pianificava di assaltare il campanile di San Marco con un carro armato fatto in casa.
3
Alla fine delle medie io, Arturo, mia madre ed Emilia visitammo alcune scuole per scegliere le superiori. Puntavamo a qualcosa con poca matematica e che non richiedesse poi di andare all’università per poter avere un documento utile al lavoro, quindi scegliemmo l’agrario, perché il giorno della visita ci fecero vedere il laboratorio di micropropagazione, con le sue provette col gel di agar e saccarosio, le cappe a raggi UV per abbattere i batteri, i camici bianchi, la luce artificiale che faceva crescere piantine che avrebbero visto la terra solo una volta uscite di lì (laboratorio che non ci fecero mai usare), e le stalle piene di vacche da latte con le mammelle gonfie e l’odore di boassa che ci faceva tanto ridere, dove ci illusero che avremmo potuto dare un nome alle vacche (falso anche quello: ci abbiamo messo piede sì e no due volte). Comunque la scuola era bella, aveva più di due secoli di storia, corridoi con vetrine di legno scuro piene di uccelli e altri animali imbalsamati, collezioni di pietre e minerali arricchiti da cartellini scritti in corsivo col pennino, aule quasi nuove e laboratori dotati di microscopi; aveva anche un chiostro con delle belle giuggiolare da cui si poteva strappare qualche frutto quando era periodo, e sotto ai portici un baretto tutto per noi.
A fare quella visita ci andammo in macchina con le nostre madri, ma il primo giorno di scuola ci arrangiammo in corriera. Dovevamo prenderne una da Borgoricco a Padova, e poi un secondo autobus davanti alla stazione dei treni, direzione Brusegana, per la nostra scuola che si chiamava Duca degli Abruzzi. Quella corriera Arturo l’aveva già presa molte volte perché era la stessa che si fermava davanti alla sua scuola media, dalle suore, a Campodarsego se non sbaglio. Io però non l’avevo mai presa, e nemmeno ero mai stato a Padova. Quindi all’andata, quando vidi Arturo timbrare due biglietti (di cui uno per me) ne timbrai due anche io (e dovemmo ricomprarli per il ritorno), e una volta scesi in stazione rimasi letteralmente a bocca aperta, perché le strade erano larghissime, i palazzi altissimi, enormi, c’erano un sacco di persone e di bus che passavano veloci, e mi sembrava di essere a Milano. Ero già uscito dal paese, intendiamoci: quando avevo otto anni eravamo stati un mese in Brasile e alle elementari eravamo andati in gita a Venezia, ma quella era la prima volta che arrivavo in una città vera e grande da solo, ovvero con Arturo, ovvero col compare con cui avrei potuto conquistare il mondo.
Se mi avesse prima mostrato come si faceva.
4
Mancavano poche settimane all’ultimatum padano, e ancora non c’erano...




