Präkels | Quando mangiavo ciliegie sotto spirito con Hitler | E-Book | sack.de
E-Book

E-Book, Italienisch, 256 Seiten

Reihe: Amazzoni

Präkels Quando mangiavo ciliegie sotto spirito con Hitler


1. Auflage 2023
ISBN: 978-88-6243-546-8
Verlag: Voland
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

E-Book, Italienisch, 256 Seiten

Reihe: Amazzoni

ISBN: 978-88-6243-546-8
Verlag: Voland
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



Mimi e Oliver sono vicini di casa e compagni di pesca in una piccola città sul fiume Havel, nella Germania Est. Giocano a calcio insieme, prestano giuramento pionieristico insieme e durante le feste di famiglia si ubriacano in segreto con le ciliegie sotto spirito dei genitori. La caduta del muro di Berlino, quando sono ancora adolescenti, mette fine alla loro amicizia. Sotto il nome di combattimento di 'Hitler', Oliver diventa il leader di una banda di neonazisti a cui presto la situazione sfuggirà di mano... Romanzo doloroso e divertente, in parte autobiografico, ambientato in una tranquilla cittadina del Brandeburgo al momento della scomparsa della DDR.

Nata a Zehdenick nel 1974, ha studiato filosofia, sociologia e storia dell'Europa dell'Est, ha lavorato come burattinaia per un teatro itinerante e nel 2001 ha fondato la band musicale Der Singende Tresen. 'Quando mangiavo ciliegie sotto spirito con Hitler', suo romanzo d'esordio, si è aggiudicato nel 2018 il Deutsche Jugendliteraturpreis e l'Anna Seghers-Preis.
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II. LA SETE DI ZOTTEL


See the stars, they’re shining bright.

Everything’s alright tonight.

DEPECHE MODE, Never let me down again (1987)

La lingua ruvida di Biermann mi strappò ai miei sogni. Un rumore incerto di tacchi sul selciato nuovo. In mezzo a tutto quello che era cambiato, restava solo il silenzio della notte, rotto dai lamenti dei gatti e dai passi di chi rincasava barcollando. Sulla carta da parati sopra il letto c’era ancora la scritta a matita:

Non voglio più mangiare.

Non mangerò più.

Farò lo sciopero della fame.

Il cane si era riaddormentato.

Andai nella stanza accanto a lavarmi le mani.

Il giorno del suo licenziamento, a causa di problemi nell’azienda, il padre di Oliver era venuto da noi per costruirmi un bagno nel corridoio. “L’ho promesso ai tuoi genitori anni fa. Prima non c’è mai stato tempo.”

Lavorando di trapano e martello, aveva creato per me uno spazio indipendente nell’alloggio della nonna. Probabilmente era venuto anche con la speranza di sapere qualcosa di suo figlio. Ma io non dissi nulla. Più tardi, dopo la morte di mia nonna, avrei passato notti intere in quel bagno in mansarda pieno di spifferi. In sciopero generale. Pensando continuamente a Zottel, al suo Krischi e agli assassini, la gente di Hitler.

Quando ci siamo incontrati la prima volta, il sole era alto nel cielo e il mare ci bagnava i piedi. Il nostro primo campo estivo – alla spiaggia per nudisti di Usedom. Ci siamo divertiti in quel periodo sul mar Baltico. Prendevamo il sole stesi sulla sabbia con gli altri figli di insegnanti, ingegneri, addetti alle pulizie e aiuto cuochi. Di notte, i cinghiali invadevano il nostro campeggio ribaltando tutto e saccheggiando la spazzatura. Aspettavamo finché non si sentivano al sicuro e con i loro grugni irsuti non sbattevano grufolando contro i bidoni sotto la nostra finestra. A quel punto saltavamo fuori dal letto, davamo colpi alla porta e urlavamo come forsennati. Per vincere la paura.

Di giorno poteva succedere che i commercianti, mentre passavano con i loro camioncini, lanciassero lungo la recinzione del campeggio la frutta marcia, mele o addirittura meloni. Ce la litigavamo e allora sembrava che fossimo noi i cinghiali. Alla fine eravamo imbrattati dalla testa ai piedi di succo dolce. I semi si appiccicavano alle parti più improbabili del corpo. Ci sdraiavamo al sole con voluttà, fin quando non arrivava un educatore e ci richiamava all’ordine: “Forza, tutti sotto la doccia!”

Zottel era il più grande dei due fratelli. Aveva i capelli ricci e già allora era impertinente come nessun altro. Mi piacque subito. Imparai da lui a prendere in giro gli educatori senza che loro se ne accorgessero, e a fare esattamente il contrario di quanto ci ordinavano – senza rimorsi di coscienza da pioniere. In fondo era un tenerone sempre pronto a fare pace. Quando il film al cinema del campeggio finiva con un happy end tirava regolarmente su con il naso. Non litigavamo mai, non ce n’era motivo, nessun tipo di conflitto tra noi, e alla fine di una lunga giornata potevamo lasciarci cadere sereni sui nostri letti. Zottel era sempre affamato. La sua fame fu superata solo dalla sua sete. In seguito. Se penso a lui vedo le bettole dove aveva trascorso l’infanzia e l’adolescenza. Nessuno ha mai contato quanti posti del genere esistono. Nel mio ricordo ogni birreria si confonde con le altre. L’ingresso pieno di fumo, la carta da parati ingiallita, le finestre sporche e i bagni in cortile, tutto inverosimilmente coperto di polvere e abbandonato. Luoghi tristi dove i sogni vengono lasciati all’entrata, come ombrelli appesi all’attaccapanni accanto alla porta e spesso dimenticati. Si respira a fatica, l’aria è carica dell’odore di birra e del fumo delle sigarette. Ai tavoli le persone stanno sedute immobili, a volte in gruppo, per lo più da sole. Anche se fuori splende il sole, dentro è tutto in penombra. Non ci sono stagioni, non ci sono giorni della settimana, non c’è né mattina né sera. Solo un’infinita attesa. Che l’oste svuoti il posacenere, spilli un’altra birra, porti il conto, che entri o esca qualcuno, che succeda qualcosa. A volte si sente uno scoppio di risa a uno dei tavoli in fondo. Uno degli anziani dalle mani callose parla da solo. Di quelli che se ne sono andati.

La maggior parte delle persone sembra non avere nulla da perdere, a parte la vita e i pochi spiccioli nelle tasche. Gli spiccioli si trasformano in grappa, finché il corpo non barcolla, lo stomaco sanguina, la tosse erutta.

Lui aveva passato molto tempo in una birreria del genere. Era l’unico posto che gli sembrava accogliente, per sé e per il fratellino. Lì dentro il padre si era ubriacato fino ad ammazzarsi, mentre la madre beveva a casa.

Vivevano nel capoluogo. Quando ci salutammo, l’ultimo giorno delle nostre vacanze insieme, non sapevamo che ci saremmo rivisti. Ancora meno potevamo sospettare che lui, Zottel, un giorno avrebbe trovato suo fratello Krischi in una pozza di sangue. Lo avrebbe abbracciato per l’ultima volta lì, steso per terra, freddo ed esitante. Krischi dal cuore d’oro, Krischi dalla rabbia facile, che non parlava se non era completamente ubriaco.

Il vecchio Biermann mi si strusciò al viso ansimando. Il suo alito sapeva di cibo in scatola: “Puzzi.” Contento che parlassi con lui, cominciò a battere la coda sul tappeto. Dal Caffè dello sport si spandeva nella stanza la fanfara di Go West nella versione elettronica dei Pet Shop Boys. Che ora poteva essere? Una bottiglia vuota rotolò rumorosamente contro la porta del garage. Biermann abbaiò svogliato. Io mi alzai e aprii la porta del vecchio salotto della nonna. Il suo odore era ancora nella carta da parati. Il ricordo dei taglieri ricurvi e dei panini con poco burro e troppo sale.

Ovest

La nonna compiva gli anni quasi lo stesso giorno di nostro padre. Si faceva una sola festa. In salotto stavamo stretti perché erano venuti a farci visita la famiglia dal capoluogo, la compagna di ballo della nonna del Circolo di solidarietà popolare, un paio di insegnanti colleghe di mia madre, e poi ancora gli uomini della HO e i compagni di bevute di Papi. Il macellaio Möllemann si era piazzato a capotavola. Troneggiava maestoso su due casse di birra che aveva portato come fornitura personale con il suo unico braccio e con l’aiuto di un garzone, attraversando mezza città. La nonna e la sua amica ne ebbero presto abbastanza. Si impossessarono di una bottiglia di Kadarka e sparirono di sopra. “Questo vino sì che fa bene alla pressione.” Bodo, del chiosco di würstel, era arrivato con la consorte. Mutsch alzò il volume della musica e cominciò a cantare. Non sopportava la maggior parte degli ospiti, ma era costretta a correre avanti e indietro per servire tutti. Adolar e io ce ne stavamo scontrosi in cucina. Decoravamo le tartine con pezzi di cetriolo, quando nel salotto accanto ci fu uno strano silenzio. “Non raccontare balle, Bodo, te lo puoi scordare.”

Continuando a mangiare e bere, la notizia passò in secondo piano. La caduta del Muro rimase una diceria di cui gli invitati alla festa trovarono conferma solo la mattina seguente al risveglio dalla sbronza.

Nostra madre riteneva che fosse una situazione temporanea. “Dobbiamo essere d’esempio!” Però l’insegnante di inglese e un bel po’ di studenti non vennero a lezione. Nostro padre rimaneva inchiodato davanti al televisore. Per la nonna era chiaro che si trattava di un bellissimo regalo di compleanno, quasi come se i suoi figli avessero fatto pace e si fossero dati la mano, da una riva all’altra del fiume. Si fece un pianterello e ci spiegò che noi dovevamo andare subito di là, adesso che era possibile. “Io conosco già tutto e resterò a badare alle bestie.”

E fu così che andammo a visitare il quartiere Wedding a Berlino. La calca su Bornholmer Straße era tale che non riuscivamo a vedere altro che una folla immensa di persone. Ci infilammo nel primo grande magazzino che ci capitò a tiro, fissavamo le scale mobili stracariche tenendoci per mano. Io guardavo i visi, le pettinature, l’abbigliamento dei nostri simili e cominciai a vergognarmi del mio giubbotto rosso. Come avrei voluto essere invisibile! La luce accecante del neon e i profumi pazzeschi del tempio delle merci mi facevano bruciare la gola e gli occhi. Papi e Adolar erano paralizzati nel reparto televisori, non riuscivano a capacitarsi di quanti schermi a colori trasmettessero in contemporanea le stesse immagini. Nostra madre, dal canto suo, di fronte a un volgare commesso con una catenina d’oro si stava rendendo conto che la forza bruta del capitale finanziario aveva trionfato sui suoi nobili ideali. “Allora, bella signora, oggi abbiamo un tostapane di acciaio inossidabile in offerta.” Lo sguardo di lui trionfava sullo stupore di lei. “Può tostare il pane!”

Adolar piangeva perché non poteva avere subito tutto, Papi, per colpa dell’ipoglicemia, sentì le ginocchia cedergli davanti a uno schermo di tre metri. Con le mani tremanti gli scartai uno zuccherino. Ne mangiò altri tre e si riprese. “Tutti ai miei ordini! Fuori!” Ci facemmo strada nel flusso di cittadini della DDR che minacciava di smontare il grande magazzino. Il mio diabetico padre si oppose intrepido alla calca. Unendo le forze riuscimmo a uscire sulla strada affollata di Berlino Ovest. Fuggimmo. Al calare della sera riuscimmo a raggiungere il treno che ci riportava a Havelstadt. La nonna, che ci aspettava a casa con gli avanzi riscaldati della festa di compleanno, annuì con aria consapevole nel vederci rientrare a testa bassa. Lei non avrebbe più dovuto andare laggiù. La nonna...



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