Platzová | La vita dopo Kafka | E-Book | sack.de
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E-Book, Italienisch, 250 Seiten

Platzová La vita dopo Kafka


1. Auflage 2025
ISBN: 978-88-6243-700-4
Verlag: Voland
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

E-Book, Italienisch, 250 Seiten

ISBN: 978-88-6243-700-4
Verlag: Voland
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



È il 1935 quando Felice Bauer e la sua famiglia scappano dalla Berlino di Hitler: un anno e una fuga drammatici, costretti come sono a lasciare una vita agiata e tutti i loro beni per un futuro incerto. Eppure lei porta con sé le lettere che Kafka le aveva inviato durante la loro relazione. Ma chi era esattamente questa donna? Chi si nascondeva dietro l'indole pratica e la risata cordiale di cui ci parlano le famose Lettere a Felice? E fino a che punto si è allungata l'ombra di Kafka nella sua vita? Anni dopo a Manhattan un uomo che afferma di essere figlio di Kafka si avvicina al figlio di Felice: la storia che riferisce può essere vera? Un romanzo originale e accuratamente documentato che mescola immaginazione e realtà per seguire le vicende della prima storica fidanzata di Franz Kafka. E in cui compaiono fra gli altri Grete Bloch, amica di Felice, Max Brod, lo scrittore Ernst Weiss, l'editore Schocken, insieme alla stessa autrice del libro, che racconta i suoi incontri con i discendenti di Felice e anche come è nata l'idea del romanzo e come è cambiata la sua vita scrivendolo.

Cresciuta nella Repubblica Ceca, ha studiato a Washington DC e in Inghilterra. Autrice di romanzi e raccolte di racconti, ha lavorato anche in ambito teatrale e giornalistico e insegnato alla New York University Gallatin School. Attualmente risiede a Lione, in Francia. La vita dopo Kafka, suo terzo romanzo, è stato tradotto anche in inglese, tedesco e francese.
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1935: GINEVRA


In fondo alla strada si rizzano i sottili alberi maestri delle barche a vela. Il vento soffia da nordest, forte e costante, ogni corda dell’ancoraggio fischia una nota diversa. Il ragazzo si ferma ad ascoltare. Lungo il lago corrono piccole increspature aguzze dalle creste bianche, il cielo è pallido, nitido, freddo.

Sono quattro anni che fa la stessa scarpinata per tornare da scuola, due volte al giorno. All’andata di solito correndo. Conosce il lago in ogni stagione e con ogni tempo, nella penombra, al buio. D’inverno il buio arriva presto. Lo scricchiolio del legno. Gli urti sordi e sciabordanti dell’acqua sulle fiancate delle imbarcazioni.

Sua madre e sua zia hanno già iniziato a smistare e a dare via la roba che non si porteranno dietro. In valigia finiranno solo i vestiti, mentre i libri, la porcellana, i quadri, l’argenteria, i tappeti e i mobili li seguiranno in un secondo momento, quando si saranno sistemati. Trasferirsi da Berlino è stato peggio, all’epoca aveva pianto anche sua madre. Suo padre però era stato irremovibile, e ora li trascina di nuovo via. Dall’Europa, che gli ebrei si sentono mancare sotto i piedi.

La strada costeggia il parco, la superficie dell’acqua si è nascosta dietro gli alberi. Svolta all’ultimo angolo. Un condominio che somiglia a un albergo in riva al mare, con lunghi balconi decorativi, persiane colorate e un sacco di nicchie. A Ginevra si sono trasferiti in totale tre volte. All’epoca del primo arrivo, suo padre ha affittato una villa con giardino. Poi sono tornati per breve tempo a Berlino perché la mamma aveva troppa nostalgia, ma è stato un errore, come diceva suo padre. Quando sono fuggiti per la seconda volta, ci hanno rimesso tanti soldi già solo perché li lasciassero andare. Hanno affittato un appartamento più piccolo in centro e quando poi doveva raggiungerli la nonna, suo padre ha trovato l’appartamento di rue de Montchoisy, vicino al parco, in prossimità del lago. Le camere non sono grandi, ma ognuno ha un po’ di privacy. Da quando la nonna è morta, in casa sono in sette: la mamma e il papà, Joachim e Lily, zia Else, la cugina Hanna e la domestica Berta. Non hanno più una governante né una cuoca.

Al secondo piano, davanti alla porta di casa, c’è profumo di arrosto. Soltanto adesso si rende conto della fame che ha. Pigia il pulsante tondo del campanello, si sentono delle voci, ma nessuno apre. Al secondo squillo si levano dei passi veloci. Silenzio. La porta pian piano si apre.

“Vieni un po’ qua!” Si avventa sulla sorella.

“Lasciami. E non urlare. La mamma ha una visita da Berlino.”

“Chi?”

“Una certa Margarete. Dobbiamo chiamarla zia, io però non me la ricordo per niente. Non fa che parlare. Sono chiuse insieme lì dentro.”

Attraverso la vetrata della porta che conduce nel salotto per gli ospiti la luce del sole fluisce proiettando macchie blu, rosse e verdi sulla parete bianca. Il parquet scricchiola, i colori si mettono a danzare: “Siete già qui?”

Sua madre indossa un abito blu scuro a vita bassa con la gonna plissettata e un filo di corallo rosso girato due volte intorno al collo. Il sole le accende di riflessi fulvi i capelli biondo scuro, brizzolati sulle tempie, tagliati appena sotto le orecchie.

Alle sue spalle una donna minuta con i capelli scuri e un vestito chiaro si alza dal divano. Tende la mano con la sigaretta accesa: “Ma questo è Joachim!”

Deve andare a salutarla. Con la sommità della testa la donna gli arriva appena sotto il mento, ma lo attira a sé con forza, facendolo chinare, e con le labbra truccate lo bacia su tutte e due le guance.

“Come sei cresciuto! Ti ricordi ancora di me?”

Gli scompiglia i capelli.

“Eravamo quasi vicini di casa. Vivevo sulla Sedanstrasse, a un passo da Hilde Hildebrand, la famosa attrice. A due passi da me viveva il professor Einstein, ormai anche lui in America. Scappano tutti. Magari a Hollywood diventerai un attore. Sei proprio un gran bel fusto! Tutto Fredi.”

Ride forte, aspira una boccata dalla sigaretta, soffia via una nuvola di fumo. Profuma di una fragranza dolce e del liquore alle erbe che la madre offre agli ospiti prima di pranzo. Due bicchierini di cristallo con gli avanzi del liquido verde acceso brillano sul tavolino accanto al posacenere, uno per lato come guardie d’onore.

“Vado a vedere che ne è del pranzo” dice la madre. “I bambini devono tornare a scuola. Noi aspettiamo Robert per mangiare, se non hai troppa fame. Poi faccio apparecchiare in sala da pranzo.”

“Io non ho mai fame. Guardami un po’. Non c’è verso di ingrassare.”

Come potrebbe non ricordarsi di lei. Parlava sempre a voce troppo alta e a Berlino non mancava a nessuna delle feste di sua madre. Rideva con una risata acuta che somigliava allo strombazzare nervoso dei clacson nelle strade della capitale. Si intimidiva in sua presenza e non gli piaceva. Gli sembrava che mettesse in imbarazzo la mamma davanti alla gente. Ma a sua madre non doveva dar fastidio, perché continuava a invitarla, non c’era serata mondana a Viktoria-Luise-Platz a cui mancasse. Anche i coralli rossi erano stati un suo regalo.

“Scusami un attimo” dice la madre. “Suona il pianoforte. Oppure guarda le riviste di moda, ne ho lì tutta una pila.”

“Non ti preoccupare per me. Non mi annoierò, sto contando le perdite.” Di nuovo quella risata odiosa. Grete aspira una boccata dalla sigaretta e si avvicina alla finestra: “Peccato che da qui non vediate il lago.”

Nel pomeriggio, quando Joachim e Lily tornano a casa da scuola, trovano solo la domestica incupita. Riscalda il latte per i ragazzi e mette in tavola un piatto di pane imburrato, subito però corre di nuovo ai fornelli.

Nel pomeriggio in casa loro di solito non si cucina, il pranzo è il pasto principale della giornata. Per cena bastano pane e lardo o la zuppa del pranzo. Ma a quanto pare oggi si prepara un banchetto, dal forno si sente l’odore dello strudel della zia e Berta sbatte furiosa le pentole.

“Mi piantano da sola qui ai fornelli,” brontola “ma cosa ne so io? Non sono mica una cuoca berlinese.”

“Ma tu sai fare tutto!” la consola Lily. “Dov’è finita la mamma?”

“Le signore passeggiano nel parco” strilla Berta. “Con questo vento! E anche voi, signorino, dovreste stare attento. Avete le guance tutte rosse. Questo sole primaverile picchia forte.”

“Berta, non ti hanno detto quanto si trattiene quella signora?”

“Mi hanno soltanto detto di preparare il letto nella stanza della buonanima della vecchia padrona. Ma non ho fatto ancora in tempo, sono chiusa in cucina da stamattina. Le valigie sono belle grosse, si starà trasferendo!”

“Non da noi, spero” sbotta Joachim.

In corridoio viene sbattuta una porta, si sentono delle voci.

“Eccole qui” sospira Berta sollevata. “Ora forse la padrona mi darà qualche dritta per la cena.”

Svelto il ragazzo finisce di bere il latte e porta il piatto vuoto e la tazza nel lavandino.

Sulla soglia per poco non si scontra con la madre.

“Dove stai andando?”

“Posso uscire un attimo?”

“Non hai compiti?”

“Solo per lunedì.”

La porta del salotto per gli ospiti è socchiusa, ne esce fumo di tabacco. Ora il sole splende da ovest, i vetrini colorati hanno smesso di accendersi.

“Si cena alle sette.”

“Non potrei rimanere dai Weinberger, oggi?”

“No.”

“Mamma, ti prego, mi hanno invitato.”

“No, abbiamo ospiti.”

“E va bene, mamma.”

Le sguscia accanto e corre fuori. Sono le cinque, fa ancora in tempo per la funzione in sinagoga.

L’unica cosa che rimane loro dello Shabbat sono le candele, che sua madre accende prima di cena. Per il resto quella del venerdì è una serata come tante altre.

A casa del suo migliore amico, Leo Weinberger, hanno invece la coppa d’argento e suo padre, con la kippah in testa, prima di farla girare ci intona sopra Baruch atà Adonai, Eloheinu Melech ha’olam, boré pri ha’gafen. Quindi benedice il lavaggio delle mani e la challah dolce e solo dopo per i Weinberger comincia la cena. E con quanta allegria, anche se in realtà motivi per gioire non ne hanno.

Il signor Weinberger gli ha raccontato della loro prima fuga da Berlino, ancora durante la guerra, per scampare al fronte orientale e ai pogrom. All’epoca la signora Weinberger era incinta di Leo. A Berlino nel dopoguerra sono sopravvissuti all’epidemia di influenza e all’inflazione, e non appena il signor Weinberger, che di professione è insegnante, ha trovato un lavoro migliore e ha cominciato a portare un po’ di soldi a casa, è arrivato Hitler. Non volendo di nuovo rinunciare a tutto, non hanno sfruttato il momento opportuno e sono arrivati in Svizzera solo quando cominciavano a essere emanate leggi contro i rifugiati, in continuo aumento. Ad esempio non possono lavorare. Il signor Weinberger insegna l’ebraico di nascosto, gli studenti lo pagano subito, alla fine di ogni ora. E la mamma di Leo fa le pulizie. Leo divide la stanza con le due sorelle minori, vivono in cinque in un appartamento piccolo e buio vicino alla sinagoga.

Eppure da loro il venerdì sera l’atmosfera in genere è più gioiosa che nella sala da pranzo ben arredata di rue de Montchoisy. Lì si sta allegri solo quando suo padre non è in casa.

Le rare volte in cui suo padre è in viaggio o fuori a cena, sua madre e zia Else si mettono a parlare a voce...



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