E-Book, Italienisch, 256 Seiten
Reihe: Cronache
Pigozzi Adolescenza zero
1. Auflage 2019
ISBN: 978-88-7452-763-2
Verlag: Nottetempo
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Hikikomori, cutters, ADHD e la crescita negata
E-Book, Italienisch, 256 Seiten
Reihe: Cronache
ISBN: 978-88-7452-763-2
Verlag: Nottetempo
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Attraverso l'analisi di fenomeni estremi come quelli che riguardano gli hikikomori, ragazzi reclusi in casa, o le cutters, giovani che si tagliano la pelle, la psicoanalista Laura Pigozzi si interroga sulla continuità che esiste tra essi e lo statuto 'disanimato' degli adolescenti contemporanei. Il rapporto che questi intrattengono col proprio corpo, con la scuola, con il sesso e con la scoperta del mondo mostra i segnali inquietanti di una chiusura, di 'un arresto del desiderio, uno scacco della vitalità, un gorgo di passività'. Piú isolati e ripiegati su di sé che in passato, gli adolescenti appaiono privi di quello slancio verso il nuovo, l'Altro e l'esterno che dovrebbe definire il passaggio all'età adulta. Che cosa è successo? E, soprattutto, quali sono gli strumenti per riaprire i loro sguardi sulla vita e sul futuro? Tramite l'esame di casi clinici e l'analisi approfondita della relazione tra istituzione scolastica e nucleo familiare, l'autrice rileva come nel passaggio dalla famiglia alla scuola, dai genitori agli amici, qualcosa è andato storto in un modo che le altre epoche non hanno conosciuto. Oggi piú di ieri, risulta faticoso il compito principale degli adolescenti: creare un legame con i pari.
Autoren/Hrsg.
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1. Hikikomori. Eremiti sociali
Il fenomeno hikikomori – il ritiro dei giovani dal mondo – è uno dei sintomi piú drammatici e angoscianti della nostra epoca e la contagiosa questione dell’autoreclusione colpisce un numero sempre maggiore di giovani nelle società avanzate. La situazione sta prendendo la dimensione di una piaga sociale particolarmente incomprensibile, ostinata e diffusa. Credere che il web sia responsabile del ritiro sociale è ingenuo e fuorviante: per i ragazzi che si ritirano dal mondo, la dipendenza da internet si insinua solo dopo il ritiro e non ne è la causa1. La figura dell’hikikomori, infatti, era già conosciuta in Giappone prima che si diffondessero i computer; e anche oggi, in quel paese, i casi piú gravi non utilizzano la rete. In Italia, gli hikikomori sono piú connessi e questo ha indotto a credere che ci si isolasse per stare in rete, per poter gestire le relazioni sociali con piú controllo. Il web, al contrario, potrebbe essere l’ultima risorsa, l’estremo tentativo di tenere almeno un filo legato con ciò che sta fuori. Come l’Adolescente di Michelangelo, si tratta di giovani ripiegati, che si ritirano dalla vita, che non riescono a diventare individui nel mondo, che evitano gli obblighi sociali e non rispondono neppure alla chiamata dell’amore. Un lato dell’incomprensibilità del fenomeno è il suo presentarsi come una sofferenza apparentemente senza un “oggetto” esterno: droga, alcol, cibo sono gli oggetti di alcune patologie giovanili. Invece qui l’oggetto è il soggetto stesso, il suo stesso corpo. È il proprio corpo che viene consunto, murato vivo, reso morto al legame. Vivo e morto, non-vivo, non-morto, questa è l’icona che l’hikikomori condivide con il vampiro e il licantropo, figure delle serie dark piú amate dai giovanissimi come The Vampire Diaries, Teen Wolf o il manga Vampire Knight. L’hikikomori ci parla dell’inquietudine di ogni adolescente, recluso o meno, che riguarda la soglia tra la vita e la morte o, per meglio dire, quel flirt con la morte che non si manifesta piú nella vivace prova di coraggio di gruppo, ma nella forma di una disanimazione solitaria. Anche quando la scelta del ritiro non è radicale, dobbiamo rilevare un marcato isolamento dei ragazzi, una nuova diffidenza verso l’altro e una certa imperizia nel fare gruppo. Ci sono giovani, non-morti e non-vivi, che si aggirano in casa, murati nell’intimo, apparentemente non desiderosi di relazioni, claudicanti come grandi infanti non ancora nati alla parola.
Chi sono
Hikikomori è una parola giapponese, composta da hiku, “indietreggiare”, e komoru, “ritirarsi, nascondersi”, inventata negli anni ottanta dallo psichiatra giapponese Saito Tamaki, direttore del Dipartimento psichiatrico dell’Ospedale Sofukai Sasaki di Chiba, e indica il ritiro sociale dei ragazzi, per la maggior parte maschi, che indietreggiano dal mondo, cominciando col lasciare la scuola. Pian piano finiscono per ritirarsi completamente nella loro camera, nei casi piú severi a non fare assolutamente nulla, nemmeno a digitare su una tastiera. L’estrazione sociale della famiglia è normalmente medio-alta e spesso la madre, pur con studi superiori, fa la casalinga2. L’età degli hikikomori varia dall’adolescente al giovane adulto e non sono pochi i casi di quarantenni reclusi che vivono ancora con i genitori. Gli hikikomori si differenziano dai NEET3, che non studiano e non lavorano ma amano la comunicazione, e dai Freeter4, che preferiscono fare lavori saltuari o part-time. A differenza degli hikikomori, NEET e Freeter fanno riferimento a gruppi, benché si tratti di gruppi omogenei che contraddicono l’essenziale eterogeneità del gruppo giovanile. Tutte queste categorie sono accomunate dalla dipendenza economica dalla famiglia. Per essere definiti hikikomori lo standard prevede che si siano vissuti almeno sei mesi in ritiro, senza che preesista una diagnosi di patologia mentale. Il ritmo circadiano dell’hikikomori tipico è invertito, dorme di giorno e sta sveglio la notte, quando esce dalla camera per mangiare o procurarsi il cibo nel frigo di casa, mentre tutti dormono, o nei supermercati aperti ventiquattr’ore su ventiquattro. Ci sono quelli che di giorno possono vivere solo connessi, ma i due fenomeni – hikikomori e web – si presentano insieme non perché il secondo sia causa del primo, ma perché hanno un’origine comune: chi resta impigliato ossessivamente nella rete e attaccato allo schermo per ore pensando di arginare l’angoscia è rimasto fissato a un legame assoluto, non limitato dalla fase di separazione, e lo ripete, come l’hikikomori. Non è internet che dà il via alla clausura, ma il voler restare bambini attaccati a un seno digitale. La dipendenza dal web, che non è esclusiva dell’hikikomori, si installa su una dipendenza preesistente, da cui l’adolescente eredita la sua caparbia fissazione. Internet, casomai, è per lui un punto di ancoraggio, un luogo dove scambiare ancora parole, un alito di simbolico, sebbene virtuale, nel vuoto della clausura. Nel tentativo di arginare un fenomeno tanto inquietante, troviamo anche metodi fantasiosi: dato che, in Giappone, l’hikikomori è prevalentemente figlio unico, si è istituita la pratica della rental onesan, della sorella in prestito che i genitori assumono con l’idea di aiutare il figlio a superare l’isolamento.
Se l’hikikomori è un fenomeno studiato negli anni ottanta tra gli adolescenti giapponesi, ora è in vertiginosa espansione nelle società sviluppate: tra queste, l’Italia è una delle piú colpite, come ha dichiarato in un’intervista anche Saito Tamaki, colui che ha nominato per primo questo flagello giovanile5. In Giappone, le stime di Saito Tamaki, che dirige centri specializzati per questi ragazzi, indicano piú di un milione di giovani coinvolti nel fenomeno; quelle delle associazioni di genitori piú di un milione e 600.000 e quella ufficiale, del Ministero della Salute giapponese, ne calcolava 696.000 nel 20106, ma il numero si è quadruplicato negli ultimi anni7. In Italia non abbiamo dati ufficiali, ma gli addetti stimano l’esistenza di oltre 100.000 hikikomori italiani8. Occorre dire che le stime non sono precise perché i casi possono essere occultati dalle famiglie che rilevano tardi la gravità della situazione o che si vergognano del figlio ritenuto “fannullone” e, cosí facendo, si chiudono anche loro dietro a un muro e si hikikomorizzano: la madre è solitamente la figura che si prende cura del figlio in questa condizione e ne condivide la clausura.
Gli hikikomori giapponesi vivono spesso soli, mentre quelli italiani difficilmente tagliano i ponti con i genitori: ciò può indurre questi ultimi a sottovalutare la situazione, scambiando il ritiro per timidezza sociale o difficoltà transitoria dell’età. Si dovrebbero rizzare le antenne quando un ragazzo non si lamenta del suo stato di esclusione ma lo rivendica dicendo che “lui sta bene cosí” e che è esattamente il modo in cui vuole vivere. I piú gravi tra questi naufraghi spengono il computer e stanno in silenzio, possono arrivare a dormire piú di 16 ore al giorno, alcuni restano al buio per interminabili settimane, mesi o addirittura anni, mentre le loro stanze si riempiono di spazzatura che nessuno getta via perché anche ai genitori può essere precluso l’ingresso nella loro camera. La maggior parte degli hikikomori prima o poi esce di casa, ci possono volere mesi o anni: il record è di un ragazzo giapponese che è uscito dopo vent’anni. In tutti i casi, riprendere la vita normale è difficilissimo: tante le recidive, pochi i finali lieti. Gli hikikomori scambiano il giorno per la notte, vivono nel caos dell’accumulo di cose che non riescono a gettare, cose che non escono dalla loro stanza, esattamente come loro, e che restano attaccate al loro destino. Vengono spesso diagnosticati come depressi o paranoici, ma se è vero che vivono come psicotici, non è detto che lo siano dal punto di vista della struttura, anche se possono soffrire di paranoia, disturbi ossessivo-compulsivi e depressione come forme secondarie dovute all’isolamento: “Dalle diagnosi psichiatriche non risulta che, nel momento di inizio hikikomori, i soggetti soffrano di malattie mentali, ritardi mentali e patologie mediche”9. Non è psicosi, secondo gli psichiatri giapponesi, anche se l’isolamento prolungato può produrne gli effetti: sono tutti d’accordo nel ritenere che la malattia mentale, se non determina la clausura, può però installarsi a causa di essa. L’imprecisione delle stime è dovuta al fatto che la pratica hikikomori può venire confusa con le depressioni o le schizofrenie giovanili e tra quelle archiviata. La condizione di ritiro rende complesso l’incontro con un hikikomori e la domanda d’aiuto proviene, la maggior parte delle volte, dai genitori. Lo studio di uno psicoanalista non è un ufficio statistico ma un laboratorio che, pur nella limitatezza dei casi, offre un approfondimento sulla tonalità dei fenomeni contemporanei. Oltre ai casi diretti, si è consultata la letteratura pubblicata da ospedali internazionali10 che hanno dipartimenti dedicati: il tema ricorrente che si presenta agli occhi degli operatori di ogni parte del mondo è che un hikikomori vive un’impossibilità nel passaggio dall’infanzia alla vita adulta. Invece che una conquista, un tale ingresso è sentito solo come una perdita...