Pacifico | Il caso Vittorio | E-Book | www2.sack.de
E-Book

E-Book, Italienisch, 315 Seiten

Pacifico Il caso Vittorio


1. Auflage 2011
ISBN: 978-88-7521-340-4
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

E-Book, Italienisch, 315 Seiten

ISBN: 978-88-7521-340-4
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



Chi è Vittorio, l'inafferrabile protagonista di un romanzo che inizia ai tempi del primo governo Berlusconi e si conclude nell'atmosfera irreale del post-11 settembre? Frequenta i centri sociali? È uno studente modello? Un fan dei Pearl Jam? Un edonista in vacanza a Sharm el Sheik? Un cattolico integralista? E soprattutto: è innamorato della bella e disinibita Claudia o di Marta, chiusa, impacciata e rosa dalla frustrazione? Vittorio riesce a essere tutte queste cose insieme, attraversando adolescenza e giovinezza all'insegna di un camaleontismo luciferino e superando, praticamente indenne, il periodo del grunge e quello del pop patinato, la vittoria elettorale della sinistra e il ritorno di Berlusconi: ha un talento formidabile per il trasformismo...

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All’ora di pranzo se ne stavano in un ristorante cinese nel quartiere Trieste; Vittorio ordinò degli involtini primavera, dicendo: “Springrolls, si dice springrolls”.

“Certo”, annuì Claudia.

“Springrolls”, disse Marta.

Il ristorante era triste, con le tovaglie rosa e i pretenziosi fiori bianchi che facevano pensare ai negozi cinesi di vestiti, quei negozi di piazza Vittorio sempre vuoti.

“Il pollo è di gatto: non ci sono più gatti nel quartiere”, disse il ragazzo. “Sono spariti tutti, anche quello del mio portiere. Jack. Il gatto Jack. Jack the cat turned into Jack the chicken with almonds”.

“Come?”, chiese Marta.

Claudia rise di Marta, poi si rilassò sulla sedia, prese le sigarette dal tavolo e se ne accese una.

“Giuro, sono spariti tutti. Si chiamava Jack per via di Jack lo squartatore, perché una volta aveva squartato vivo un geco: l’ho scoperto io dietro al portone. C’è anche la somiglianza Geco/Jack”.

Claudia sbuffò il fumo e disse: “Guarda, sei completamente cambiato, basta che ti curi un po’, dico i vestiti. Prendiamo la birra cinese”. Gli diede un pugno sulla spalla.

Ordinarono springrolls per tre, birra cinese e pollo alle mandorle. Vittorio consigliò gli spaghetti con le verdure bollite, e le alghe fritte. “Ma non sono veramente alghe”. Non si faceva in tempo a masticarle: si scioglievano in bocca, lasciando un odore tipico di olio e glutammato di sodio.

Si divertivano. Secondo Vittorio era stata una fortuna incontrarsi. Disse: “Voi sembrate snob, che volete escludere gli altri, ma viste da vicino siete molto più avvicinabili”.

“Massimale”, disse Claudia.

Mangiarono il pollo alle mandorle e a Marta la birra cinese diede alla testa. Disse a Vittorio: “Fuma, dai”. Gli allungò il pacchetto e gli toccò le dita per un momento di troppo. Gli passò l’accendino e si accese una sigaretta anche lei. Ordinarono altra birra, ordinarono il gelato fritto. Lasciarono le birre a metà.

Al centro del tavolo c’era un cerchio di legno laccato, un bel piano girevole per passarsi il cibo: stavano lì a giocarci e rovesciarono una birra. Il cameriere cinese li guardò storto e loro risero; era divertentissimo.

C’era una luce soffusa, l’ombra dei capelli si proiettava sui piatti vuoti e dalla cucina si sentiva la radio.

Se ne andarono a villa Ada; Vittorio si fece spiegare chi frequentava quella parte di villa.

“Ci sono le zecche che si fanno le canne”.

“Ma voi siete zecche?”

Erano sdraiati sul pendio: Vittorio da una parte, Claudia al centro con Marta alla sua sinistra.

“Noi siamo zecche? Boh? Che palle”, disse Claudia.

“Scusa. Perché?”

Marta rise forte per farsi sentire. “Ma puoi fare certe domande?”

“Ma le zecche sono i comunisti? Voi siete comuniste?”

“Io sono riformista”, disse Claudia. Starnutì.

Era uno starnuto di eccitazione?, si domandò Marta, che ne aveva di frequente, quando era emozionata o quando un ragazzo si sedeva vicino a lei per parlare.

“Siamo post-comuniste, ma in senso buono. Siamo anche catto-comuniste. Tu?”

“Non lo so. Potrei essere comunista, ma non ho letto Marx”.

“Ok”, disse Marta, e anche Claudia. Loro avevano letto il Manifesto del Partito Comunista e avevano studiato Marx sull’enciclopedia della filosofia di Vito, il compagno della mamma di Claudia. “Dovresti”, gli dissero.

“Può essere che me lo leggo”, disse lui seriamente.

“Massimale”, disse Claudia.

Marta starnutì, poi disse in fretta: “Massimale”, come una che è rimasta indietro.

Entro le cinque gli avevano chiarito la questione Berlusconi: gli spiegarono il conflitto di interessi e gli dissero che nella giustizia bisognava seguire Socrate ma solo fino a un certo punto, perché se Berlusconi cambiava le leggi, insomma, si capovolgeva tutto e la cicuta non aveva più senso.

“Hasta siempre, Vittorio, capito? Impara le parole chiave: Hasta siempre”.

“Hasta, hasta... hè hè... Ma io so che si dice Hasta la victoria”.

“Siempre”, fecero le ragazze alzando i pugni.

La conversazione era leggera, altrimenti sarebbe parso che Claudia e Marta stessero plagiando il loro nuovo amico. Finì con Marta che diceva a Vittorio:

“Si vede che hai ancora delle tare”.

Vittorio osservava un adulto che insegnava il bagher e il palleggio a dei bambini in fondo alla collina. “Sembra che ne ho molte, di tare”.

“Adesso ti prestiamo un po’ di libri”, disse Claudia. “Andiamo da me”.

A Marta l’idea non piacque; fra un quarto d’ora doveva stare a casa per badare che i suoi fratelli facessero i compiti. Pietro, il più piccolo, andava in seconda media; Giovanni, che aveva tre anni meno di lei, era in quinto ginnasio ed era un cattivo studente. In generale, mamma e papà non volevano che i due figli maschi restassero troppo soli in casa, perché erano adolescenti e gli adolescenti hanno certi pruriti.

Andarono in motorino verso i Parioli, a casa di Claudia, davanti alla parrocchia. Vittorio fu affascinato dalla cantina semi-ammobiliata. Marta provò una grande invidia e non se ne andò via perché le scocciava che i due rimanessero soli.

“Qui in questo mobiletto c’è per dormire, e qui di lato la nostra piccola biblioteca. Questa è la poltrona su cui leggo e scrivo i miei articoli rigorosamente a penna stilografica”.

Marta si sentiva morire e non vedeva l’ora di parlare di sé. Si sedette sulla poltrona mentre Claudia continuava, con tono mondano: “Non ci vengo a fare i compiti, perché voglio tenere fuori di qui il mero dovere sociale dei compiti a casa”.

“Allora mi ci vedrai poco, qui”, disse Vittorio.

Marta cercò di non far trapelare niente.

Vittorio si sedette sul bracciolo della poltrona e Marta starnutì.

“Ci scrivo poesie, qui”.

“Ah, poesie. Mh. Anch’io scrivo dei sonetti, a volte. Avevo un amico che mi ha insegnato le regole del sonetto. Mh. Dunque. A-b-a-b, c-d-c-d, e-f-g, e-f-g”.

“No, più che altro versi sciolti. Fuma; Marta, dagli una ciospa”.

“Dammi una ciospa, Martina”, disse Vittorio dall’alto del suo bracciolo. Marta starnutì e decise che d’ora in poi si sarebbe firmata Martina.

“Sai, l’anno scorso dicevamo che eravate lesbiche perché eravate andate in Sardegna da sole in tenda”.

“Mh”, risposero.

Marta diede le sigarette a Vittorio, che fece no con la mano e per un momento parve cadere dal bracciolo. “Credo di dover andare a casa”.

“Non ti vuoi fare una canna?”, disse Claudia.

Marta si stranì.

“Il mio ex ragazzo mi ha lasciato una canna”.

“No, ma non credo di voler fumare”, disse Vittorio.

“Perché sei libero dentro”, notò Claudia.

Poi se la fumarono e infine Marta e Vittorio (cui vennero prestati dei libri) se ne andarono. Per controllare che si allontanassero in direzioni diverse, e che Vittorio non desse uno strappo in motorino a Marta, Claudia li accompagnò fuori dal portone. “Io adesso me ne torno un po’ giù a dare aria, poi mi leggo due poesie, che sono fatta”.

“Massimale”, disse Vittorio per la prima volta.

Marta guardò la sua amica e risero. Poi pensò a quello che l’aspettava per il suo ritardo e si andò a comprare delle liquirizie per togliere l’odore di sigaretta. Pensò: che c’entra, anch’io sono fatta.

Appena tornata a casa i suoi se la mangiarono perché non erano potuti uscire per rimanere ad aspettare lei.

“Neanche avevi le chiavi”.

“Mi poteva aprire Giovanni”.

Sua madre temeva che i due figli maschi si chiudessero dentro e guardassero i filmetti sporchi o le riviste. In quella casa, alle riviste con donne nude in copertina si strappava la copertina. Se nei settimanali Espresso e Panorama c’erano troppi nudi, venivano buttati. La casa era un inferno delle libertà e Marta aveva deciso, per l’anno nuovo, di iniziare a dire la propria sul regime oppressivo della famiglia.

Alla madre urlò: “Credi che io ti creda? Cioè: credi che ti basti fare quella faccia arrabbiata ogni volta e io credo a tutto quello che dici?”

La madre era grossa, alta e con una pancia enorme; aveva dei modi da generale dell’esercito. Da giovane era stata molto carina, e...



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