O'Connor | Punto Omega | E-Book | sack.de
E-Book

E-Book, Italienisch, 313 Seiten

Reihe: Minimum classics

O'Connor Punto Omega


1. Auflage 2022
ISBN: 978-88-3389-457-7
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

E-Book, Italienisch, 313 Seiten

Reihe: Minimum classics

ISBN: 978-88-3389-457-7
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



Una donna che fatica ad accettare l'integrazione razziale intraprende con il figlio un difficile viaggio in autobus; un toro in fuga da una fattoria si trasforma in dispensatore di morte o forse di grazia; un uomo anziano ha un rapporto contrastato con la nipotina, lacerata tra l'affetto per il nonno e la lealtà verso il padre violento; uno scrittore malato torna a vivere nella fattoria della sua infanzia; un uomo del Sud coperto di tatuaggi è impegnato a dimostrare il proprio amore per una donna che ha dedicato se stessa al Dio dell'Antico Testamento: sono solo alcuni dei personaggi che affollano i racconti di Punto Omega. La maestria e la padronanza della forma breve di Flannery O'Connor raggiungono probabilmente il loro culmine nella sua seconda e ultima raccolta di racconti, pubblicata postuma nel 1965. Giunta alla piena maturità di scrittrice, devastata dalla malattia che la porterà nel giro di pochi anni a una morte precoce, O'Connor conferma e se possibile rafforza il proprio talento di narratrice perennemente sospesa tra il grottesco e il realismo più brutale, tra lo stupore di fronte alla crudeltà del mondo e il richiamo della fede, tra l'incombere della morte e il paradosso della salvezza.

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Punto Omega


Il medico aveva detto alla madre di Julian che doveva perdere dieci chili perché aveva la pressione alta, perciò ogni mercoledì sera Julian era costretto ad accompagnarla in centro in autobus a un corso per dimagrire dell’Associazione Giovani Cattolici. Il corso era destinato alle lavoratrici con più di cinquant’anni che pesavano dai settanta ai novanta chili. Sua madre era una delle più snelle, ma sosteneva che una signora non rivelava mai né l’età né il peso. Non prendeva i mezzi pubblici da sola la sera da quando li avevano integrati, e visto che il corso per dimagrire era uno dei suoi pochi piaceri, necessario per la salute e , diceva che Julian poteva almeno prendersi il disturbo di accompagnarla, considerato tutto quello che aveva fatto per lui. A Julian non andava di considerare tutto quello che la madre aveva fatto per lui, ma ogni mercoledì sera si faceva forza e la accompagnava.

Lei era quasi pronta a uscire, ferma davanti allo specchio dell’ingresso, e si stava mettendo il cappello mentre lui, le mani dietro la schiena, sembrava inchiodato allo stipite, come un San Sebastiano in attesa di essere trafitto dalle frecce. Il cappello era nuovo e le era costato sette dollari e mezzo. Continuava a dire: «Forse non avrei dovuto spendere così tanto per questo cappello. No, non avrei dovuto. Ora me lo tolgo e domani lo restituisco. Non avrei dovuto comprarlo».

Julian alzò gli occhi al cielo. «Sì, invece, hai fatto bene a comprarlo», disse. «Mettitelo e andiamo». Era un cappello orribile. La tesa di velluto viola scendeva da una parte e saliva dall’altra; il resto era verde e sembrava un cuscino senza imbottitura. Lui rifletté che più che ridicolo era spavaldo e patetico. Tutto ciò che dava piacere a lei era misero e deprimente.

Sua madre sollevò ancora una volta il cappello e se lo appoggiò lentamente sulla testa. Due ciuffi di capelli grigi le spuntavano ai lati del viso florido, ma gli occhi azzurro cielo erano innocenti e inviolati come doveva averli avuti a dieci anni. Non fosse stata una vedova che aveva lottato con le unghie e con i denti per mantenerlo, vestirlo e farlo studiare e che ancora lo manteneva «finché non fosse riuscito a camminare con le sue gambe», avrebbe potuto essere una bambina che Julian doveva portare in città.

«Stai bene, stai bene», disse. «Andiamo». Aprì la porta e s’incamminò sul vialetto per costringerla a sbrigarsi. Le case si stagliavano cupe contro un cielo di un viola moribondo, mostruosità bulbose color fegato di una bruttezza uniforme, anche se non ce n’erano due uguali. Dato che quarant’anni prima quello era stato un quartiere alla moda, la madre si ostinava a pensare che avessero fatto bene ad avere un appartamento in quella zona. Ogni casa era circondata da un angusto colletto di terra in cui, di solito, era seduto un bambino sudicio. Julian camminava con le mani in tasca, la testa bassa e protesa in avanti e gli occhi velati dalla determinazione a rimanere completamente insensibile per tutto il tempo in cui avrebbe dovuto sacrificarsi per il piacere della madre.

La porta si chiuse, Julian si voltò e vide la sagoma tozza, sormontata dal cappello atroce, avanzare verso di lui. «Be’», disse, «si vive una volta sola, e anche se l’ho pagato un po’ di più, almeno questo cappello ce l’avrò solo io».

«Un giorno comincerò a fare soldi», disse Julian tetro – sapeva che non ci sarebbe mai riuscito – «e tu potrai comprarti uno di questi cosi ogni volta che ne avrai voglia». Ma prima avrebbero traslocato. Vagheggiava una casa senza vicini nel raggio di otto chilometri.

«Secondo me te la stai cavando bene», disse lei, infilandosi i guanti. «Hai finito di studiare solo da un anno. Roma non è stata costruita in un giorno».

Era una delle poche partecipanti al corso per dimagrire ad arrivare in guanti e cappello e ad avere un figlio che era stato all’università. «Ci vuole tempo», disse, «e poi il mondo è disastrato. Questo cappello mi stava meglio di tutti gli altri. Anche se quando la commessa l’ha tirato fuori io le ho detto: “Lo porti via, non me lo metterò mai”, e lei ha detto: “Aspetti di vederselo addosso”, e quando me lo ha messo in testa ho detto: “Be’...”, e lei ha detto: “Se vuole sapere come la penso, questo cappello le dona, e lei dona al cappello, e inoltre”, ha aggiunto, “questo cappello ce lo avrà solo lei”».

Julian pensava che avrebbe sopportato meglio il proprio destino se lei fosse stata egoista, una vecchia strega che beveva e lo sgridava. Le camminava di fianco, saturo di depressione, come se, proprio nel pieno del martirio, avesse perso la fede. Notando il suo viso lungo, disperato, stizzoso, lei si fermò di colpo con un’aria addolorata, e gli tirò la manica. «Aspettami», disse, «torno a casa, mi levo questo affare e domani lo restituisco. Non ero in me. Con quei sette dollari e cinquanta posso pagare la bolletta del gas».

Lui le afferrò il braccio in una stretta cattiva. «Non devi riportarglielo», disse. «Mi piace».

«Be’», disse lei, «non credo che dovrei...»

«Smettila e goditelo», borbottò, più depresso che mai.

«Con il mondo così disastrato», disse lei, «mi meraviglierei se potessimo goderci qualcosa. Te lo dico, va tutto alla rovescia».

Julian sospirò.

«Certo», disse lei, «se una persona sa chi è, può andare ovunque». Lo diceva ogni volta che lui la accompagnava al corso per dimagrire. «La maggior parte delle mie compagne non sono della mia classe sociale», disse, «ma io so essere gentile con tutti. Io so chi sono».

«Non gliene frega niente della tua gentilezza», disse Julian ferocemente. «Sapere chi siamo vale solo per una generazione. Tu non hai la più vaga idea né di chi sia tu, né di quale sia la tua classe sociale, adesso».

Lei si fermò e si concesse un’occhiata fulminante al figlio. «Io so perfettamente chi sono», disse. «E se tu non sai chi sei, io mi vergogno di te».

«Oh, al diavolo», disse Julian.

«Il tuo bisnonno è stato governatore di questo stato», disse lei. «Tuo nonno era un facoltoso proprietario terriero. Tua nonna era una Godhigh».

«Senti, guardati in giro e vedi dove sei», disse lui, teso, e con un gesto nervoso indicò il quartiere che l’oscurità rendeva se non altro meno squallido.

«Tu resti quello che sei», disse la madre. «Il tuo bisnonno aveva una piantagione da duecento schiavi».

«Gli schiavi non esistono più», disse lui, irritato.

«Quelli stavano meglio quando erano schiavi», ribatté lei. Julian fece un gemito, accorgendosi che era partita per la solita tangente. La imboccava a intervalli di pochi giorni, come un treno su un binario aperto. Conosceva ogni fermata, ogni incrocio, ogni palude di quella tratta, e conosceva anche il punto preciso in cui l’epilogo del suo ragionamento sarebbe entrato maestosamente in stazione: «È ridicolo. Semplicemente surreale. Dovrebbero elevarsi, certo, ma sempre restando al posto loro».

«Lasciamo perdere», disse Julian.

«Quelli che mi stringono il cuore», disse lei, «sono i mezzi bianchi. Loro sono proprio da tragedia greca».

«Perché non lasci perdere?»

«Pensa se noi fossimo mezzi bianchi. Avremmo certamente sentimenti contrastanti».

«Io ce li ho adesso, i sentimenti contrastanti», gemette lui.

«Be’, allora parliamo di qualcosa di piacevole», disse lei. «Ricordo ancora quando andavo a trovare il nonno da bambina. All’epoca la casa aveva uno scalone doppio che portava direttamente al primo piano – si cucinava tutto a pianterreno. Di solito a me piaceva stare in cucina perché i muri avevano un odore particolare. Mi sedevo con il naso schiacciato sull’intonaco e respiravo profondamente. In realtà la casa era dei Godhigh ma tuo nonno Chestny aveva pagato l’ipoteca e gliel’aveva salvata. Erano in ristrettezze», disse, «ma per quanto poveri, non dimenticavano mai chi erano».

«Quel palazzo diroccato glielo ricordava di continuo, poco ma sicuro», borbottò Julian. Non ne parlava mai senza disprezzo e non ci pensava mai senza struggimento. L’aveva visto una volta da bambino prima che lo vendessero. Lo scalone doppio era marcito e lo avevano buttato giù. Ci vivevano i negri. Ma nella sua mente la villa era rimasta come l’aveva conosciuta sua madre. E appariva regolarmente nei suoi sogni. Lui era in piedi, sull’ampia veranda, e ascoltava stormire le querce, poi attraversava pigramente l’ingresso dal soffitto alto ed entrava in salotto, a contemplare i tappeti logori e la tappezzeria sbiadita. A volte pensava che l’avrebbe potuta apprezzare lui, non sua madre. Julian preferiva la sua eleganza consunta a qualsiasi altra cosa e proprio per questo motivo tutti i quartieri in cui avevano abitato per lui erano stati un tormento – mentre sua madre non aveva quasi notato la differenza. Lei definiva la sua insensibilità «capacità di adattamento».

«E ricordo la vecchia negra che mi faceva da bambinaia, Caroline. Non esisteva persona migliore al mondo. Ho sempre avuto massimo rispetto per i miei amici di colore», proseguì lei. «Farei qualsiasi cosa per loro, e loro...»

«Per l’amor di Dio, vuoi smetterla con questo discorso?», disse Julian. Quando saliva sull’autobus per conto proprio, ci teneva a sedersi accanto a un negro, per espiare i peccati della madre.

«Sei molto permaloso, stasera», disse lei. «Ti senti bene?»

«Sì, mi sento bene», le rispose. «Adesso piantala».

Lei serrò le...



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