E-Book, Italienisch, 91 Seiten
Nussbaum Persona oggetto
1. Auflage 2022
ISBN: 979-12-5982-071-6
Verlag: Il Margine
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
E-Book, Italienisch, 91 Seiten
ISBN: 979-12-5982-071-6
Verlag: Il Margine
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Intellettuale di fama mondiale, studiosa di filosofia politica ed etica, ha insegnato all'Università di Chicago. Fra i suoi ultimi libri pubblicati in Italia: Rabbia e perdono. La generosità come giustizia (2017), Libertà di coscienza (2018) e La monarchia della paura. Considerazioni sulla crisi politica attuale (2020).
Autoren/Hrsg.
Weitere Infos & Material
Introduzione
È vero, e va sottolineato, che le donne sono oggetti, merci, alcune giudicate più costose di altre — ma è solo affermando ogni volta la propria umanità, in tutte le situazioni, che si diventa qualcuno come contrapposto a qualcosa. È questo, dopotutto, il cuore della nostra lotta.
Andrea Dworkin, Woman hating
L’oggettualizzazione sessuale è un concetto familiare. Dopo essere stata un termine relativamente tecnico della teoria femminista, associato in particolare all’opera di Catharine MacKinnon e Andrea Dworkin, la parola «oggettualizzazione» è ormai entrata nella vita quotidiana di molte persone. La si sente usare di frequente per criticare gli annunci pubblicitari, i film e altre rappresentazioni, e anche per esprimere scetticismo rispetto agli atteggiamenti e alle intenzioni di una persona nei confronti di un’altra, o ai propri nei confronti di qualcun altro. È usata in genere come termine peggiorativo, per connotare un modo di parlare, pensare e agire che il locutore trova moralmente o socialmente sgradevole, di solito, benché non sempre, nell’ambito sessuale. Così, Catharine MacKinnon può scrivere della pornografia: «L’ammirazione della bellezza fisica naturale diventa oggettualizzazione. L’inoffensività diventa danno» (MacKinnon, 1987, p. 174). Il ritratto di donne «deumanizzate come oggetti sessuali, cose o merci» è, di fatto, la prima categoria di materiale pornografico resa perseguibile in giudizio secondo l’ordinanza di Minneapolis proposta da MacKinnon e Dworkin (MacKinnon, 1987, p. 262, n. 1).1 La stessa specie di uso peggiorativo è molto comune nelle normali discussioni sociali di persone ed eventi.
Il pensiero femminista, inoltre, ha rappresentato tipicamente l’oggettualizzazione sessuale delle donne da parte degli uomini come un problema non banale bensì centrale nella vita delle donne, e l’opposizione a essa come il cuore stesso della politica femminista. Per Catharine MacKinnon, «l’esperienza intima delle donne dell’oggettualizzazione sessuale […] definisce ed è sinonimo della vita delle donne come genere femminile» (MacKinnon, 1989, p. 124). Si ritiene che l’oggettualizzazione riesca a costringere le donne a un’esistenza in cui «possono cogliere il sé soltanto come una cosa» (MacKinnon, 1989, p. 124). Inoltre, questa esperienza nociva è, secondo MacKinnon, inevitabile. Con una metafora di grande impatto, l’autrice afferma che «tutte le donne vivono nell’oggettualizzazione sessuale allo stesso modo in cui i pesci vivono nell’acqua» — intendendo con ciò, presumibilmente, non solo che l’oggettualizzazione circonda le donne, ma anche che esse ne sono state condizionate al punto che traggono dall’oggettualizzazione il loro stesso sostegno. Ma le donne non sono pesci, e secondo MacKinnon l’oggettualizzazione è negativa poiché nega loro ogni possibilità di espressione e determinazione di sé — strappa loro, in effetti, l’umanità.
Ma il termine «oggettualizzazione» può anche essere usato, ingenerando talvolta confusione, con uno spirito più positivo. In realtà, si possono trovare entrambi questi usi apparentemente confliggenti negli scritti di alcuni autori: è il caso dell’esperto statunitense di teoria del diritto Cass Sunstein, che generalmente ha supportato la critica della sessualità di MacKinnon. In tutti i suoi primi scritti sulla pornografia, Sunstein parla del trattamento delle donne come oggetti usati e controllati dagli uomini come della caratteristica centrale, e deprecabile, della rappresentazione pornografica (Sunstein, 1992; 1993). D’altra parte, in una recensione perlopiù negativa di un libro recente di Nadine Strossen (1995) in difesa della pornografia, Sunstein scrive:
L’immaginazione delle persone è turbolenta […] È possibile sostenere, come fanno taluni, che l’oggettualizzazione e una forma di uso sono parti integranti della vita sessuale, o parti meravigliose della vita sessuale, o parti inestirpabili della vita sessuale. In un contesto di parità, rispetto e consenso, l’oggettualizzazione — un concetto tutt’altro che facile da definire — può non essere così problematica (Sunstein, 1995).
Naturalmente, Sunstein si esprime con molta cautela, limitandosi a parlare di un’argomentazione che potrebbe essere addotta e non palesando un proprio personale sostegno a essa. Ciò non di meno, a MacKinnon e Dworkin, che hanno tipicamente rappresentato l’opposizione all’oggettualizzazione come il cuore stesso del femminismo, questo passaggio potrebbe ben apparire sconcertante. Esse legittimamente chiederebbero: che cosa intende difendere Sunstein? Perché «l’oggettualizzazione e una forma di uso» dovrebbero poter essere viste come parti «meravigliose» o addirittura «inestirpabili» della vita sessuale? Non è sempre negativo usare un «qualcuno» come un «qualcosa»? E perché dovremmo supporre che sia in assoluto possibile mettere l’oggettualizzazione in relazione con «parità, rispetto e consenso»? Non è proprio tale combinazione ciò di cui abbiamo dimostrato l’impossibilità?
La mia impressione, su cui mi soffermerò, è che simili equivoci possano nascere perché non abbiamo chiarito a noi stessi il concetto di oggettualizzazione, e che una volta che l’avremo fatto scopriremo che si tratta di un concetto non solo scivoloso ma anche molteplice. In realtà, sosterrò che questo termine può indicare almeno sette modi distinti di comportarsi, nessuno dei quali implica di necessità alcuno degli altri, sebbene vi siano numerose connessioni complesse tra loro. Sosterrò che per certi aspetti l’oggettualizzazione è sempre moralmente problematica. Sotto altri aspetti, però, l’oggettualizzazione presenta caratteristiche che possono essere positive o negative a seconda dal contesto globale. (Sunstein aveva certamente ragione a sottolineare l’importanza del contesto, e io mi soffermerò su questo punto). Inoltre, alcune caratteristiche dell’oggettualizzazione, spiegherò, possono di fatto, in determinate circostanze, come suggerito da Sunstein, essere caratteristiche necessarie o perfino meravigliose della vita sessuale. Per accorgersi di tutto ciò sarà necessario, fra le altre cose, capire come la combinazione che si presume impossibile fra (una forma di) oggettualizzazione e «parità, rispetto e consenso» sia, in fin dei conti, possibile.
Inizierò con una serie di esempi a cui farò riferimento nel prosieguo della trattazione. Sono tutti esempi di quella che potrebbe plausibilmente essere definita l’oggettualizzazione di una persona da parte di un’altra, il vedere e/o trattare qualcuno come un oggetto. In tutti questi casi, la persona oggettualizzata è un partner sessuale o un aspirante partner sessuale, sebbene il contesto sessuale non sia prominente allo stesso modo in tutti questi casi. Ho scelto deliberatamente gli esempi attingendo a una grande varietà di stili; e non ho ristretto il mio campione all’oggettualizzazione di donne da parte di uomini, perché abbiamo bisogno di interrogarci su come le nostre valutazioni dei casi siano influenzate da questioni più vaste, relative al contesto e al potere sociale.
1.
Ondate di desiderio gli facevano pulsare il sangue nelle vene. Ella era lì, bisognava che riuscisse a raggiungerla: ed ecco, si sentì assorbire dalla sostanza di quell’essere, distinto dal suo. Senza più nulla intendere, si protese verso di lei, sempre più vicino, per raggiungere l’adempimento supremo di se stesso, per venire accolto dalla tenebra dell’annientamento, che lo avrebbe ingoiato per poi restituirlo a se stesso. Se fosse riuscito a penetrare nel cuore incandescente della tenebra, a cancellare il proprio io, a lasciarsi distruggere, consumare da quell’ardore fino a divampare con lei in una sublimazione unica, quello sarebbe stato l’adempimento supremo (D.H. Lawrence, L’arcobaleno).2
2.
Siccome doveva esser venuto 3 o 4 volte con quella sua grossa bestia d’un coso tutto rosso che si ritrova credevo che gli scoppiasse la vena o come cavolo la chiamano anche se poi il naso non ce l’ha così grosso mi sono levata tutta la roba di dosso con le tendine abbassate con tante ore che ci avevo messo a vestirmi e profumarmi e pettinarmi là quel coso come un pezzo di ferro o una grossa sbarra sempre dritta doveva aver mangiato mi pare ostriche una qualche dozzina era in vena di cantare no in vita mia mai trovato uno che l’avesse di quella misura roba da farti sentire tutta gonfiata che dopo deve aver mangiato un bue ma che razza d’idea crearci con un buco in mezzo tipo stallone dove te lo ficcano dentro perché loro non vogliono altro da te tutti con quegli sguardi biechi da fissati tanto che dovevo tenere gli occhi socchiusi però di sborra ne aveva mica tanta (James Joyce, Ulisse).3
3.
Lei ha ancora un lenzuolo sul corpo, drappeggiato e avvolto sulle sue forme. Non si muove. Potrebbe essere morta, pensa Macrae […]. D’improvviso il desiderio di accendere le lacrime nel suo corpo come un elettroshock, seimila volt di violenza, sacrilegio, la brama di profanare, di distruggere. I pollici di lui si uniscono contro la spaccatura del culo di lei, con le unghie verso l’interno, nocca dura contro nocca, e si tuffano fino ai palmi dentro di lei. Un urlo sottomarino si leva dal verde profondo dei sogni di lei che si strappa verso il risveglio, semisveglia, semisognante, priva del senso di sé […], e un forte dolore la pugnala alle viscere […]. Isabelle apre gli occhi, senza sapere ancora dove o che cosa o perché, con la faccia bloccata contro l’intonaco che si incrina […], mentre Macrae scava...




