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E-Book

E-Book, Italienisch, 564 Seiten

Reihe: Minimum Fax cinema

Monetti / Pallanch Champagne e cambiali

Nuove storie e leggende dei produttori italiani da Cinecittà a Hollywood
1. Auflage 2024
ISBN: 978-88-3389-567-3
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

Nuove storie e leggende dei produttori italiani da Cinecittà a Hollywood

E-Book, Italienisch, 564 Seiten

Reihe: Minimum Fax cinema

ISBN: 978-88-3389-567-3
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



Dopo Per i soldi e per la gloria, prosegue il racconto del cinema italiano attraverso le voci dei più importanti produttori. Se il primo volume si è concentrato soprattutto sulle grandi dinastie e sulle avventure legate a una stagione irripetibile, tra cinema d'autore, commedia e prodotti pensati per il mercato internazionale, in Champagne e cambiali Monetti e Pallanch orientano la loro ricerca sulle figure che hanno vissuto in prima persona il passaggio dal cinema in sala all'home video e alla distribuzione televisiva. Tra storie avvincenti e aneddoti spesso esilaranti, scorre davanti ai nostri occhi il ritratto collettivo di uno straordinario gruppo di sognatori e avventurieri che hanno tentato, con esiti alterni ma con lo stesso ammirevole coraggio, di trasformare la crisi di un'industria e di un modello di produzione culturale in una nuova opportunità. Fino a scalare Hollywood, dialogare con i grandi studios americani e concretizzare il sogno di un cinema europeo, in grado di parlare a diversi tipi di pubblico, e a paesi e culture differenti. «La mappa che non c'era per orientarsi fra le strategie e gli obiettivi dei titolari delle case di produzione italiane». il manifesto

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MANOLO BOLOGNINI
VADO, RISOLVO E TORNO


Ho iniziato da giovane come aiuto-segretario di produzione, poi ho fatto il segretario di produzione, l’ispettore di produzione, il direttore di produzione, l’organizzatore generale, il produttore esecutivo e finalmente il produttore.

C’era un ristorante che esiste ancora, Otello alla Concordia, a via della Croce, frequentato dal miglior cinema italiano, da Antonioni a Monicelli. Io sono arrivato a Roma e una sera mio fratello Mauro mi ha detto: «Vieni a cena da Otello, c’è un direttore di produzione che cerca un segretario. Gli diciamo che tu sei pronto a farlo». E ha aggiunto: «Se ti invita a prendere un caffè con la macchina, digli che è bella».

Peppino Colizzi, il quale aveva comprato una fuoriserie orrenda che teneva parcheggiata a piazza di Spagna. Allora, parlo del 1952-53, a piazza di Spagna c’erano tre macchine, adesso invece... Siamo andati a prendere il caffè e subito ho esclamato: «Mamma mia, che meraviglia!» Il giorno dopo ho iniziato a lavorare per di Mario Mattoli... il secondo giorno mi ha licenziato!

Giravamo al lago di Fogliano per simulare il Nilo e c’era una scena in cui una barchetta doveva passare da una sponda a un’altra. Logicamente era tutto artigianale: le vele erano di compensato, bianche e rosse a quadri, e un pescatore muoveva la barchetta con un palo perché mancavano i remi. Dopo un po’ il pescatore ha urlato: «Io non tocco più, mandatemi a prendere». Colizzi, che aveva saputo del mio passato da sportivo – ero stato un calciatore – mi ha detto: «Vai tu». L’operatore mi dava indicazioni: «Un po’ a sinistra... un po’ a destra». A un certo punto non toccavo più nemmeno io e non ero in grado di spostare la barca. «Venitemi a prendere», ho urlato. Dalla riva ho sentito una frase offensiva, non sto a ripeterla, pronunciata tempo prima da un grosso produttore che era diventata di moda nel cinema. Arrivato sulla spiaggia, ho esagerato, pronunciando parole eccessive contro tutti e Colizzi mi ha detto: «Manolo, sei licenziato». «Perfetto, me ne vado?»

Il giorno dopo dovevo dare le consegne, per cui ci siamo visti all’alba con un componente della troupe in un bar vicino Latina. Siamo andati a prendere un caffè e qualcuno mi ha battuto sulla spalla. Era Mattoli. Mi ha regalato una catena d’oro e mi ha detto: «Tu rimani qui». Era un uomo straordinario. Poi ho preso a lavorare con me suo cognato, Totò Mignone, il fratello di Mitì e Milly.

Tornato sul set di , hanno organizzato una partita di calcio e Colizzi mi ha intimato: «Se non vinciamo, ti licenzio». Il calcio mi ha sempre portato fortuna: durante la guerra sono rimasto a disposizione del comando provinciale di Firenze per giocare una partita e poi sono scappato, evitando così di partire per Vercelli con i miei commilitoni, alcuni dei quali sono finiti nei campi di concentramento in Germania.

Siamo diventati molto amici e abbiamo fatto tre o quattro film insieme. In di Luigi Zampa, lo zio di Colizzi, abbiamo fatto quaranta nottate e dovevamo tenere a freno la gente che idolatrava Gina Lollobrigida: anche le donne andavano pazze per lei! Con Zampa abbiamo girato, in Sicilia, anche . Era un grande regista e siamo diventati amici.

Sul set di di Federico Fellini, Colizzi ha avuto problemi con Federico, che mi ha detto: «Manolo, il prossimo film me lo fai tu da solo, io quello non lo voglio». Allora Colizzi se ne è andato in Colombia, un viaggio d’amore, non dico con chi, e quando è tornato aveva problemi di soldi. Ho cercato di aiutarlo. Io nel frattempo ero diventato organizzatore generale della Zebra Film di Moris Ergas, ma Franco Cristaldi, che stava preparando di Antonio Pietrangeli con Eduardo De Filippo, aveva bisogno di una mano. Erano sei settimane che andavano avanti con i preparativi, ma non ne cavavano niente. Ho chiesto a Ergas se mi poteva prestare a Cristaldi. Sono andato, ho sistemato la situazione, facendo le prime tre settimane, poi sono dovuto tornare da Ergas per un altro film e ho messo Colizzi al posto mio. Non l’avessi mai fatto! Peppino era più regista che direttore di produzione o organizzatore generale.

Quando stava girando il suo primo film, , sono stato io a consigliargli Terence Hill. I protagonisti in partenza erano Bud Spencer e Peter Martell. Peter aveva una faccia strepitosa, l’ho portato anche in America con Roger Moore, ma era un personaggio un po’ strano, tanto che in Spagna ha sfasciato l’albergo dopo aver litigato con la compagna. Peppino mi ha telefonato in cerca di una dritta e io gli ho detto: «Conosco un attore con gli occhi celesti». Mario Girotti era venuto nel mio ufficio e, per metterlo alla prova, gli avevo fatto fare , con Rita Pavone, e , entrambi diretti da Ferdinando Baldi. Colizzi è venuto a Roma a incontrarlo e così è nata la coppia Spencer-Hill.

A me non deve niente nessuno... non voglio niente da nessuno! Io mi sono trovato bene solo con i registi e con i grandi attori, soprattutto quelli americani, Ben Gazzara, Anthony Franciosa, Richard Conte. Degli italiani, Marcello Mastroianni e Vittorio Gassman. Mi piace ricordare Roger Moore, un gentleman. Eravamo a San Francisco e una sera l’ho invitato a cena. Siamo andati in un ristorante polinesiano, dove si mangiava benissimo. Ho chiesto il conto e lui mi ha detto: «Ma tu sei pazzo! Sai quanti soldi mi hai dato? Tu tutte le sere devi stare a cena con me e offro io». Un uomo straordinario!

Io ho sempre avuto un ottimo rapporto con gli attori e un grande rispetto soprattutto per le attrici perché facevano enormi sacrifici, specialmente negli anni Cinquanta e Sessanta: dovevano alzarsi alle cinque di mattina per presentarsi al trucco alle sei, sottoporsi a due ore di supplizio, per poi tirare avanti fino alle otto di sera, anche le nove. Non c’erano orari come adesso.

Ho conosciuto tante persone straordinarie... sarò fortunato, che vi posso dire? Dieterle, Sautet, Rossellini, Fellini, Pietrangeli, Risi, Zurlini, che era un collezionista d’arte: andava a Bologna, si metteva fuori dalla porta di Giorgio Morandi, il famoso pittore delle nature morte, e riusciva ad avere delle opere costosissime all’epoca.

Pier Paolo è stato un uomo di grande onestà, è inutile parlare dell’intelligenza, della bravura, della cultura. Con lui ho fatto , e , che ho prodotto con Franco Rossellini. Era un mostro di bravura, in grado di superare qualsiasi difficoltà. Se mi chiedeva una limousine e gli portavo un carretto, dicendogli: «Pier Paolo, non l’ho trovata, ho rimediato un carrettino», lui rispondeva: «Dammi dieci minuti». Era il collaboratore più grande della produzione.

Accattone

Mauro ha detto a Bini: «Non ti faccio se non prendi questo!» Con Alfredo eravamo molto amici dal ’54, quando ancora non faceva quasi niente e io gli ho dato il posto mio per andare in Austria a lavorare su un film in cui avevano bisogno di un ispettore di produzione. Poi ha avuto anni di assestamento e ha lavorato, credo, per una banca di Torino con l’incarico di acquistare appartamenti, prima di rientrare nel cinema.

Le notti di Cabiria Il bidone

Sì, ma quando stavo finendo il doppiaggio a Cinecittà – dovevo seguire anche il doppiaggio perché Federico voleva una voce particolare, le solite cose sue – mi ha chiamato Bruno Todini, l’organizzatore di De Laurentiis: «Dino ti vuol parlare». Allora De Laurentiis aveva gli uffici a Cinecittà, oltre quelli vicino alla Pontina. «Devi partire subito». «Per dove?» «Thailandia». «Per fare cosa?» «C’è un film che non va... parti e fai!» Non sapevo niente del film, che era di René Clément. Ho avvertito Fellini, il quale mi ha detto: «Portami un regalo... una scimitarra!»

Sono partito per la Thailandia, ma quando sono arrivato a Bangkok, non c’era nessuno a prendermi, allora ho avuto l’idea di andare nel più grande albergo della città: «Qualcuno verrà!» La mattina dopo, infatti, sono arrivati due preti italiani, che mi hanno detto: «Dobbiamo accompagnarla sul set a trecento chilometri da Bangkok, sul Pacifico». Arrivato sul set il giorno successivo, Clément non sapeva neanche chi fossi, se della Columbia Pictures o di De Laurentiis. È sceso dalla torretta e ha cominciato a parlare in modo esagitato. Io gli ho detto: «Lei non può fare così, vada subito su, continui a girare». È salito e da quel momento ha voluto che gli rimanessi sempre vicino.



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