E-Book, Italienisch, 368 Seiten
Reihe: Sírin
Miloszewski / Mi?oszewski Il citofono
1. Auflage 2023
ISBN: 978-88-6243-605-2
Verlag: Voland
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
E-Book, Italienisch, 368 Seiten
Reihe: Sírin
ISBN: 978-88-6243-605-2
Verlag: Voland
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Nato a Varsavia nel 1976, scrittore e giornalista, ha esordito nel 2004 con Il citofono (titolo originale Domofon), imponendosi subito sulla scena letteraria polacca. Tra i suoi gialli ricordiamo la fortunata trilogia dedicata al procuratore Teodor Szacki, di cui è apparso in italiano il primo volume dal titolo Il caso costellazione (Rizzoli 2017). Il suo romanzo più recente, Kwestia ceny (Questione di prezzo), è uscito nel 2020. È anche coautore delle sceneggiature dei film tratti da alcune delle sue opere.
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CAPITOLO 2
FICO, QUI!
Varsavia, Bródno, graffiti sul muro
del cimitero in via sw. Wincenty
1
Non avevano la forza né la voglia di tirare fuori alcunché. Avevano aspettato tre ore in macchina, finché la polizia non li aveva lasciati entrare. Avevano dovuto mandare via i tizi dei traslochi, si erano limitati a caricare in auto alcune scatole con le cose più necessarie. Poi Robert le aveva portate da solo nell’appartamento, Agnieszka non voleva vedere l’ingresso, che non era ancora stato pulito. Alla fine, quando dovette andare su, tenne tutto il tempo gli occhi chiusi, e Robert la condusse come una cieca.
– Sai che ti dico, Robert? – Adesso era accoccolata sul pavimento sgombro, la schiena appoggiata al termosifone. Si era messa sulle ginocchia una scodella che aveva preso a casaccio da una scatola e che le serviva da portacenere. Sul fondo c’erano già alcune Vogue fumate solo a metà. Da una, non completamente spenta, saliva ancora del fumo. – Sai che ti dico? Ti dico che me ne frego di questo inizio di una nuova vita, di questa accoglienza nella nuova casa – le si spezzava la voce, e Robert sapeva che tra un attimo sarebbe scoppiata a piangere. – Di una simile accoglienza e di un cadavere come benvenuto. – Lo guardò con gli occhi pieni di lacrime, si asciugò il naso umido con la manica. Proprio come una bambina. – Pronto, Robert, ci sei? – Gli agitò la mano sotto il naso. – Dici qualcosa, o hai intenzione di restartene seduto così?
Lui non rispose.
– Dici qualcosa o no? – urlò a gran voce Agnieszka, e quello fu l’ultimo sforzo che fece nella serata. Si gettò sul pavimento e si mise a singhiozzare raggomitolata su sé stessa. Le cicche si sparsero sulla moquette. Robert si alzò, le raccolse e si stese accanto alla moglie. Non sapeva che pesci pigliare.
– Scusa. La vivo in maniera un po’ diversa da come la vivi tu. Sento un gran vuoto, come se la mia testa si rifiutasse di pensarci. Ricordo a stento le parole con cui poterti dire qualcosa. Vieni, stringiti di più a me.
Aderì a lui con la schiena.
– Certo che bisogna proprio essere fortunati, eh? – mormorò.
– Poteva andare peggio, pensa alla donna che ha trovato la testa. Lei sì che se l’è vista brutta.
– Era lei a gridare così?
– Sì.
– E che cosa le è successo? L’ha portata via l’ambulanza?
– Macché! – rispose Robert. – Quella donna deve avere i nervi d’acciaio. Ha urlato e basta. Kamil mi ha detto che è una bigotta. Tutti i giorni in chiesa, crocetta al collo, rosario, cose così. Abita proprio sotto di lui.
– Sotto a chi?
– Sotto a Kamil, te l’ho detto.
– E chi sarebbe questo Kamil?
– Il tipo che stava accanto a me nell’androne. Un ragazzo alto e magro, castano, con le basette rade. Portava una giacca grigia col cappuccio. Del resto non importa, non potevi vederlo comunque, eri in macchina. Verrà qui, vi conoscerete.
– L’hai invitato? Non oggi, spero?
– Sei ammattita? Oggi è la nostra prima notte in questa casa. Avevamo i nostri piccoli piani, ricordi?
– Mmm? Di quali piani parli? – mormorò Agnieszka, si stiracchiò e mise le mani sotto la testa.
La camicetta si sollevò sotto la mano di Robert, che ora sfiorava il suo corpo nudo. La fece scivolare verso il collo.
– Canaglia! Anche quando ti sei tolta il reggiseno eri così scioccata?
– Non solo il reggiseno – disse Agnieszka ridendo. – Mi sono tolta anche qualcos’altro. Vuoi controllare? – Si girò sulla schiena. Robert si sentì ribollire il sangue. Per l’eccitazione si vide balenare delle macchie davanti agli occhi. I capezzoli di Agnieszka, stuzzicati dai suoi polpastrelli, si comportavano come se avessero una volontà propria.
– Purtroppo, c’è un problema – disse. – Non ho più mani libere. Hai qualcosa da obiettare se controllo con la bocca?
– Oh, al contrario.
Squillò il telefono. Si irrigidirono.
– Non rispondiamo – gemette lei, ma era troppo tardi. Gli squilli avevano risucchiato tutta la loro eccitazione.
Robert si alzò, rivolgendo i peggiori insulti allo sconosciuto che aveva telefonato a mezzanotte e interrotto i festeggiamenti della loro prima notte nella nuova casa. Se ha sbagliato, troverò il suo indirizzo e lo ammazzerò come un cane, borbottava tra sé.
– Pronto? – sperava che il tono della propria voce non lasciasse adito a dubbi su ciò che pensava di quel tipo di telefonate.
– Ciao, tesoro, tutto a posto lì da te? Sei arrivato senza problemi?
[la mamma]
– Sì, mamma. Siamo arrivati senza problemi e qui da noi è tutto a posto. Come mai chiami a quest’ora?
– Ho chiamato prima, ma non ha risposto nessuno. Ero preoccupata per te, tesoro.
Avrebbe voluto dirle che, se proprio stava morendo di preoccupazione, avrebbe potuto chiamare al cellulare, ma si trattenne. Meno fosse durata la conversazione, meglio sarebbe stato.
– Ok, ma come vedi è tutto a posto, ti richiamo domani.
– Ma com’è andato il viaggio, com’è l’appartamento, raccontami qualcosa. Sono curiosa di sapere com’è adesso la tua vita.
– Mamma! – gridò. – Come sarebbe, ‘adesso’? Ma se ci siamo visti stamattina. Che cosa vuoi sentirti dire? Che abbiamo un sacco di nuovi amici, che ci sono nati due marmocchi e al lavoro mi hanno nominato presidente? Che vuoi? Chiami qui per tormentarmi nel cuore della notte. Chiedi se va tutto bene. Rispondo di sì. Chiedi se non ci sono stati problemi, rispondo di no. Che altro vuoi? – Robert guardava Agnieszka che si metteva il pigiama e stendeva i sacchi a pelo sul pavimento. Tremava di rabbia.
– Scusa, sai, scusa tanto. Lo so che non avrei dovuto telefonare, che ormai sei grande e indipendente, ma la tua indipendenza io l’ho pagata con la solitudine. Lo capisci? Me ne sto qui sola, so che non devo aspettarti, perché ti sei trasferito in un’altra città, e piango come una pazza...
Una definizione perfettamente calzante, pensò Robert.
– È tutto, mamma? Perché in tal caso vorrei dedicare un po’ di tempo a mia moglie.
– Sì, è tutto, arrivederci, figliolo. – Le parole uscivano dal ricevitore in maniera appena percettibile. – Grazie per avermi parlato, grazie mille. Dormi bene. Buonanotte. Ti ricordi quando ti cantavo la ninnananna? Ne avevi una preferita, cominciava così: ‘Dal cassetto della cenere una scintilla strizza l’occhio a Wojtus.’ Quando la cantavo andavi su tutte le furie e mi gridavi che non eri Wojtus, ma ‘Bobert’, ti ricordi come...
– Buonanotte, mamma – disse Robert in tono gelido e attaccò.
Agnieszka si era già infilata nel sacco a pelo e lo guardava.
– Primo, – disse – non raccontarmi questa conversazione, perché per oggi di orrori ne ho avuti abbastanza. Secondo, vatti a lavare i denti. Terzo, vieni qui e vedi di non essere troppo stanco. Dammi retta.
– Va bene, mamma.
– Molto divertente. In bagno. Fila!
Quando uscì dal bagno, Agnieszka dormiva già. Le si stese accanto e, prima che gli venisse in mente di svegliarla, si addormentò anche lui.
2
L’interrogatorio, degno della polizia segreta stalinista, giunse al termine e Kamil si rese conto che era stato un errore la sera prima tenere nascoste le condizioni della macchina. Tutto il trambusto causato dal fattaccio nell’androne sarebbe stato una buona occasione per confessare la notizia dell’incidente in maniera incruenta. Ma lui no, come al solito aveva fatto casino. Aveva pensato che, vista l’eccitazione generale, sarebbe stato meglio andare a dormire senza altri drammi, e ora pagava la sua viltà. Che idiota! Se il giorno prima fosse piombato in casa stravolto e avesse confessato, singhiozzando, di avere distrutto l’auto (in fondo non del tutto, aveva solo qualche graffio), la questione si sarebbe risolta senza grossi guai. Un cadavere nell’ascensore, tutta quell’agitazione, e per di più il piccolo ha avuto un incidente. Invece aveva deciso di fare il finto tonto. Era andato in camera sua senza aprire bocca e ora, la mattina dopo, fingeva di dormire, l’orecchio teso ad ascoltare il padre che usciva di casa.
Contava mentalmente quanto tempo gli restava. Ecco, il padre scende le scale, attraversa il prato, svolta, arriva al parcheggio – non ha ancora visto, perché la Lanos è in fondo, dietro il voluminoso Ford Transit – apre il lucchetto e lo appende al cancello, apre il cancello, entra, vede. Non crede che si tratti della sua macchina, finché non controlla il numero di targa e non le gira intorno. Ma tutto torna, perfino le stuoie di bambù sugli schienali dei sedili, perfino il san Cristoforo e il profumatore alla lavanda, impossibile sbagliarsi – è la sua amata Lanos. Chi può essere stato, si chiede. Forse in un primo momento pensa addirittura che durante la notte dei perfidi teppisti abbiano scavalcato la recinzione apposta per ridurre così la sua auto.
Torna sui propri passi, riflettendo strada facendo su cosa dirà e su come lo punirà, in modo da dare una dimostrazione il più efficace possibile del suo potere. E infila la chiave nella serratura.
Kamil si sbagliò di poco, la serratura stridette neanche un minuto più tardi di quanto si aspettava. Sentì il padre entrare e sedersi (pesantemente) in cucina, ma decise di aspettare che lo chiamasse. Passarono alcuni minuti prima che l’uomo responsabile di averlo messo al mondo arrivasse e si sedesse sull’orlo del letto. Iniziò come da copione.
– Prima che mi racconti com’è successo, – disse con un’aria triste da fare invidia al senior manager Koteczek, se solo i due si fossero...




