E-Book, Italienisch, 539 Seiten
Reihe: Nichel
Meacci Acchiappafantasmi
1. Auflage 2023
ISBN: 978-88-3389-492-8
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
E-Book, Italienisch, 539 Seiten
Reihe: Nichel
ISBN: 978-88-3389-492-8
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Acchiappafantasmi è un libro per chi pensa che letteratura e vita siano due parole per indicare la stessa cosa. Anzi. Soprattutto per chi pensa che la vita sia una delle più riuscite invenzioni della letteratura. Tra tuffi teatrali e reportage narrativi, ritratti linguistici e ossessioni cinematografiche, Giordano Meacci riscrive gli anni della sua vita etimologica di lettore trasformandoli in un vero e proprio «Canzoniere in prosa». Divertendosi a giocare con le forme differenti che li prevedono: tutti questi frammenti (legati tra loro da una sintassi che gli conferisce comunque una vita nuova) vogliono essere, anche, una lettera d'amore alla passione che regala la vita quando si presenta e rivela il suo vero nome. E così Giordano Bruno e Bob Dylan, Ettore Scola e Caterina da Siena, Omero e Rosa Balistreri convivono, tra le pagine, insieme con l'epopea dei Senzacarta e i blues che ci proteggono dalla paura agl'incroci quando c'è il rischio di incontrare il diavolo. Perché la vita, per chi acchiappafantasmi, è scritta anche dall'incanto della musica, dalla magia lunare delle immagini in movimento, dalla sospensione ipnotica del teatro. E la letteratura - per quello che poi vorrà dire - è la forma che si dà alla lingua per fermare i fantasmi che ci hanno attraversato e ci attraversano; aiutandoli a restare: e ad accompagnarci. Ma solo se vinti dall'azzardo di Bellezza che li tiene con noi.
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La letteratura e gli
Nel novembre del 2015 sono stato invitato a un incontro tra scrittori italiani e scrittori cinesi. A Roma.
Una volta accolta la vastità del tema – – e messo a parte istintivamente della scarsità, comunque, del tempo a disposizione, mi sono sentito come Bill Murray in .
Come il personaggio di Peter Venkman, in sostanza; quando, di fronte alla possibilità che Zuul – una divinità sumera che s’è appena materializzata nelle vesti di enorme pupazzo della pubblicità dei marshmallow – possa distruggere prima New York poi l’intero pianeta, si sente dire dall’amico acchiappafantasmi Egon Spengler che l’unica possibilità che hanno per salvarsi è quella di incrociare i flussi di particelle dei loro zaini protonici.
Ora. Gli spettatori e tutti e quattro i ghostbusters in attività sanno benissimo che incrociare i flussi di particelle ‘è male’. Gliel’ha spiegato lo stesso Egon poco tempo prima con un importante ragguaglio; c’è un rischio, incrociando i flussi: «Immagina che la vita come tu la conosci si fermi istantaneamente e ogni molecola del tuo corpo esploda alla velocità della luce».
Ecco: di fronte allo straniamento dei suoi compagni e all’incalzare del pericolo, Peter Venkman è l’unico a reagire immediatamente alle sollecitazioni del compagno. Visto che non si può fare nient’altro, ; e visto che l’alternativa all’azione è la morte passiva, l’unico modo per imbarcarsi in un’impresa disperata e quasi certamente votata al disastro è quello di farlo, da sùbito, con stile. «Come mi piace questo piano», dice Peter Venkman. «E mi èccita farne parte!»
. Una volta tirato fuori dalla memoria lo spettro più privato della mia adolescenza in formazione, mi sono reso conto che quello di Bill Murray in rappresenta, anche, il mio modo privatissimo e segreto di intendere la letteratura. E lo spazio e il tempo che la letteratura si impone e si ricava nella vita degli esseri umani.
Perché sempre: nasce sollecitata da un’urgenza irredimibile. Quella di combattere contro il tempo limitato e ottusamente biologico scandito dall’ombra nera che ci prevede tutti; e a cui tutti cerchiamo di non prestare attenzione se non con la grazia indomabile della nostra trascuratezza ossessiva.
E a questo unisce – la letteratura: sempre lo stesso soggetto ingombrante e inevitabile – il dovere, estetico (ché l’arte si risolve e si realizza nella forma che a dovere si dà), di trovarsi uno spazio rigoroso e impatteggiabile tra gli ostacoli pressanti della vita quotidiana. Siano le costrizioni del presente, i tentativi delle differenti forme di potere di ingabbiarla, la letteratura o si è ; gli sforzi sempre maldestri, e mortiferi, di chi cerca di condizionarla o di ingabbiarla attraverso le limitazioni dei suoi esecutori preterintenzionali. Tutti gli scrittori di ogni tempo che, se sono scrittori, come ci ricorda a ogni lettura Osip Mandel’štam (e come Pasolini ratìfica in epigrafe), con il mondo del potere non possono avere che .
Da sempre, attraverso la sua stessa fame di vita, la letteratura non fa altro che spazio e tempo a tutti i differenti tipi di morte che, ostacolandola, le permettono paradossalmente di dimostrarsi viva, e ineludibile, in qualsiasi tempo e in qualsiasi luogo. e a dispetto delle sirene carnivore che la vorrebbero ciclicamente morta. E conclusa.
Nel primo capitolo del suo , il memoir degli anni dalla fatwa, Salman Rushdie (subito dopo un in cui racconta dell’arrivo insensato della condanna nella sua vita quotidiana) fonda il libro stesso sul ricordo delle «magnifiche favole d’Oriente» che suo padre gli raccontava, quando era bambino, «variandole e reinventandole alla sua maniera». Nella terza persona che s’è scelto per raccontarsi, Rushdie, per voce italiana di Lorenzo Flabbi, puntualizza da sùbito le «due indimenticabili lezioni» che questo ha comportato. «La prima era che, pur non essendo vere (nella realtà infatti non c’era traccia di geni nella lampada né di tappeti volanti né di lanterne magiche), quelle storie gli facevano percepire e capire, proprio nel loro essere non vere, verità che la realtà stessa non era in grado di raccontargli; la seconda era che gli appartenevano tutte, così come appartenevano a suo padre, Anis, e a chiunque altro: erano tutte sue, com’erano di suo padre, le storie luminose e le storie cupe, le sacre e le profane, tutte a sua disposizione per essere alterate e rinnovate e scartate e scelte di nuovo come e quando voleva, sue per riderne e gioirne e viverci dentro e insieme e appresso, per dar loro vita nell’amarle e per riceverne in cambio vita nuova. L’animale narratore era l’uomo, l’unica creatura sulla terra che si raccontava storie per capire qualcosa su sé stesso. Le storie erano sue per diritto di nascita, e nessuno poteva togliergliele».
Se da un lato Rushdie ci conferma nella sostanziale proprietà umana delle ; dall’altro ci dà, immediatamente, anche un’indicazione formale, quando ci ricorda che tutte le storie che ci dalla nascita devono – meglio: possono, quindi devono – essere reinventate in modo da renderle costantemente nostre; ognuno di noi a suo modo, attraverso l’impegno e l’incanto reiterato della vivificazione dello stile. Variandole in modo da rispondere con la bellezza cui teniamo, per quello che si può, alle domande farneticanti di tutte le premesse di morte disseminate a grappoli nel cammino, incerto, delle nostre vite.
E se c’è una lezione da cogliere nel làscito dei maestri che ci hanno preceduto o che ci accompagnano – appena prima di «mangiarli», doverosamente, «in salsa piccante»: così come eternamente ricorda il Corvo di fatto parlare da Pasolini per voce di Giorgio Pasquali – è che il dovere più alto della letteratura nel tempo e nello spazio sta nella cura con cui, formalmente, si cerca di dare carne e sangue di parole ai fantasmi che s’intuiscono soltanto; quando si affacciano alla soglia della nostra attenzione e ci chiedono – esigono – il rispetto che si deve alla vita in tutte le sue forme, nel momento in cui si manifesta.
Ché la letteratura – sempre incerti se scriverla maiuscola o minuscola, questa parola: mentre si decide di lasciarla nel luogo comune del suo nome; se è letteratura la maiuscola se la prenderà, in séguito, da sé – (ora come in qualsiasi altro periodo) perché fatta di aggettivi; e aggettivi.
Le forme con cui si descrive la vita declinandola poi – proprio attraverso gli aggettivi che ci appartengono – nella morfologia aggiuntiva dei nomi e dei verbi che da quegli aggettivi gelosi, e personali per ogni fantasia di partenza, . Non solo. Ogni letteratura (ogni scrittura) non fonda soltanto sé stessa sulle pietre instabili delle proprie categorie. Con quelle stesse categorie può essere definita.
Perché la letteratura quando è sporca, insana, fastidiosa, devastante, commovente, necessaria, raffazzonata, ingombrante, rigorosa, luminosa, perfetta, inadeguata, impresentabile, fastidiosa, puntigliosa, infantile. E vìa e vìa con una catena di determinazioni senzafine che fissano nel loro insieme (e però: prese ) gli spazi e i tempi in cui i racconti e i personaggi si muovono. Definendo ogni letteratura mentre accade nei suoi portati più significativi.
Perché la letteratura (l’arte, in genere: se è arte, se è letteratura; ) sconfigge le dittature e i pensieri unici con la sua sola presenza, accogliendo in sé lo spazio eterno e i tempi (eterni) del . Che in italiano ha anche, per l’appunto, la doppia accezione di tempo verbale; e il significato di , presente: ‘farsi trovare attento, e pronto, a ogni chiamata necessaria’. Senza con questo scomodare nessuna fede e nessun altro dovere che non sia, principalmente, di natura estetica.
Del resto: «io sono» non è la frase più difficile di tutte le filosofie? E. Volendo – consapevolmente – forzare i confini spaziali del discorso in tempi brevi.
Anche la religione e la filosofia – di là dal loro richiamo specialistico – non sono forse loro stesse letteratura? I sogni di verità e di bellezza che gli uomini a vario grado si raccontano dacché si sono resi conto di essere vivi.
In uno dei suoi libri più anomali e spuri, il reportage trasposto e romanzato del , Gabriel García Márquez (e il suo traduttore italiano Ignazio Delogu) scrive – o, meglio, – a Luis Alejandro Velasco: «Una zattera non ha né poppa né prua. È quadrata e a volte naviga di lato, gira su sé stessa impercettibilmente, e, poiché non esistono punti di riferimento, non si sa se va avanti o indietro. Il mare è uguale da tutti i lati». Il naufrago privo di qualsiasi da guardare – almeno prima dell’intuizione, notturna e faticata, del riparo dell’Orsa minore – viene trasportato senza riguardi per rotte...