E-Book, Italienisch, 252 Seiten
Reihe: animalìa
Matteoni Animali, custodi di storie
1. Auflage 2025
ISBN: 979-12-5480-205-2
Verlag: Nottetempo
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
E-Book, Italienisch, 252 Seiten
Reihe: animalìa
ISBN: 979-12-5480-205-2
Verlag: Nottetempo
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Francesca Matteoni è poeta, scrittrice, storica e folklorista. Tra i suoi libri, la raccolta poetica Ciò che il mondo separa (Marcos y Marcos, 2021), il romanzo Tundra e Peive (nottetempo, 2023) e il saggio Il famiglio della strega (effequ, 2024). Interessata da sempre allo studio della questione animale e attivista per la creazione di comunità inclusive e transpecifiche, ha ideato insieme ad altri volontari il festival 'Custodi della terra' che si svolge a Pistoia, nella Valle delle Buri.
Autoren/Hrsg.
Weitere Infos & Material
Folletti diurni
Non sarò grande come te
ma tu non sei piccola come me,
e agile nemmeno la metà di quanto sono io;
tuttavia non negherò di certo che tu abbia
bellissime piste per scoiattoli.
I talenti variano per dirla in modo saggio e giusto;
e se io non posso portare una foresta sulla mia schiena
tu non puoi rompere una noce coi denti.
Ralph W. Emerson, “La Montagna e lo Scoiattolo”
Ottobre è fresco di pioggia appena caduta. Di prima mattina vado nel bosco che circonda Santomoro, il paese di fondovalle nel Comune di Pistoia, dove abito da qualche anno. In pochi minuti sono lungo il torrente Bure: gli ontani mostrano un carico di foglie verdi, ben ancorate ai rami. Cammino senza troppi pensieri: ho un libro nello zaino, mi fermerò a leggere da qualche parte. Supero il ponticino di legno, supero il bozzo di Bengasi, che deve il nome non alla città libica, ma all'appellativo del vecchio proprietario dell'area, ed è una polla d'acqua dove si nascondono le trote e i ragazzi fanno il bagno d'estate, sotto la cascatella. Il verbasco spicca nei suoi fiori gialli, fuori stagione. Con un salto supero un rivolo d'acqua fra le pietre, come varcando il portale per un altro mondo. In realtà non mi allontano mai molto dall'abitato: ci sono i burali, gli orti tradizionali a ridosso del torrente; ci sono arnie per le api; i muretti a secco che costeggiano il sentiero e, dove si apre la radura, un vecchio metato senza infissi in cui per molto tempo sono state seccate le castagne, quei frutti magici che hanno sostenuto la comunità durante la guerra. La parlata pistoiese ha un suo vocabolo per le caldarroste: frugiate, che deriva da un più comprensibile “bruciate” e indica il legame speciale che questo territorio ha con l'albero che le produce. Le storie si frammentano, ma la lingua che le forgia rimane, finché siamo in grado di usarla. I boschi fanno lo stesso: molto di quello che cresce è stato accudito, le vie liberate da mani ignote. Lascio il sentiero per andare verso l'acqua. Mentre scendo qualcosa si muove sull'altra riva: è un rumore discreto, sufficiente ad attrarre la mia attenzione. Mi fermo dietro un ontano, trattengo il respiro. Uno scoiattolo rosso ha raggiunto il torrente. Salta fra le pietre, si blocca sulle zampe posteriori. Il senso predominante dello scoiattolo è la vista, proprio come per noi, ma la brezza spira comunque a mio favore, non rivelandomi. I ciuffi di pelo guizzano dietro le orecchie in un profilo di folletto. Si china e forse sta bevendo: dalla mia posizione non posso esserne certa. Gli scoiattoli ricavano molta dell'acqua di cui necessitano da ciò che mangiano o dalla rugiada che si raccoglie nell'erba. Si volta e si avvia di nuovo verso gli alberi, si arrampica fra le fronde, scompare. Quanto è durato tutto questo? L'incontro con l'animale boschivo innesca una specie di miracolo: il tempo si scioglie, la pelle si elettrizza. Vengo consegnata alla selva e non è sempre piacevole: a volte il momento è denso di apprensione, a seconda dell'animale che potrei trovarmi accanto. Il pensiero non viene meno, ma si spande nel corpo che lo governa.
Qualche ora dopo incontro un gruppo di bambini della scuola del paese: vanno a far visita agli animali del bosco, mi dice uno di loro. Mano nella mano procedono silenziosi perché sanno che gli animali scappano se c'è troppo rumore. La scuola che frequentano si chiama proprio Lo Scoiattolo e ospita in tutto una trentina di bambini, fra i tre e i cinque anni, divisi per età in tre gruppi – Pesci, Scoiattoli, Cavalli. Sono fortunati: la loro scuola va ben oltre il cancello dell'edificio. Durante la settimana frequentano gli orti e le case degli abitanti, ascoltano il torrente che raffigurano poi nei loro disegni. Si immedesimano con i loro animali totemici, simboli di crescita e apprendimento, si mettono in cerchio con le maestre per parlare dei grandi temi: l'amicizia, il tempo, il terremoto. Tutte le scuole dovrebbero essere così, una lunga stagione dell'“inutile” in cui si impara a contaminarsi, a coltivare un'identità ibrida, una stagione in cui fantasticare è un tipo di conoscenza che mette radici nel paesaggio. Invece cresceranno, si sfileranno dalle loro pelli di bosco, relegheranno il gufo e lo scoiattolo e la ghiandaia a presenze sacrificabili nella costruzione affannata di un'identità sociale. Anch'io sono una degli adulti che li visita nella loro scuola o li accoglie al Centro Sociale dove, con altre volontarie, promuoviamo varie attività per il paese. Leggo loro libri, racconto storie, invito artiste per laboratori di disegno, colore, riciclo. Per un'ora al venerdì mattina faccio scuola insieme a loro. Ciò che più desidero, però, non lo dico. Vorrei che sapessero che qualche adulto non ha mai dimenticato. O almeno, io non ho dimenticato. Quando intravedo lo scoiattolo corrermi sulla testa mi cade di dosso l'età. È una creatura curiosa. Non ha ancora del tutto abbandonato il cielo, ma prepara nascondigli nei buchi degli alberi. La sua esistenza sembra un gioco infinito che si placa nel tramonto, un'infanzia che si risveglia. Lo riscalda la luce del giorno dentro cui si muove. Eppure cosa conosco di lui, dell'infanzia?
A Firenze, fra i dipinti e i merletti della collezione all'ultimo piano di Palazzo Davanzati, mi fermo davanti al quadro della pittrice barocca Giovanna Fratellini, che raffigura una bambina: Ritratto di Cecilia Pazzi. Fra le mani tiene il suo scoiattolo domestico. Gli scoiattoli compaiono di frequente nella ritrattistica dell'epoca, indicando la familiarità diffusa con l'animale. Cecilia guarda verso l'artista che la ritrae, ma lo scoiattolo volge altrove i suoi occhi imperscrutabili. Chissà se vorrebbe fuggire. O forse, è la bambina che vorrebbe andarsene. Forse è la sua anima che tiene fra le mani, mite soltanto in apparenza, pronta a mordere e saltare via. E lo scoiattolo, come ha vissuto? Recluso in una gabbia, morto di noia in un palazzo? Dove si staglia il confine fra le mie proiezioni e la natura? L'essenza che ricerco è un nodo fra la mia memoria e il suo piccolo corpo. Un nodo al quale si aggrovigliano i luoghi, le narrazioni collettive.
Ho quattro anni e uno scoiattolo spicca un salto dall'armadio al centro della mia stanza. Lo fa continuamente, anche se gli adulti diranno che è un pupazzo malandato, recuperato in qualche bottega di rigattiere. Sì, quella di mio nonno paterno. È alto quasi quanto me, arancione, ha due enormi occhi di plastica e un sorriso infeltrito appiccicati sul muso di polistirolo ricoperto di pelliccia sintetica. Oggi giocattoli così sarebbero fuori da ogni norma di sicurezza. Domina la geografia di questo spazio chiuso. Quando giochiamo lui si comporta proprio come lo scoiattolo della fiaba di Cappuccetto Rosso registrata su un disco e corre in cerca d'aiuto per salvarmi dai pericoli. Devo chiedere a mia madre di prendermelo per portarlo sul tappeto. È il più saggio della mia tribù di pezza perché vede lontano. Be', almeno fino alla coccinella a molla, accomodata nel lato opposto, sopra la cassettiera.
Con quel suo muso rotondo di monello, lo scoiattolo attrae simpatie. Rappresenta un contatto rassicurante con il selvatico che può avvenire ovunque, grazie alla diffusione degli sciuridi, la famiglia di roditori a cui appartiene, che varia nei colori dal rosso al grigio, al nero, alle tonalità del marrone e che popola deserti, foreste, cime dei monti, correndo, saltando, quasi volando nella specie notturna dello scoiattolo volante americano. Bisogna viaggiare nell'emisfero sud, fino all'Australia e all'Antartide, per non incontrarne nemmeno uno. L'etimo greco del suo nome scientifico, Sciurus, indica l'adattabilità dell'animale che abbiamo davanti: “chi si fa ombra con la coda”. Si scherma dal sole o dalla pioggia. Si nasconde e mimetizza. La sua coda è un timone nelle asperità del clima, oltre che nei salti fra i rami. Lo confermano i testi antichi: nei Cynegetica, poema greco sulla caccia composto nel iii secolo d.C. da Oppiano di Apamea, si dice che lo scoiattolo (bestia pelosa di poco valore, specifica l'autore) “nelle ore infuocate del cuore dell'estate / solleva la coda come riparo di una casa che si copre da sé”1. E quasi due secoli prima, Plinio il Vecchio nella Storia naturale già scriveva che la coda serve allo scoiattolo come copertura. In ogni creatura riconosciamo il bisogno di dimora. Noi, senza guscio, senza pelliccia, senza artigli e senza zanne, osserviamo negli altri animali la nostra stessa attitudine al rifugio. Ma la ricerca della casa da parte di ogni creatura può scatenare reazioni problematiche e controverse nella comunità.
In questo senso lo scoiattolo rosso europeo (Sciurus vulgaris) è un animale chiave per comprendere la nostra interazione con la natura in tutto il suo portato simbolico, concreto, emotivo. Da decenni è infatti al centro di un conflitto di specie che ne mina la sopravvivenza in Inghilterra, Irlanda e nel Nord-Est dell'Italia, e che ha un impatto significativo sul tema della conservazione. La...