E-Book, Italienisch, 270 Seiten
Marcheggiani Un treno per Nablus
1. Auflage 2016
ISBN: 978-88-6059-191-3
Verlag: POLARIS
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
viaggio verso destinazione ignota
E-Book, Italienisch, 270 Seiten
ISBN: 978-88-6059-191-3
Verlag: POLARIS
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
La storia siamo noi: le storie non vanno inventate, esistono già, basta vederle e prenderle al volo. Vicende personali diventano storia di un'epoca. La 'grande storia' ci passa talvolta accanto, sconvolgente nella sua drammaticità o nei suoi paradossi, e sembra attraversarci come se fosse altro da noi. Non è così: tu puoi scordarti della storia, ma la storia non si scorda di te. Dal crollo dell'impero sovietico alla guerra del Vietnam, dall'armistizio dell'otto settembre alla frana del fascismo, dal Cile di Pinochet alla strage di Piazza Fontana, dalla cacciata degli Italiani dall'Istria all'invasione turca di Cipro, dal conflitto arabo-israeliano ai moti studenteschi del '68, gli aspetti drammatici della storia si mescolano alle vicende di ciascuno di noi. Cosicché basta farli emergere dallo sfondo dove li avevamo dimenticati e vedremo che, per miseri o piccoli che siamo, la storia siamo noi. Non c'è alcun treno che porti a Nablus.
Autoren/Hrsg.
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L’ospite invisibile Acquistammo La Caminà nel 1992. La proprietà era ridotta ad un mucchio di ruderi, tetti e gran parte dei pavimenti erano crollati, le porte sfondate, le finestre penzolanti, tutt’attorno i rovi erano talmente alti da arrivare al primo piano. Maria Raso, vedova Raggi, aveva abitato la casa fino al 1964. Essendosene andati ormai tutti gli altri, o per cause naturali o perché trasferiti, Maria vi visse gli ultimi anni da sola. Lei abitava nel fabbricato centrale, il più solido, costruito da un bisnonno nell’800 su mura larghe un metro, mentre la parte “nuova” della casa, eretta negli anni ’30 su 3 piani dal fratello Francesco, si era ritrovata a poggiare su rocce instabili (quelle che da queste parti chiamano “trovanti”, enormi massi rotolati giù dalla montagna) che avevano ceduto sotto il peso aprendo in due quella porzione di fabbricato che era quindi diventata inabitabile. Maria era nata alla Caminà, le era affezionata. Ma era ormai diventata anziana, la casa era isolata, mancava il riscaldamento, i servizi erano primitivi, i malanni non le consentivano più di curare l’orto. Decise finalmente di andarsene anche lei trasferendosi presso parenti a Costella dove visse per altri dieci anni. Bene, è incredibile cosa possa fare il tempo su una proprietà abbandonata in meno di trent’anni. L’acqua comincia a sgocciolare dal tetto, penetra attraverso le fessure, scava lentamente, le fessure diventano crepe, l’umidità sgretola gli intonaci e scioglie la calce, crollano i solai, infine cominciano a lesionarsi i muri perimetrali. Riguardando le foto di come vedemmo la casa per la prima volta, un luogo davvero spettrale, mi riesce difficile capire com’è che decidemmo di acquistarla. Ci vollero dieci anni e un bel po’ di soldi per metterla a posto. E non mancò qualche sorpresa. * * * * * 1993, pochi mesi dopo l’acquisto della Caminà. È una bellissima giornata di marzo, piena di profumi della primavera in arrivo. Dopo avere incontrato sul posto l’architetto Carniglia per cominciare a discutere di cosa fare, io e Carla restiamo qui per un po’ a famigliarizzarci con i luoghi. Così incontriamo, proveniente dalla casa di fronte lungo la stradina asfaltata, una giovane coppia di vicini. Ci fermiamo a parlare, guardiamo insieme i ruderi, ci fanno gli auguri. Poi ci separiamo, loro proseguono per la stradina, noi imbocchiamo il sentiero. I due giovani continuano a parlare, non sanno che noi siamo a pochi passi sopra di loro, separati da una siepe. Non dovremmo dirgli di quelle luci che si vedono di notte? Chiede lei. Ma va là, vuoi spaventarli? Fa lui. E poi, cosa vuoi che siano quelle luci? Sì, abbiamo visto da lontano dei chiarori, magari c’era qualche barbone accampato in casa, cosa ne sappiamo? * * * * * Luglio 1994. Dopo nove mesi di lavori la casa è pronta. Il giardino è ancora una devastazione di pietre, detriti e, dalla parte del vecchio fienile, una giungla di rovi, ma il primo pezzetto di casa, un’ottantina di metri quadri su due piani, è finita. C’è Carniglia che, in piedi al centro del soggiorno, si guarda attorno sorridendo, osserva il grande camino, le vecchie travi a soffitto, le finestre che danno sui monti e sul mare. È incredibile, dice, dopo tanti anni la casa è tornata in vita. È un miracolo che non finisce mai di stupirmi. La settimana dopo portiamo tutti i mobili. Facciamo un enorme carico tra Barzio (dove abbiamo in deposito i vecchi arredi della casa di montagna) e l’Ikea di Sesto San Giovanni, poi puntiamo su Bonassola. Stanotte si dorme nella nuova casa! Sul furgone in affitto e sulla Saab, oltre me, Carla e Nicoletta, ci sono il suo ragazzo di allora, Giuseppe e l’amico Francesco che ho ingaggiati per il trasporto e montaggio. Arriviamo alla Caminà nel tardo pomeriggio e attacchiamo a lavorare come forsennati. Se non montiamo i letti, non sappiamo dove dormire. Si smette la sera verso le dieci e mezzo, mangiamo un’enorme pastasciutta e ce ne andiamo a dormire stremati. Riprendiamo il mattino dopo, si montano gli armadi, le cassettiere. Ed ecco che succede qualcosa di imprevisto. Uno specchio poggiato al muro cade e va in frantumi. Strano, non c’è neppure un filo d’aria. Bah, si continua a lavorare. Dopo un po’ siamo in camera da letto, Giuseppe e Francesco stanno montando non so cosa, io sto lavorando su una cassettiera. Ebbene vedo la pesante porta appoggiata al muro che, spinta da una forza misteriosa, si stacca dalla parete e sta per precipitare sulla testa dell’ignaro Francesco chino sul suo lavoro. Faccio appena in tempo ad afferrare la porta arrestandone la caduta. Francesco si gira impaurito. Che c’è, chiede. E chi lo sa, rispondo, montiamo questa benedetta porta sui cardini in modo che non faccia altri scherzi. * * * * * Aprile 2010. Siamo venuti per il weekend a Bonassola con figlia, genero e tre nipotini maschi. Avevamo sperato nel bel tempo per fare delle passeggiate, invece piove incessantemente e fa freddo. Siamo rifugiati ciascuno in casa propria, me ne sto a leggere un libro davanti al camino acceso. Senonché la casa dei nonni rappresenta per i piccoli un’attrazione irresistibile, dove loro passano come furie scatenate. Per tenerli a bada, visto che è ora di cena (le sei del pomeriggio), ammannisco loro le polpette al sugo della nonna di cui vanno matti. Dopo cena la sera scende rapidamente. Fuori ci sono tuoni e fulmini, la pioggia scroscia. Metto un ciocco di ulivo sul fuoco che langue, mi prendo i nipotini sulle ginocchia. L’abat-jour manda una luce fioca, che si riflette appena sulle grandi arcate rosse della sala. Adesso vi racconto una storia di paura, dico. Sììì!! Gridano in coro. Purché sia una storia vera, chiede Pietro che è il più grande e saggio del trio. Ebbene sì, è una storia vera. Forse non dovrei raccontarvela, magari dopo non riuscite a dormire. Raccontala! Gridano loro in coro. Vostra madre e vostro padre si sposarono dieci anni fa, a metà dicembre del 2000, attacco io. Subito dopo partirono per una vacanza di 3 settimane in Messico. Io e la nonna come al solito passammo il Natale a Pescara. Il 27 dicembre venimmo a Bonassola. Arrivammo alla sera, intorno alla Caminà era completamente buio e c’era un gran silenzio. I nipotini mi si stringono addosso con un fremito. Beh, io scaricai la macchina mentre la nonna cominciò a preparare la cena. Come ci mettemmo a tavola, la nonna osservò che avevo lasciato aperta la persiana della porta finestra che dava sul ballatoio. A me piace vedere il giardino, spiegai alla nonna, anche se in verità si vedevano solo i rami scheletriti del vecchio fico. Lei disse che quella sera si sentiva inquieta, ma lasciò perdere e così la persiana rimase aperta. Finito di cenare, rassettammo la cucina, poi la nonna scese da basso a prepararsi per la notte. Io decisi di andare nei locali a pianterreno – che allora usavamo solo d’estate – a controllare che tutto fosse in ordine. Per andarci si passava dalla scala esterna. Mi chiesi se era il caso di chiudere dietro di me la porta finestra a chiave, ma non mi parve necessario, mi sarei assentato solo pochi minuti. Invece, metti a posto questo e quest’altro, mi trattenni forse venti minuti. Risalii a casa. Tutt’attorno c’era un buio pesto. Feci per aprire la porta. Chiusa. Com’è possibile? Mi chiesi. Carla doveva essere in bagno, al piano di sotto, dove si arrivava tramite una scala a chiocciola interna piuttosto ripida. A quell’epoca la vostra nonna aveva cominciato a soffrire molto ad un’anca, la stessa che poi si dovette operare. Com’era possibile che avesse risalito le scale per chiudere la porta? Bussai sul vetro perché venisse ad aprire. Niente. I tre bimbi ascoltano attentissimi, senza perdersi una parola. A quel punto, continuo, bussai più forte, poi ancora più forte, poi ancora più forte! Noi abbiamo vetri molto resistenti, ce ne vuole per sfondarli. Non ebbi risposta. Feci all’esterno il giro della casa, mi portai sotto la finestrella del bagno, gridai con tutte le mie forze. Poi, sempre più angosciato, risalii di corsa, mi avventai sulla porta deciso a sfondarla. Perché, mi chiedete? Ma è naturale, io non avevo chiuso la porta, né poteva essere stata la nonna per via della gamba, l’unica spiegazione era che fosse entrato un estraneo, capite? In casa doveva esserci qualcuno, qualcuno che aveva chiuso dall’interno la porta! Picchiai dei colpi furiosi, gridai con tutto il fiato che avevo in gola. Ecco apparire finalmente la nonna, con un’espressione spaventata, arrivò alla porta, diede alcuni giri alla chiave e l’aprì. Perché hai chiuso la porta? Le gridai con voce strozzata. Ma che dici, fece lei, io non ho chiuso nulla, ero di sotto, non sentivo perché mi stavo asciugando i capelli con il phon, sei tu che hai chiuso. Ci guardammo in faccia, lei si rese conto che la chiave era nella toppa all’interno, ed era lei che l’aveva girata per aprire! Senza una parola mi precipitai al cassetto e ne tirai fuori il coltello da cucina più grosso che c’era. La nonna afferrò un mattarello. Chiudemmo la porta d’ingresso a chiave e ispezionammo insieme tutta la casa, io con il coltello proteso in avanti come nel film Psyco, lei con il mattarello in mano. Guardammo negli armadi, sotto i letti. Niente. Salii la scala fino al terrazzo superiore. Che strano, la porta a vetri era aperta. Accesi le luci esterne e guardai sui tetti. Niente. In teoria, qualcuno poteva essere fuggito dal terrazzo ed essere arrivato a terra passando sull’arco di pietra che si trova all’ingresso del cortile. Al di là del breve raggio delle luci, c’era notte fonda. Come poteva qualcuno avere fatto di corsa al buio un simile percorso? I tre fratellini ascoltano in un tale silenzio che...