E-Book, Italienisch, 168 Seiten
Maimonide Commento alle Massime dei Padri
1. Auflage 2025
ISBN: 979-12-5569-122-8
Verlag: Giuntina
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Perush leAvòt
E-Book, Italienisch, 168 Seiten
ISBN: 979-12-5569-122-8
Verlag: Giuntina
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Mosè Maimonide (Cordova, 1137 - Al - Fustat [il Cairo], 1204) è considerato fra le maggiori autorità rabbiniche, nonché un grande pensatore filosofico. Medico alla corte del sultano, ha scritto numerose opere, fra cui il Commento alla Mishnà, la Guida dei perplessi e il Mishneh Torah, un codice completo della legge ebraica. Di lui la Giuntina ha già pubblicato sei trattati.
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Introduzione del curatore
Il commento al trattato Avòt e l'illuminismo maimonideo
«[Yehudà haNasì] dice:
qual è la retta via che l'uomo dovrebbe scegliersi?».
Avòt 2,1
L'uomo è l'animale al quale una via non è semplicemente data dalla natura e che perciò deve porsi la domanda della retta via, del giusto modo di vivere. Nella maggior parte dei tempi e dei luoghi la risposta alla domanda viene fornita da un'autorevole tradizione. Nella tradizione ebraica, una delle fonti principali di una tale risposta è il trattato mishnico Avòt o “Padri” (conosciuto anche come Pirqé Avòt, “Capitoli dei Padri” o “Massime dei Padri”), una raccolta di massime dei Saggi.1 Da tempo immemorabile Avòt è l'opera rabbinica più popolare, inclusa nel libro di preghiere e abitualmente studiata ogni anno. È, o era, usuale conoscere gran parte di quest'opera a memoria.2 Che l'ammirazione popolare per Avòt sia più che giustificata si desume dall'asserzione di Maimonide che questo trattato «porta a una grande perfezione e alla vera felicità» ovvero «alla profezia», intesa come la condizione di una persona interamente dedicata alla virtù e alla conoscenza di Dio.3 Per spiegare il significato di Avòt Maimonide ha utilizzato, ci informa, non solo «il discorso dei Saggi» ma anche quello «dei filosofi antichi e moderni», in base al principio: «Ascolta la verità da chiunque l'abbia detta».4 Evidentemente, seguire la retta via secondo la tradizione ebraica non esclude e forse perfino richiede una disponibilità a imparare anche da certe fonti fuori dalla tradizione.
Oggi, quando parliamo dell'illuminismo ci riferiamo normalmente a quello del Seicento e Settecento, che ha trasformato il mondo occidentale, compresa la sua parte ebraica. Ma c'è stato anche un illuminismo medievale, più moderato nelle sue aspettative politiche ma forse non meno profondo nel suo pensiero. Mentre l'illuminismo moderno vuole liberare i filosofi e perfino il genere umano dall'autorità religiosa, quello medievale vuole trovare per la filosofia un posto legittimo dentro una comunità governata da una Legge Divina: vuole mostrare che la Legge permette, anzi comanda, le indagini filosofiche o scientifiche, e d'altra parte che la filosofia può dimostrare la bontà e la razionalità della Legge.5 Il commento di Maimonide ad Avòt è un testo particolarmente utile per capire il carattere e gli scopi della versione maimonidea dell'illuminismo medievale. Anche in altri luoghi e soprattutto nella Guida dei perplessi Maimonide si occupa di conciliare la filosofia e la scienza con la tradizione ebraica, ma è solo nel commento ad Avòt che fornisce un'interpretazione filosofica di un esteso testo rabbinico.6 E mentre la Guida è scritta per pochi, il Commento alla Mishnà, del quale il commento ad Avòt fa parte, è per un pubblico molto più ampio. Nell'utilizzare la filosofia per svelare il significato di Avòt, Maimonide in effetti inserisce la filosofia nella vita di tutti gli ebrei.7
Il trattato Avòt è ben adatto a un'interpretazione filosofica perché, a differenza di tutti gli altri trattati della Mishnà, non è un'opera giuridica ma piuttosto una raccolta di massime che spesso riguardano questioni morali universali. Sotto questo aspetto somiglia alla filosofia. Rimane però una differenza fondamentale fra Avòt e filosofia: la filosofia parte dalla ragione e dall'esperienza comune umana, Avòt dalla rivelazione sul Sinài.8 Maimonide in effetti non parla di «filosofia ebraica» e per lui «i filosofi» non sono ebrei: «il principe dei filosofi» è Aristotele.9 Come ha osservato Leo Strauss, Maimonide accetta «la vecchia premessa ebraica che essere ebreo ed essere filosofo sono due cose incompatibili» (il che non significa, Strauss precisa, che un ebreo non possa utilizzare la filosofia fino a un certo punto).10 La tensione essenziale fra ebraismo e filosofia rende delicata l'impresa di trovare un posto per la filosofia nella comunità ebraica. Si noti a tale riguardo che dopo averci informato nella prefazione agli Otto Capitoli, l'introduzione al suo commento ad Avòt, che in quei capitoli e nel commento ha utilizzato il discorso dei filosofi, Maimonide aggiunge che non li citerà per nome per non offendere il lettore inesperto.11
Gli Otto Capitoli riassumono le dottrine filosofiche (aristoteliche) dell'anima e delle virtù e le armonizzano con la tradizione ebraica. Le virtù, che costituiscono la salute dell'anima, sono di due tipi, morali e razionali (intellettuali). Le virtù morali sono il giusto mezzo fra estremi: la moderazione, per esempio, è un giusto mezzo fra i due estremi della concupiscenza e dell'insensibilità al piacere, che sono entrambe vizi. Secondo Maimonide, la Torà mira proprio ad addestrarci in questa via mediana. Quando la Torà sembra comandare o consigliare un estremo, lo fa solo come espediente temporaneo, per contrastare la nostra inclinazione naturale verso l'altro estremo; l'intenzione è che alla fine ci stabiliamo nel giusto mezzo.12 Mentre le virtù morali perfezionano la parte appetitiva dell'anima (cioè regolano i desideri), quelle razionali perfezionano l'intelletto. Si può anche dire che mentre le virtù morali, rendendo gli uomini civili, promuovono la pace, quelle razionali li rendono capaci di conoscere Dio e la verità, che è il fine umano più alto.13
Nel commento ad Avòt Maimonide prosegue con questo lavoro di armonizzazione. Per esempio, Avòt 1,2 riporta il detto di Shim‘on il Giusto che «il mondo si regge su tre cose: sulla Torà, sul servizio [sacrificale] e sulle opere di bontà». Secondo Maimonide, Shim‘on
dice che nella conoscenza, e questa è la Torà, e nelle virtù morali, e queste sono le opere di bontà, e nell'adempimento dei comandamenti della Legge, e questi sono i sacrifici, stanno il continuo miglioramento del mondo e l'ordinarsi della sua esistenza nel modo più perfetto.
Qui Maimonide fa almeno cinque cose notevoli. Primo, interpreta Torà come conoscenza, utilizzando un termine per conoscenza (l'arabo‘ilm) che significa in particolare la conoscenza scientifica. Secondo, interpreta le opere di bontà (ghemilut chasadim) come le virtù morali, un concetto che appartiene alla tradizione aristotelica. In realtà, come sappiamo dagli Otto Capitoli, le virtù morali non sono opere bensì abitudini o caratteristiche dell'anima che producono le buone opere.14 Così Maimonide attira la nostra attenzione sul primato dell'anima.15 Terzo, riordina le tre cose su cui il mondo si regge: trasferisce le opere di bontà (le virtù morali) dal terzo al secondo posto, dopo la Torà (la conoscenza). Giustapponendo così la conoscenza e le virtù morali, pare alludere alla distinzione aristotelica fra le virtù razionali e quelle morali. Quarto, interpreta il servizio sacrificale come i comandamenti della Legge in generale. Sappiamo già dagli Otto Capitoli che lo scopo dei comandamenti è di inculcare le virtù morali. Quinto, interpreta l'affermazione che il mondo «si regge» nel senso che tramite le tre cose menzionate il mondo viene migliorato e meglio ordinato nella sua esistenza, non che la sua stessa esistenza dipende da loro. (Per Maimonide “il mondo” evidentemente significa qui la società umana).
È illuminante confrontare queste interpretazioni di Maimonide con quelle di Obadiah da Bertinoro (autore del commento ormai standard alla Mishnà). Il commento del Bertinoro allo stesso passo è il seguente:
Il mondo si regge: il mondo fu creato solo per queste tre cose. Sulla Torà: se Israele non avesse ricevuto la Torà, il cielo e la terra non sarebbero stati creati […] Sul servizio: il servizio dei sacrifici. Così abbiamo imparato nel trattato Ta?anit: «Se non fosse per le guardie [dei sacrifici del Tempio], il cielo e la terra non si manterrebbero»16 […] E sulle opere di bontà: come è scritto, «Il mondo sarà costruito con la bontà».17 E le opere di bontà sono il dare gioia alla sposa e allo sposo, il consolare quelli che sono in lutto, il visitare i malati, il seppellire i morti, e così via.
Si vede che il Bertinoro, benché spesso in altri luoghi segua i commenti di Maimonide, non accetta le sue interpretazioni filosofiche di “Torà” e di “opere di bontà”18, la sua interpretazione estensiva di “servizio” e la sua interpretazione naturalistica di “il mondo si regge”; per il Bertinoro, senza la Torà e il servizio sacrificale il mondo (il cielo e la terra) letteralmente non esisterebbe.
Perché il Bertinoro non accetta queste interpretazioni maimonidee? Troviamo un'indicazione nel suo commento alle prime parole di Avòt 1,1: «Mosè ricevette la Torà dal Sinài». Il Bertinoro spiega che Avòt inizia con quest'affermazione per chiarire che mentre «i saggi delle nazioni del mondo»...