E-Book, Italienisch, 204 Seiten
Reihe: Ritratti
Leopardi / Barile / Prete Il mondo non è bello se non è veduto da lontano
1. Auflage 2024
ISBN: 978-88-7452-861-5
Verlag: Nottetempo
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Lettere 1812-1835
E-Book, Italienisch, 204 Seiten
Reihe: Ritratti
ISBN: 978-88-7452-861-5
Verlag: Nottetempo
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
In queste lettere, 'la sorella del poeta', per citare Virginia Woolf, esce finalmente dall'ombra: non piú solo appendice biografica alla storia di un fratello straordinario, il personaggio di Paolina si fa spazio tra queste righe e ci parla di molte cose: di una prigionia femminile che è fonte di sofferenza e frustrazione, di una curiosità indomita, di un desiderio di libertà che diventa viaggio interiore e intellettuale, di un amore fraterno profondissimo che si incrinerà per gli orientamenti ideologici sempre piú contrastanti dei due, fino al silenzio. Paolina è per Giacomo un'interlocutrice colta e vivace, complice e sostenitrice, uno spirito inquieto esiliato nel polveroso Palazzo Leopardi; e lui tenta di sostenerla da lontano con le sue bellissime lettere che le aprono il mondo: le città, le letture, gli incontri, mescolati al fluire della vita intima e alle 'bagattelle' che restituiscono il sapore del quotidiano. E a emergere da questo dialogo non è soltanto il ritratto di due 'anime' malinconicissime e appassionate, che si specchiano a distanza, ma anche l'immagine di una società chiusa e dura, alla quale entrambi tentano caparbiamente di resistere.
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Cronistoria 1825-’28
La seconda fase è la piú corposa e va dall’agosto 1825 al maggio 1828: ventiquattro lettere di Giacomo e trentuno di Paolina. Giacomo incontra l’editore Stella a Milano e poi è a Bologna alla ricerca di un impiego, che il governo pontificio non gli concederà mai per le sue opinioni politiche. Scrive , prepara un , stampa nel 1827 la (della prosa) e le . Trasferitosi a Firenze, alla fine del 1827 passa a Pisa, dove la salute migliora e nel 1828 compone lo , , . A fine novembre 1828 torna a Recanati. Qui, di nuovo a casa, scrive nel 1829 , , e nel 1830 il .
A fine agosto 1825 la partenza per Milano è accompagnata dal fervido affetto di Paolina, che gli scrive all’interno di una lettera di Monaldo: “Una parola anch’io, Giacomuccio mio, per dirti quanto ti voglio bene, quanta parte io prendo alle tue speranze” (30/8/1825). Si spera ancora in un impiego per Giacomo, inizio di una brillante carriera (!), e nel famoso matrimonio per lei: ma allora ti perderai i miei racconti al ritorno!, scherza Giacomo. Sicché, è l’umoristica conclusione, sposandoti “perdi molto” (7/9/1825). Entriamo nel vivo dei loro rapporti, fatti anche di aneddoti, piccolezze, ciarle, bagattelle, sensibilità: lo sciocchezzaio del calore umano nella vita famigliare. Che lei continua a raccontare: “Scusate, Giacomuccio mio, queste ciarle, che vi sono, lo capisco benissimo, inutilissime; ma sono tre mesi che non ne facciamo più insieme” (6/10/1825). Lui chiede notizie di Recanati “perchè mi son fatto curioso assai più di prima” (10/10/1825), e non lesina particolari sulla sua vita: gli incontri in treno con francesi o inglesi, la visita alla fantesca di casa Leopardi, Angelina, in via Remorsella a Bologna, dove si è sposata, e che fa qui una apparizione fugace e toccante: “Andai, trovai Angelina, che sentendo ch’io era Leopardi, si fece rossa come la Luna quando s’alza” (9/12/1825). E Giacomo finirà per andare al battesimo del suo primo figlio.
La confidenza comprende anche le opere di Giacomo, il loro farsi e le loro tracce nella casa di Recanati. Assistiamo all’andirivieni di Carlo e Paolina alla ricerca di fogli, correzioni, postille, lettere, quaderni riposti nei cassetti e nelle scansie della sua camera, in occasione di un’ipotesi di stampa: “Paolina mi fa vedere in questo momento una copia della Batracomiomachia datale da te con tue correzioni. […] Altre cose che puoi non avere e che ella ha, sono: 1° o , Idillio; 2° ; 3° . […] Paolina torna con un 6° Idillio: ”. E dopo un breve brano ricopiato da un foglietto “dentro l’inno a Nettuno”, la parola passa senza soluzione di continuità a Paolina che al termine di una “ciarla” su un certo Condulmari, conclude: “Amami, per carità! non te ne scordare” (14/11/1825).
Nell’estate del ’26 Paolina è ansiosa di avere il primo esemplare a stampa del commento a Petrarca e delle , e vorrebbe “associarsi”, secondo l’uso editoriale, ma Giacomo le promette un esemplare senza associazione. È fra i suoi primi lettori: “…mi avete fatto arrivare a capire tante cose che da me non ci arrivavo davvero […]. Mi pareva di discorrere proprio con voi, leggendo i vostri Dialoghi, ed è certo certissimo, che anche senza nome di autore, fra mille e mille altre Opere, avrei giurato che quella era roba di Giacomo” (30/6/1826). Sfuma il matrimonio per lei, che talvolta gli scrive a mezzanotte o all’una, e per lui il posto di segretario dell’Accademia bolognese. Ma rifiuta, grazie anche al mensile che per qualche tempo gli passa l’editore Stella (però qualche mese dopo: “degli arretrati ”!), una cattedra all’Università di Urbino: “…una Cattedra veramente non fa per me, che ho poca o nessuna voglia di faticare. E poi, a dirtela così in confidenza, una cattedra di provincia non sarebbe di convenienza d’un letterato mio pari”. E sul filo dell’insofferenza per l’angustia soffocante della provincia, passa a parlare del taglio dei favoriti da parte di Carlo (i “favorevoli”): non sono piú di moda e “non solo gl’inglesi ma anche i francesi, donne e uomini, che viaggiano in Italia, si ridono, come ho sentito io stesso, degl’italiani che li portano” (17/3/1826). Alla notizia di un francese che a Sinigaglia parla bene di lui, risponde sorridendo: “Non sai tu ch’io sono un grand’uomo?” (16/8/1826).
A tutto questo si mescola un reciproco susseguirsi di richieste e prodotti: certi ottimi formaggi, certo tabacco che Monaldo non usa, fichi e olio, un velluto di un certo colore per Mamà (che pure spesso apre le loro lettere), di cui Paolina manda il campioncino… E poi notizie sempre piú allarmanti sulla salute di Giacomo: il freddo e i geloni, lo stomaco, la stitichezza e i “lavativi”. A Firenze nell’estate del 1827 peggiorano gli occhi e i denti: “flussioni” o carie? A seguito di tanti mali fisici, il peggiore: la malinconia. “…e i denti bisogna farmeli cavare senza rimedio,” scrive Giacomo il 7 luglio 1827. “La malinconia che mi dà questa sciocchezza da un mese in qua, non è credibile”. E come M.me de Sévigné, anche Paolina sente il male di lui, anzi ha male agli occhi lei stessa.
Finché nella Pisa granducale, fra il novembre 1827 e il novembre 1828, Giacomo trova una nuova primavera. Scrive lettere bellissime. È incantato di Pisa, del Lungarno, degli stranieri, della lingua e anche della sua abitazione: “…ho una camera a ponente, che guarda sopra un grand’orto” (12/11/1827). Paolina si strugge: “T’invidio le tue passeggiate eterne, le tue feste, i tuoi spettacoli, ed anche il rammarico delle tue dame […]. E quando mi farai conoscere quella parte di mondo ove abiti? Questo è quello che io non vedo chiaro; ma pazienza! Tu stai bene, e questo è tutto” (15/2/1828). Lui reclama dettagli recanatesi: “…di queste nuove, anche delle più minute, sono proprio ghiottissimo; e […] non mi seccano punto, anzi mi dispiace quella tua brevità, e quegli eccetera”. E ancora: “Io sogno sempre di voi altri, dormendo e vegliando: ho qui in Pisa una certa strada deliziosa, che io chiamo : là vo a passeggiare quando voglio sognare a occhi aperti. Vi assicuro che in materia d’immaginazioni, mi pare di esser tornato al mio buon tempo antico” (25/2/1828). Come si vede dalla meravigliosa fioritura poetica che proseguirà a Recanati nel 1829. “Ho fatto dei versi quest’Aprile; ma versi veramente all’antica, e con quel mio cuore d’una volta” (2/5/1828): sono e .
Il tema poetico-filosofico leopardiano del sogno è molto presente anche nelle lettere di Paolina: gusti e passioni dei due suonano all’unisono. Pepoli manda a Giacomo un suo testo, che lui non legge e non gli piace e che, raddoppiando il paradosso scherzoso, nemmeno le gira: “Non ve lo mando, perchè credo che vi seccherebbe, come avrebbe fatto a me se l’avessi letto” (24/3/1828). Nel giugno 1828 torna a Firenze; e il 28 novembre, alla morte del fratello Luigi, senza piú mensile dallo Stella, a casa. [L.B.]
[Recanati] 19 Agosto 1825
[…]
Giacomuccio mio! Ciò che mi riguarda, e che devo dirvi, è che dopo molte fatiche e molte pene, ho ottenuto finalmente di essere sposa di Peroli. Il ventuno di Novembre è il giorno fissato al matrimonio, e pare che realmente succederà, a meno che la solita pigrizia o cattiva volontà non vi si mischi. Ero preparata a sostenere più scherni e sarcasmi di quelli che in fatti mi si preparavano; giacchè finora (almeno nel mio piccolo cerchio) non vi è stato alcuno che, a saputa mia, mi abbia condannata; ma io mi ricordavo de’ vostri insegnamenti e consigli, e mi ero armata di molto coraggio. Non so se questo basterà per regolarmi in appresso, quando avrò cambiato stato. Ciò che dice Carlo, mi spaventa, ma la fortuna mi aiuterà. Io spero che nè quello nè questa mancheranno a te. Con le tue cognizioni ed i tuoi talenti io sarei molto più tranquilla di quello lo sono adesso, vedendo che mi manca tutto. Addio, Giacomuccio mio. Divido con Carlo e con tutti i nostri la viva impazienza di saperti contento, e bene; non dico felice, perchè mi ricordo di ciò che tante volte mi hai detto.
Recanati, 30 Agosto 1825
[…]
Una parola anch’io, Giacomuccio mio, per dirti quanto ti voglio bene, quanta parte io prendo alle tue speranze, alle tue felicità, e con quanto ardore desidero che ti arrida felice la sorte, come pare. Carlo (che non so se farà a tempo di mettere anche esso il suo carattere qui) è stato giubilante dalla gioja al leggere la copia della lettera del Cardinal della Somaglia; e niente tutti noi desideriamo, quanto che ti accosti un poco più a noi, se non altro per avere un poco più di frequente le tue nuove, che aspettiamo ogni ordinario con tanto ardore, e che quasi sempre ne siamo privi. Ai 19 Carlo ti scrisse, ed io nella sua, ove ti annunziavo il mio matrimonio. Avevamo preso un espediente per farti pagare il meno possibile il costo della lettera, ed era di metterla dentro un mezzo foglio di carta stampata. Dio sa se ti è arrivata. Mamà ti saluta infinite volte, e vuole che ti faccia conoscere il suo desiderio, che...