E-Book, Italienisch, 240 Seiten
Larsson Otto personaggi in cerca (con autore)
1. Auflage 2012
ISBN: 978-88-7091-327-9
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
E-Book, Italienisch, 240 Seiten
ISBN: 978-88-7091-327-9
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
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È rimasto un solo mondo di regioni inesplorate, di rotte da tracciare e mete provvisorie, dove la scoperta di tesori è ancora possibile: il mondo delle scienze. È sull'oceano del sapere che navigano questa volta i personaggi di Larsson, accomunati tutti, nella loro diversità, dallo stesso spirito di avventura: sono pronti a non dare niente per scontato, a mettersi totalmente in gioco, pur di inseguire la loro ricerca e il loro sogno. Come il filologo deciso a trovare negli antichi manoscritti la soluzione al mistero del Graal, il linguista che si immerge nelle strutture della grammatica per fare ordine nel caos del mondo, o la filosofa atea che sente la voce di Dio, e il chimico che compie il primo passo verso la conoscenza studiando le reazioni molecolari dell'innamoramento, fino all'ironico autoritratto dell'autore in crisi d'ispirazione che scopre, in una lettera smarrita di Flaubert, l'impossibile ricetta del capolavoro. Muovendosi con avvincente semplicità tra i problemi filologici e la grammatica generativa di Chomsky, la matematica quantistica e le teorie rivali del Big-bang o la mappatura del genoma umano, Larsson riesce ad entrare con umorismo e leggerezza nel vivo dei temi più attuali della scienza, dell'etica, del libero arbitrio, del dibattito tra verità e fede, tra laicità e fondamentalismo. E seguendo i suoi personaggi sulle inaspettate vie della scoperta, lontano da dove pensavano di arrivare, ricorda che non c'è altra legge che il dubbio, altra regola che l'incertezza, quando si ha a che fare con l'uomo e la sua imprevedibilità.
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Il filologo
A cinquantacinque anni di età e a dieci dalla pensione, il filologo Knut Stenlund si rese conto che la scienza cui aveva dedicato con tanta passione tutta la sua vita era destinata a morire di una morte serena ma inesorabile. Aveva iniziato a sospettare qualcosa vedendo in televisione uno sketch di Hasse Alfredsson e Tage Danielsson in cui quest’ultimo intervistava i presunti candidati a un posto in una scuola materna, impersonati tutti dal primo. Uno degli aspiranti, il classico tipo del professore arrogante, aveva inserito nel suo curriculum un corso di fonetica del francese antico. A quella stravagante informazione il pubblico era scoppiato a ridere selvaggiamente. Stenlund non l’aveva trovato affatto divertente. Si era anzi sentito insultato, lui che conosceva quella materia a menadito, che era in grado di ritracciare un’evoluzione fonetica dal latino volgare ai giorni nostri senza alcuna esitazione e che aveva dedicato gran parte della sua vita adulta giustappunto alla fonetica del francese antico. E poteva garantire che non era uno scherzo.
Nel periodo che seguì, si dedicò anima e corpo a convincere gli studenti che il francese antico era una materia ricca di prospettive, nonostante i secoli che pesavano sulle sue spalle. Bastava pensare ai testi che permetteva di leggere in originale: il Tristano e Isotta, il Racconto del Graal e la Chanson de Roland, tanto per citarne qualcuno. Veri e propri capolavori, insomma, anche se Knut Stenlund non riteneva di avere le competenze per parlare delle loro qualità letterarie o del loro valore in quanto documenti storici su miti e realtà di un’epoca remota. Il suo campo era la lingua in sé, con i suoi schemi fonetici, la sua morfologia e la sua grammatica. Non aveva nessuna intenzione di abbassarsi a sproloquiare su questioni che riguardavano la cavalleria, l’amore, e la vita in generale, solo per acquistare popolarità. Era un compito che lasciava ad altri. Lui doveva solo fare in modo che sapessero di cosa parlavano. Il che già non era impresa da poco.
Ma per quanto si sforzasse di attirare nuovi studenti e rinnovare l’insegnamento, le sedie vuote non facevano che aumentare. I suoi colleghi cominciavano a chiedere con discrezione – nonostante tutto non volevano passare sul suo cadavere professionale – se gli studenti di francese avessero proprio bisogno di un corso di filologia così esteso. E alla prima occasione si approfittò della scusa della carenza di fondi per ridurgli il numero di ore d’insegnamento. Stenlund replicò continuando a fare le stesse ore a titolo totalmente gratuito.
Ma non servì a granché. Il suo più recente, e probabilmente ultimo, dottorando aveva discusso la tesi dieci anni prima, e da allora non si era più fatto avanti nessun altro. E se anche si fosse presentato qualcuno, chissà poi se gli avrebbero concesso di accettarlo. Knut Stenlund era ormai rimasto l’unico in tutta la Scandinavia a studiare e commentare manoscritti antichi come la filologia aveva sempre fatto con eccellenti risultati. Pensate un po’ se non avesse reso accessibile il Tristano e Isotta ai comuni mortali e ispirato scrittori e compositori! Che fine avrebbero fatto tutti i sogni romantici del grande amore- passione? Sarebbero semplicemente finiti nel fumo senza tracce della storia. Il signore degli anelli non sarebbe mai stato scritto né tanto meno letto, se gli studiosi come lui non avessero riscoperto e pubblicato i testi antichi! Dan Brown sarebbe rimasto un comune scribacchino tra i tanti, invece di far soldi a palate a spese dei filologi. A rigor di giustizia, avrebbe dovuto versare una percentuale delle sue royalty agli studiosi che gli avevano preparato il terreno. Era merito loro e di nessun altro se esistevano la leggenda e il mistero del Graal. Senza di loro non ci sarebbe stato nemmeno Indiana Jones, né tutte le volgarizzazioni cinematografiche delle vicende di re Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda.
Più Stenlund ci pensava, più si convinceva che la filologia del francese antico fosse una delle colonne fondanti su cui si basava l’Europa moderna, se non addirittura la più fondante.
Ma al mondo non c’è gratitudine. Nessuno sembrava ascoltarlo quando declamava le leggi dell’evoluzione fonetica in aule semivuote. E purtroppo lui stesso era costretto a riconoscere che la maggior parte dei testi antichi erano già stati interpretati e pubblicati. Quanti manoscritti restavano da mettere nelle mani avide dei filologi? Qualche centinaio, a far tanto. E nessuno certo all’altezza dei grandi testi già disponibili e tradotti in lingua moderna.
Ciò nonostante, Knut Stenlund non si arrendeva. Difendeva la sua materia come meglio poteva all’interno dell’università e scriveva articoli in cui faceva notare, tra l’altro, che senza il francese antico nessuno avrebbe saputo dove tracciare i confini della Bretagna moderna. Ma i nazionalisti celti non erano interessati a verità che non assecondassero i loro obiettivi politici, e perché mai, poi, un’università svedese doveva ficcare il naso nei confini di un paese straniero?
Quando il Codice Da Vinci superò il mezzo milione di copie vendute in Svezia, Knut Stenlund tenne una conferenza nel quadro delle Giornate Umanistiche della sua università. Per la prima volta avrebbe fatto ciò che fino a quel momento si era sempre rifiutato di fare per non dover scendere a patti con la sua coscienza professionale: avrebbe parlato del contenuto di un testo in francese antico e non solo della sua grammatica e morfologia. Il titolo del suo intervento era: “La ricerca del Graal. La soluzione del mistero”.
“Il Graal”, esordì davanti a un auditorium gremito, “compare per la prima volta nel Perceval di Chrétien de Troyes, o Racconto del Graal, com’è più corretto chiamarlo. Dell’autore non sappiamo granché. È lui stesso a sostenere di chiamarsi così, ma non abbiamo prove certe che sia davvero esistito un uomo con questo nome. Nel prologo dichiara di voler mettere in versi la storia più bella mai scritta in una corte reale e che era stato il conte Filippo di Fiandra in persona a – cito – ‘dargli quel libro’. In altre parole, Chrétien de Troyes sostiene di riscrivere una storia già esistente. Tuttavia non è mai stata rinvenuta alcuna versione precedente al Racconto del Graal, datato intorno al 1190. Esistono invece diversi manoscritti del testo di Chrétien, per la precisione quattro. Quale debba essere considerato l’originale, o il più vicino all’originale, è sempre un arduo problema, quando si ha a che fare con la letteratura medievale. Per esempio non esiste un manoscritto completo che racconti l’intera storia di Tristano e Isotta.
Nel testo di Chrétien la parola ‘Graal’ compare diciannove volte. Ma è solo nella prima e nell’ultima occasione che viene descritto con una certa ricchezza di particolari. Perceval è arrivato in un grande castello. In una sala che può contenere senza problemi fino a quattrocento cavalieri, viene ricevuto da uno dei più anziani, che si scusa di non potersi alzare a dargli il benvenuto e gli consegna una spada. Mentre i due parlano di questo e quello, compare un valletto che tiene in mano una lancia scintillante.”
Knut Stenlund alzò un attimo gli occhi prima di proseguire.
“Ora leggerò direttamente dal testo perché sentiate esattamente cosa si dice del Graal quando compare per la prima volta:
Un valletto passa tra il fuoco e coloro che sono assisi sul letto. Una goccia di sangue colava dalla punta del ferro della lancia. Fin sulla mano del valletto colava la goccia di sangue vermiglio. Il giovane ospite vede tal meraviglia e si trattiene dal domandarne ragione. È perché rammenta le parole del maestro di cavalleria. Non gli insegnò che mai si deve parlar troppo? Porre domanda sarebbe villania. Non dice parola.
Due valletti arrivano allora, tenendo in mano candelieri d’oro fino lavorato a niello. Uomini molto belli erano i valletti che recavano i candelieri. In ogni candeliere bruciavano dieci candele, a dire il meno. Una fanciulla molto bella, slanciata e ben adorna coi valletti veniva e un Graal aveva tra le mani. Quando fu entrata nella sala col Graal che teneva, si diffuse una luce sì grande che le candele persero il chiarore, come stelle quando si leva il sole o la luna. Dietro di lei un’altra damigella recava un piatto d’argento. Il Graal che veniva avanti era fatto dell’oro più puro. Pietre vi erano incastonate, pietre di molte specie, le più ricche e le più preziose che vi siano in mare o sulla terra. Nessuna potrebbe paragonarsi alle pietre che cingevano il Graal. Come la lancia era passata davanti al letto, così passarono le due damigelle. Andarono da una stanza all’altra. Il giovane le vide passare, ma a nessuno osò domandare a chi si presentasse il Graal nell’altra sala, perché sempre aveva nel cuore le parole dell’uomo saggio, il maestro di cavalleria.*
Ecco cosa dice il racconto, parola per parola. Poi segue un brano in cui si spiega che il signore del castello fa allestire una tavola dove viene portato un prelibato banchetto. L’autore descrive dettagliatamente le pietanze e come vengono servite, prima che venga nuovamente citato il Graal. Ancora una volta, leggerò direttamente dal testo:
Allora davanti ai due convitati un’altra volta passa il Graal, ma il giovane non domanda a chi lo si serva. Sempre ricorda il gentiluomo che dolcemente l’ha impegnato a non troppo parlare, che l’ha sempre nel cuore. Ma tace più che non...