Kuzmin | Viaggi immaginari | E-Book | sack.de
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E-Book, Italienisch, 193 Seiten

Kuzmin Viaggi immaginari


1. Auflage 2016
ISBN: 978-88-6243-212-2
Verlag: Voland
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

E-Book, Italienisch, 193 Seiten

ISBN: 978-88-6243-212-2
Verlag: Voland
Format: EPUB
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Viaggi immaginari raccoglie due raffinati giochi letterari del poeta acmeista Michail Kuzmin, che sperimenta sul canovaccio del romanzo d'avventure settecentesco e del romanzo di viaggio inglese evidenziandone i temi erotici da lui rivisitati in chiave omosessuale. Le avventure di Aimé Laboeuf narra le peripezie di un giovane francese, dall'infanzia in provincia fino alla corte di un principe tedesco; nel Viaggio di Sir John Fairfax in Turchia e in altri straordinari paesi diventiamo i compagni di strada di un ingenuo ragazzo inglese nelle sue peregrinazioni per il mondo.

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Parte seconda


1.


Le strade fiancheggiate di betulle, le chiare lontananze autunnali, i nuovi volti, gli incontri, l’arrivo di sera tardi, la partenza di primo mattino, l’allegro corno del cocchiere, i villaggi, i riccioluti boschetti dai mille colori, i monasteri, i giorni, le sere e le notti passate a guardare e ad ascoltare chi ti è più caro al mondo, che felicità avrebbe potuto essere, che gioia se non avessi dovuto viaggiare come servo, occuparmi dei cavalli, mangiare in cucina, dormire nella stalla, senza potere né dare un bacio né parlare teneramente alla mia Luisa, che inoltre per tutto il viaggio lamentò un gran mal di testa. A Parigi, alle porte della città, ci venne incontro con dei cavalli e una carrozza un vecchio, certo avvisato in precedenza, poiché ci chiese se era proprio la signora de Tombel quella con cui aveva l’onore di parlare; si presentò come inviato dal conte e ci condusse in una dimora non molto grande, in mezzo a un folto giardino. Mi venne assegnata una camera in mansarda, da dove una scala segreta portava direttamente alla stanza della signora.

– È un ragazzotto di campagna completamente stupido, e poi mi chiuderò dentro, e terrò io stessa la chiave – osservò Luisa in risposta all’occhiata interrogativa del vecchio servo.

– Durante il viaggio Aimé è stato insostituibile – aggiunse facendoci segno di uscire e accendendo le candele davanti al grande specchio.

Trovavamo assai spesso occasioni per stare da soli, io e Luisa, ma fui molto sorpreso quando, alla fine del mese, il vecchio mi diede dei soldi come stipendio, brontolando:

– Vale proprio la pena che il conte paghi un fannullone campagnolo che non fa niente tutto il santo giorno.

Presi i soldi senza dir nulla, ma alla prima occasione pregai la signora de Tombel di darmi una spiegazione. Lei sembrò un po’ turbata, ma disse:

– Noi stessi abbiamo convenuto, mio Aimé, che per la gente tu fossi considerato in tutto il mio servo. Questo non ci impedisce di vederci, non è vero? E i soldi non sono mai di troppo. Quanto al maggiordomo brontolone, non devi farci caso, non vale la pena di prestargli attenzione anche se, per non dare nell’occhio, sarebbe meglio che tu facessi qualcosa.

Perché i soldi venissero dal conte, non mi venne in mente di chiederlo, e presto divenni un servitore quasi vero, che litigava e giocava a carte con gli altri lacchè, scappava con loro nelle bettole, rispondeva male al maggiordomo, senza che questo mi preoccupasse troppo.

2.


I rari visitatori della signora de Tombel erano distinti signori anziani, invitati a pranzo da questa giovane, bella donna, che facevano due chiacchiere vicino al camino e giocavano a carte. Andavano via presto.

Lei da parte sua di giorno usciva solo per acquisti e di rado, tre o quattro volte al mese, andava all’opera.

Più spesso degli altri veniva a trovarci il vecchio conte de Chéfreville, l’unico a presentarsi a orari diversi e l’unico a essere ammesso nella camera da letto della signora.

Osservai che dopo le sue visite Luisa diventava particolarmente tenera con me, ma non la misi a parte di questa constatazione perché avevo paura di essere preso in giro, in segreto desideravo però che le visite del conte si facessero più frequenti. Una volta fui mandato a consegnare delle lettere al conte e al duca de Saucier, dal quale non ero mai stato. Mi pare che Luisa avesse improvvisamente deciso di invitarli a pranzo. Un vecchio servitore prese la lettera e mi lasciò ad aspettare la risposta su una panca di legno nella grande anticamera buia; era seduto accanto a me un giovane pallido e pensieroso, con una palandrana lisa, biondo, il naso lungo. Dopo un paio di minuti questi girò il viso dalla mia parte, come se si accorgesse di me solo in quel momento. Notai le labbra accese, gli occhi assorti e svagati, penetranti e vuoti nello stesso tempo; mi sembrò ubriaco o forse non del tutto normale.

Mi rivolse uno sguardo rapido e attento, poi osservò:

– A quanto pare, vi tocca consegnare altri biglietti, con questa pioggia.

– Proprio così, al conte de Chéfreville.

– Ah... e andate d’accordo col vostro padrone?

– In che senso ci dovrei andare d’accordo? E perché poi chiamate il conte mio padrone?

– Certamente la vostra discrezione vi fa onore, caro mio, ma fra buoni amici non ci dovrebbero essere segreti, e noi sappiamo benissimo che l’affascinante signora de Tombel si trova, come dire, sotto la protezione di quell’ottimo conte.

L’arrivo del servitore con la risposta interruppe la nostra conversazione, a casa poi venni a sapere da uno dei servi che il giovane con cui avevo parlato era il figlio del duca François de Saucier: alcune sue bricconate e la spilorceria del padre facevano sì che questi lo tenesse insieme alla servitù.

La scoperta mi sconvolse al punto da impedirmi di dormire per tre notti di seguito durante le quali decisi di scoprire tutto da solo, senza dar nulla a vedere.

3.


Sin dal mattino partecipai alle ricerche collettive della chiave che avevo nascosto in tasca. Poiché il mattino seguente avrebbero chiamato il fabbro, fui costretto a mettere in atto il mio piano quella sera stessa, e me ne diede l’occasione la visita del conte de Chéfreville. Quando si ritirarono come al solito nella stanza da letto della signora de Tombel, attesi una quarantina di minuti prima di discendere dalla mia camera alla familiare porta segreta e il mio sguardo curioso si diresse alla serratura.

Benché il sangue mi montasse alla testa e le orecchie mi ronzassero nel vedere Luisa e il conte in tenero atteggiamento sul divano, benché l’indignazione e l’amarezza crescessero alla vista della bruttezza del vecchio conte, pure continuai a tacere e a seguire le loro mosse, e solo al momento opportuno girai piano piano nella toppa la chiave che tutti credevano perduta.

– Infedele! – esclamai, e feci un passo avanti.

Luisa si riassettò il vestito e si allontanò dal conte tanto in fretta che soltanto l’aver a lungo osservato la scena mi permise di non dubitare di essermi ingannato.

– Né i giuramenti né le promesse né l’amore... – cominciai.

– Non male – mi interruppe Luisa che si era intanto rimessa completamente in ordine. – L’avete preso, mi sembra, da Rotrou? Vedo che mettete a profitto i vostri momenti liberi mandando a memoria brani di tragedie; adesso i momenti liberi aumenteranno, visto che da domani lascerete la mia dimora.

– Davvero, siete troppo paziente con tutta questa gente, cara signora de Tombel – intervenne il vecchio conte.

– Sì, e vedete come sono punita! – rispose vivacemente Luisa.

– Ma questa è l’ultima volta. Cosa ci fate, qui?

Mi rivolsi allora a de Chéfreville e gli descrissi i miei rapporti con Luisa, pensando di far leva sulla gelosia per allontanarlo da quella donna. Lei ascoltava tacendo, con un sorriso irritato, e il suo sopracciglio, sopra al quale era incollato un neo a forma di farfalla, fremeva.

– Siete in errore, mio caro, se pensate che i vostri racconti mi interessino.

– Non c’è una parola di vero – sussurrò Luisa.

– Posso forse dubitarne? – disse il conte, stringendole la mano.

Io mi gettai in ginocchio in mezzo alla stanza.

– Luisa, Luisa, e il mio sonno mentre vi aspettavo? e il meraviglioso risveglio? e la vecchia Margherita? e la strada per Parigi? e il neo sulla coscia sinistra?

Il conte sorrise e la signora de Tombel disse, alzandosi:

– Mi dispiace per voi, Aimé, ma siete proprio impazzito.

– Calmatevi, cara signora de Tombel – disse il vecchio, baciandole la mano.

– Infame! – esclamai io, balzando in piedi. – Oggi stesso lascerò la tua schifosa dimora.

– Tanto meglio. Soltanto, a proposito, restituite la chiave che avete rubato – proferì Luisa.

4.


Non so come mi trovai sul ponte; probabilmente era tardi, dal momento che le luci delle botteghe lungo il fiume erano spente e non c’erano passanti. Stanco di vagare per strade sconosciute, tormentato dall’amore, dalla gelosia e dalla collera, senza sapere dove andare, mi affacciai al parapetto e mi misi a guardare l’acqua nera del fiume che rifletteva rare stelle sminuzzate dalle increspature. Il pensiero del suicidio mi spaventava e mi attraeva perché in quel caso non avrei più dovuto pensare al futuro.

Ma l’acqua era così scura, probabilmente così fredda; prima di annegare dovevi sostenere una tale lotta involontaria con la morte che forse era meglio impiccarsi, anche perché lo si poteva fare di giorno, quando tutto era più allegro. Assorto in siffatti pensieri non mi accorsi che sul ponte era arrivata gente con una lanterna; per il freddo erano tutti avviluppati nei mantelli, ma le voci rivelavano che la compagnia era composta da due donne e quattro uomini.

Quello con la lanterna si avvicinò e mi illuminò il viso, dicendo con voce rozza:

– Chi è questo tizio? un candidato all’annegamento?

– Bah, è un viso conosciuto – fece una voce dal gruppo, – non è forse il pulcino della signora de Tombel, dell’affascinante Luisa?

– Una bella carogna, la signora – disse una rauca voce femminile.

– Ma che ci fa qui questo giovane Adone? Perché non è nel letto della sua signora, ma su un ponte della Senna? – intervenne in falsetto un uomo non troppo alto.

– Davvero, dove stavate andando solo...



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