E-Book, Italienisch, 459 Seiten
Reihe: Narrativa
Kristensen L'ultimo viaggio di Amundsen
1. Auflage 2019
ISBN: 978-88-7091-581-5
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
E-Book, Italienisch, 459 Seiten
Reihe: Narrativa
ISBN: 978-88-7091-581-5
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Il 25 maggio 1928 il dirigibile Italia, tornando da una spedizione al Polo Nord, si schianta sulla banchisa a nord delle isole Svalbard. Il generale Umberto Nobile e gli altri otto sopravvissuti, malati, affamati e sull'orlo della follia, resistono quasi cinquanta giorni in un deserto di ghiaccio, chi aspettando i soccorsi, chi tentando una marcia disperata verso la terraferma. Per salvarli, ma anche per difendere interessi politici e territoriali, si mobilitano Italia, Norvegia, Svezia, Finlandia, Francia e Unione Sovietica, dando inizio a una complessa e spettacolare operazione di soccorso seguita da reporter e cineoperatori di tutto il mondo. Il 18 giugno, a bordo di un idrovolante francese, parte anche il grande eroe polare norvegese Roald Amundsen. Con Nobile, nel 1926, aveva compiuto il primo sorvolo del Polo Nord a bordo del dirigibile Norge. Tra loro era esploso subito uno scontro di personalità e di potere, lasciando poi strascichi di offese reciproche. Eppure Amundsen è impaziente di volare a salvare il rivale, forse anche per il timore di essere stato messo in ombra dalle esplorazioni dei tempi nuovi, ormai in mano agli eroi dell'aria. Ma il Latham 47, che è solo un prototipo mai collaudato, una volta partito scompare per sempre. Amundsen si rendeva conto del rischio che correva? E cos'è successo all'aereo e al suo equipaggio? Monica Kristensen mette in campo sia le sue competenze scientifiche sia la sua esperienza di narratrice per ricostruire la vicenda con commossa accuratezza, arrivando, ragionamento dopo ragionamento, ad avanzare una sua originale interpretazione. E ci regala il ritratto emozionante di un grande eroe al tramonto.
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1. Partenza da Kings Bay
Erano quasi le cinque del mattino di mercoledì 23 maggio 1928. Il sole era già alto nel cielo sopra le montagne dall’altra parte del Kongsfjord. La luce filtrava nella nebbia chiazzando d’argento il mare. Le onde si alzavano e abbassavano portandosi dietro lastre ghiacciate d’acqua marina. Era come se il fiordo respirasse lentamente.
Dopo una lunga notte di veglia, tensioni, incertezze e decisioni rapide, finalmente il dirigibile Italia era pronto per partire. Il prete cattolico Giovanni Gianfranceschi, emissario speciale del papa, era sul castello di prua nel gelido hangar di Kings Bay a benedire la spedizione per il Polo Nord. A scanso di rischi lesse anche la preghiera degli esploratori, quella che garantisce un ritorno sicuro. Dopodiché gli oltre venticinque aiutanti – gli italiani che partecipavano alla spedizione insieme ad alcuni minatori del posto – afferrarono le funi e con grande cautela cominciarono a trascinare il dirigibile fuori dall’hangar, stando attenti a non far impigliare o strappare il telo dell’involucro. Le grida degli italiani «viva l’Italia!» e «viva Nobile!» si accavallavano. Erano un po’ deboli, ma l’equipaggio era rimasto in piedi tutta la notte ed era stanco.
I minatori norvegesi non dissero granché. Molti di loro avevano già partecipato a momenti come quello. Nelle oltre due settimane da quando era arrivato a Kings Bay, il dirigibile aveva già preso il volo due volte: la prima era stata una falsa partenza verso est interrotta dopo poche ore, poi era stata la volta della lunga spedizione di sessantanove ore per mappare l’arcipelago quasi sconosciuto chiamato Terra di Nicola II (oggi Severnaja Zemlja, ovvero Terra del Nord), a est della Terra di Francesco Giuseppe.
La gente di Ny-Ålesund aveva cominciato ad abituarsi a quei preparativi frenetici. Prima di ogni partenza c’era stata sempre la stessa agitazione, la stessa attività convulsa per tutta la notte. Il capo della spedizione, il generale Umberto Nobile, correva da una parte all’altra impartendo ordini con un megafono d’ottone. Il momento della partenza veniva via via rimandato a causa delle condizioni meteorologiche incerte e sorgevano discussioni sull’attrezzatura da portare, ma anche su chi sarebbero stati i fortunati a partecipare alla spedizione. Poi i baci, gli abbracci e i brindisi con lo champagne.
In occasione del volo più famoso e spettacolare, quello diretto finalmente al polo, i preparativi erano stati quasi gli stessi dei due precedenti, ma l’attenzione si era concentrata molto di più sull’equipaggio. Il giornalista e alpino Francesco Tomaselli aveva dovuto cedere il posto al ventottenne Ugo Lago del Popolo d’Italia, giornale fondato da Mussolini nel 1914 e diventato organo del Partito fascista. Per Nobile, che pure non era fascista, sarebbe stato difficile negare a Lago un posto su un volo tanto glorioso per il governo. Non esitò invece a scambiare l’emissario del papa, padre Gianfranceschi, con il ricercatore cecoslovacco František Behounek. L’ultimissima modifica all’equipaggio avvenne dopo che il dirigibile era stato alleggerito di diversi barili di benzina: alla fine, con sua immensa gioia, fu incluso lo snello e slanciato ufficiale di Marina Alfredo Viglieri, il più giovane a bordo.
L’Italia, dirigibile fratello del Norge, in partenza da Ciampino il 19 marzo 1928. Attraverserà l’Europa fino alle Svalbard via Vadsø, facendo tappa in punti d’atterraggio accuratamente programmati.
C’erano parti del carico che non potevano essere lasciate a terra: poiché stavolta l’obiettivo era il Polo Nord, dovettero caricare sulla gondola una croce di quercia di oltre cento chili, che era stata benedetta dal papa e doveva essere calata nel punto esatto del polo.
Appena prima delle cinque, il dirigibile era finalmente fuori dall’hangar e aleggiava a pochi metri dal suolo innevato. Gli aiutanti mollarono anche l’ultima fune di traino e si misero a guardare sollevarsi lentamente l’aeronave a forma di sigaro, lunga più di cento metri e alta quasi venti. Il motore di poppa, con Vincenzo Pomella in cabina, si accese: provvedeva sia al sollevamento che a regolare la velocità di navigazione. Poco dopo si avviarono anche i due motori del centro. Gli aiutanti salutarono da terra i membri dell’equipaggio, che li guardavano dai finestrini della gondola. Ben presto non furono più visibili. L’Italia cominciò la sua navigazione sopra il Kongsfjord. La sua sagoma diventò un’ombra, un miraggio velato di nebbia. Vicino e allo stesso tempo lontanissimo. Un’illusione ottica.
A quell’ora del mattino solo una minoranza della popolazione di Kings Bay si era radunata per assistere alla partenza. Molti avevano il loro duro lavoro in miniera cui pensare e forse contavano di partecipare ai festeggiamenti del ritorno. Quella primavera la città mineraria di Ny-Ålesund era zeppa di gente: l’estrazione del carbone procedeva a pieno regime, nella cava Agnes e in quella nuova, che era stata chiamata Ester, si lavorava su tre turni. Entrambe si spingevano a grande profondità sotto la montagna, ma l’attività era stata sospesa più volte a causa di incidenti. L’anno prima c’erano state esplosioni e infiltrazioni d’acqua dai ghiacciai sopra le cave. In città erano alloggiate in tutto duecentosessanta persone (di cui sedici donne e cinque bambini). Oltre alla gente della compagnia mineraria, c’erano giornalisti norvegesi e stranieri, cineoperatori, alpini e l’equipaggio del dirigibile sistemati ovunque fosse stato possibile infilare un letto. Di questo passo, avrebbero dovuto organizzare turni per dormire.
Anche la nave italiana Città di Milano, attraccata nel Kongsfjord per la spedizione, era al completo. Ospitava duecentoventi persone solo tra marinai e ufficiali, più tutto il personale del dirigibile che era riuscito a trovarvi posto. Era stato necessario alloggiare due uomini in ciascuna delle cabine singole. Anche i ricercatori Malmgren e Behounek vivevano a bordo, ma il ricercatore cecoslovacco era deluso di non essere in cabina con lui, visto che nel corso di quell’esperienza i due erano diventati buoni amici.
Bertel Sherdahl, amministratore di Kings Bay, era ovviamente preoccupato per quel sovraffollamento, ma le spedizioni artiche significavano anche graditi introiti straordinari per la compagnia mineraria, che allora era privata ed era stata sull’orlo del fallimento fin dalla sua fondazione dodici anni prima. Per far tornare i conti, lo stato norvegese pagava in anticipo l’acquisto del carbone per l’anno dopo. Da un punto di vista politico, infatti, sarebbe stato complicato lasciare inoperose le miniere di Kings Bay. Dopotutto erano passati solo otto anni da quando le isole erano diventate parte del Regno di Norvegia con il Trattato delle Svalbard. Sarebbe parso strano che la Norvegia, dopo aver ottenuto l’arcipelago, avesse fatto fallire le miniere l’una dopo l’altra. Un’opzione che veniva discussa negli uffici governativi continentali era che lo Stato acquisisse una parte delle azioni della Store Norske Spitsbergen Kulkompani A/S di Longyearbyen e della Kings Bay Kull Compani A/S di Ny-Ålesund. Ma per il momento erano ancora il leggendario Petter Brandal e alcuni investitori di Ålesund a possedere i vasti territori di Brøggerhalvøya, la penisola in cui si trova Kings Bay.
Verso la metà di maggio era arrivata all’Isfjord la nave polare Minna, partita da Green Harbour con a bordo un giornalista norvegese dell’Aftenposten, Odd Arnesen, un cineoperatore americano della Paramount, John Dored, e un nuovo radiotelegrafista per Kings Bay. Altre navi polari avevano attraccato al molo per poi ripartire. La Hobby, capitanata da Ingvald Isachsen e con a bordo anche l’esperto navigatore dei ghiacci John Næss, era arrivata da Tromsø per scaricare la copertura per l’hangar, prodotta in Norvegia. Il resto dei materiali per la spedizione italiana era stato trasportato dalla nave Città di Milano. Carichi enormi erano stati depositati sul molo per poi essere trasferiti nell’hangar del dirigibile: tra le altre cose, 4500 bombole di ceramica che contenevano idrogeno, pezzi di ricambio per i tre motori Maybach del dirigibile e casse su casse di provviste quali cioccolato, biscotti, burro e pemmican. I marinai italiani avevano preso in prestito un vecchio trattore cingolato Ford, che però rimaneva spesso bloccato nei cumuli di neve. Per trasportare nell’hangar tutto il carico si sgobbò giorno e notte.
I marinai delle navi polari norvegesi, incuriositi da questa spedizione italiana, raggiungevano il molo su piccole imbarcazioni a remi per seguire con i loro occhi le operazioni. L’unica bottega di Kings Bay e il negozio di souvenir dell’organizzazione Velferden erano aperti tutto il giorno, più o meno ufficialmente. Vendevano benzina, carbone per il rifornimento e acqua fresca. Si smerciavano anche tabacco e alcolici, in entrambe le direzioni, benché a Ny-Ålesund fossero prodotti fortemente razionati. I minatori avevano una razione settimanale di mezza bottiglia di acquavite che spesso barattavano a seconda delle proposte.
Ogni fine settimana si organizzavano raduni in giro per l’accampamento minerario. Le strade erano affollate di gente che parlava e discuteva. Lungo le rotaie della ferrovia sbuffavano le piccole locomotive a vapore e dalle miniere andavano e venivano con stridii e baccano i carrelli che trasportavano il carbone. Fino al largo del fiordo la polvere nera aleggiava nell’aria per poi posarsi sulla neve formando una pellicola unta. Nei cunicoli delle miniere si faceva saltare la dinamite ventiquattro ore su...




