Kaygusuz | La risata del barbaro | E-Book | www2.sack.de
E-Book

E-Book, Italienisch, 176 Seiten

Reihe: Amazzoni

Kaygusuz La risata del barbaro


1. Auflage 2020
ISBN: 978-88-6243-437-9
Verlag: Voland
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

E-Book, Italienisch, 176 Seiten

Reihe: Amazzoni

ISBN: 978-88-6243-437-9
Verlag: Voland
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



All'Hotel Colomba Blu, sulle rive del Mar Egeo, l'idillio di un gruppo di vacanzieri è turbato da un evento singolare e disgustoso: una notte, tutta la biancheria dell'hotel viene sporcata. Da cosa, da chi? Uno sconosciuto? Un membro dello staff? Uno degli ospiti? L'indignazione si diffonde. Tra sospetti, accuse, insulti e ritorsioni, la scandalosa sfrontatezza del gesto serve a rivelare e a far emergere le tensioni, i conti in sospeso e i dolori più intimi... Tragicommedia dei tempi moderni, vincitore del premio Yunus Nadi, La risata del barbaro, con la sua folla di giovani innamorati, famiglie numerose, coppie sposate, anziane solitarie e una moltitudine di bambini, tratteggia con umorismo spericolato un affresco in miniatura dell'odierna Turchia, con le sue divisioni, violenze e ipocrisie.

Nata a Samsun nella regione del Mar Nero nel 1972, ha cominciato a pubblicare i primi racconti nel 1995, aggiudicandosi l'anno seguente il premio per giovani narratori Gençlik Kitabevi. I successivi romanzi, tradotti in varie lingue e acclamati dalla critica turca e internazionale, le sono valsi numerosi riconoscimenti, tra cui il Premio Balkanika 2009, il France-Turquie 2010 e il Friedrich-Rückert-Preis 2016. La risata del barbaro è il suo ultimo romanzo.
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IL CLITORIDE DAL LUNGO STRASCICO


Il mattino successivo, verso le sette, mentre un pesce spada nuotava sotto il molo sulle tracce di una leccia color cenere che migrava dal Mar Nero al Mediterraneo, Melih e Ismail aprirono gli occhi nello stesso istante, come se per magia avessero visto entrambi in sogno le iridi gialle del pesce. Si erano addormentati fianco a fianco sulle sdraio. Non si erano mossi dal molo e alle prime luci dell’alba, sentendo freddo, si erano infilati le magliette e avvolti negli asciugamani. Appena svegli, si guardarono l’un l’altro con gli occhi cisposi. Non dissero una parola delle loro schiene doloranti. Ancora non erano consapevoli di non aver lasciato il molo per obbedire a un imperativo interiore.

Dal molo alla spiaggia, dalla spiaggia al viottolo di ardesia, dal viottolo al prato, fino alle grandiose palme dai rami brillanti di rugiada, alle aiuole che circondavano i bungalow e all’uliveto che separava l’intera struttura dalla strada principale, ovunque era deserto. In mezzo al frinire ininterrotto delle cicale che si combinava al cinguettio degli uccelli, si distingueva vagamente il rumore dell’acqua. Sotto il sole cocente, il giardiniere ancora assonnato annaffiava il prato facendo roteare il tubo di gomma tra le mani. Nei suoi sogni, stava calpestando la terra bagnata. In quel momento, mentre era solo un corpo chiuso a ogni percezione, sentì un gemito che stimolò i suoi sensi. Era un gemito di donna.

D’improvviso gli odori iniziarono a cambiare.

Il giardiniere si drizzò di scatto. Si fece tutt’orecchi. Cercava di scoprire da quale bungalow provenisse il suono. La voce della donna cominciava con un profondo sospiro, poi con dolci gridolini completava il suo ciclo. Ora una donna rotolava negli occhi del giardiniere. Una donna nuda rotolava verso il giardiniere. Sfacciatamente incuriosito, si avvicinò al bungalow 14 scuotendo a caso il tubo di gomma. Adesso la voce era ovattata. Capendo di essersi allontanato dal suono tornò dov’era prima. Tese le orecchie, immobile. L’acqua che scorreva dal tubo aveva iniziato a scavare le aiuole. Il gemito intanto si intensificava. Dopo poco il giardiniere sentì delle urla sensuali. Più che gemiti sembravano un richiamo musicale. Le urla spezzate si fermavano un attimo per poi aumentare in maniera ritmata, d’un tratto si smorzavano per poi riprendere a crescere. Spargendo in cerchi l’acqua zampillante, il giardiniere andò sul retro del bungalow 14. Una donna lo afferrò per la vita. Il suo ventre toccava il ventre della donna. Stava per affondare la faccia nel seno di un’immagine senza volto. Inquieto, si guardò intorno. La voce della donna si era fatta squillante. Per non interrompere quel richiamo, senza fare il minimo rumore, il giardiniere si mise ad annaffiare il ginepro, che non ne aveva alcun bisogno. Si sforzava di attutire lo scroscio dell’acqua. Intanto il gemito che riecheggiava dalla finestra socchiusa del bagno lo colpì in volto. Senza volerlo ne fu turbato. La salivazione aumentò, la schiena si coprì di sudore. Sollevandosi appena sulle punte dei piedi cercò di guardare attraverso la finestra del bagno. Il getto del tubo tra le sue mani continuava senza sosta, le brache inzuppate. La voce della donna s’intrecciava al suono dell’acqua. Sembrava dire qualcosa. Probabilmente amooore, oppure ancooora. Il gemito cresceva d’intensità. Il giardiniere sfiorava la pelle di una canzone che si levava a tratti delicata, di colpo acuta, poi piangente e infine bramosa. Si guardò di nuovo intorno. Nel farlo si leccò le labbra. In una mano il tubo, nell’altra il pene, mentre annaffiava le pietre cominciò a toccarsi. Sul volto aveva un’espressione colma di gratitudine, si sentiva sul punto di svenire per quella gioia afferrata al volo. In quel momento vide una tartaruga che avanzava mordendo l’erba bagnata. Chiuse subito gli occhi, dentro di sé contemplava una donna indescrivibile. Con un rantolo sempre più profondo entrò in uno stato d’indifferenza. Non badava a nessun movimento, a nessuna ombra, a nessun avvertimento, nemmeno alla sua stessa apparenza. Pur udendo il rumore dei passi di qualcuno che scendeva in giardino, restò immerso nella passione solitaria del suo corpo che tremava di piacere. Gli avessero fatto “Bu!” nell’orecchio, non si sarebbe scomposto.

Un’ora dopo l’esplosione di piacere platealmente vissuta dal giardiniere, i tavoli del ristorante erano stati apparecchiati, il servizio della colazione cominciava. Gli ospiti si erano svegliati immemori dell’inconveniente che la sera prima li aveva consumati fino al midollo. Preparavano di nuovo le borse da spiaggia, i bambini correvano scappando via dalle madri. Melih e Ismail, che sul molo avevano abbracciato una vita da pirati, facevano colazione senza parlare, i piatti poggiati sulle ginocchia. I primi ad arrivare al ristorante furono i membri dell’appiccicosa famiglia partita in vacanza con l’intera progenie. Si sedettero uno di fianco all’altro, infastiditi dalla resistenza sul molo di Melih e Ismail che avevano scorto da lontano. Indossavano tutti lo stesso modello di ciabatte.

Poco dopo arrivò Simin, e poi Eda e Ufuk, che si sedettero al tavolo accanto al suo. Morivano entrambi di fame. Eda imboccava Ufuk con pane, burro e miele, Ufuk metteva il ghiaccio nel succo d’arancia di Eda. Ufuk osservava con interesse ogni movimento della compagna. Con la testa inclinata di lato le faceva l’occhiolino, continuava a corteggiarla in preda a un desiderio indomabile. Che un corpo così minuto potesse avere un tale appetito eccitava ulteriormente Ufuk. Per accordarsi al fascino naturale di Eda, si sforzava di farsi bello con mosse esagerate. “Quando faccio l’amore con te vado in confusione” cominciò a dire arrochendo la voce.

Eda lo prese come un complimento, si riempì la bocca di pane e miele e strizzò gli occhi per via della sottile luce che le colpiva il volto. “Perdi la testa, insomma.”

Ufuk allora si chinò in avanti. Voleva essere quanto più sincero possibile. “Non è proprio così, non so, è che a volte mi sento solo. Quando vieni, mi crolla addosso uno strano senso di separazione.”

“Come? Non capisco.”

“È difficile da spiegare... tu... è come se mi lasciassi. Sprofondi in un altro universo. Come se la tua bocca parlasse con qualcun altro. Vabbè, tesoro, poi te lo spiego meglio.”

Inghiottito rumorosamente il suo boccone, Eda si raddrizzò sulla sedia. “Visto che hai cominciato, continua.”

Ufuk appoggiò i gomiti sul tavolo e intrecciò le mani. La testa era incassata tra le spalle, al centro di un rifugio sicuro. Il frinire delle cicale cresceva a mano a mano che il sole si alzava, quindi si sforzò di parlare scandendo ogni parola. “Tu senti troppo. Non solo nella vagina, ma in tutto il corpo. Mi spiego? Io invece riesco a sentire soltanto nel pene. Mentre ti guardo, mi sembra che mi manchi qualcosa. Resto lì intontito a osservare esplodere i fuochi d’artificio... oppure, che so... È come se mi ritrovassi in mezzo a un’orchestra sinfonica. Il primo violino, dietro dieci archi, le percussioni, i fiati, da una parte l’arpa, in fondo i piatti. E a me non resta niente. A volte mi spaventa. Va bene, ho mentito, non a volte, sempre. Dentro di me dico: amore, ma non si può godere così tanto, ora basta, dài.”

Il volto di Eda era pietrificato. Rimase immobile, il bicchiere di tè in mano, senza bere né mangiare. “Quindi pensi che io finga? E, per di più, quando raggiungo l’orgasmo avvinghiata a te? Quindi ti estranei da quel momento di tenerezza per scrutarmi come un ignobile radiografo, è così?”

Mentre parlava Eda alzò a poco a poco la voce. Seduta al tavolo accanto, Simin aveva sollevato la testa e la guardava incuriosita. D’un tratto l’atmosfera si era fatta tesa.

Ufuk aggrottò le sopracciglia e l’ammonì con durezza. “Sono un uomo innamorato che si preoccupa per te. Scegli bene le parole che usi, per piacere.”

Eda diventava sempre più aggressiva. “Sono perfettamente consapevole di quello che dico. Scelgo con cura ogni parola. Tu invece perché non ti scegli un pensiero tuo? Vediamo cosa c’è all’origine di questa tua sensazione, riflettici su.”

“Ho capito... anche quest’argomento si complicherà senza rimedio. Partirai dalla cultura per arrivare alla civiltà maschile. Volevo solo sentirti dire quanto ti faccio godere, ma mi hai di nuovo messo in bocca altre parole.”

Eda si alzò, ripiegò una gamba sulla sedia e si riaccomodò, d’un tratto si era trasformata in una donna rotonda, tutta faccia. Non badava al tono della sua voce. “Nossignore, non te la cavi mica così. Nemmeno tu hai detto una cosa carina. La tua è gelosia bella e buona.”

“Ma quale gelosia, tesoro, non dire fesserie.”

“Dico sempre fesserie io, eh? O mi preghi di stare zitta, oppure, se non sto zitta, dico fesserie. Certo, essere geloso del corpo di una donna non ti si addice proprio.”

“Dài, ma perché dovrei essere geloso?”

“Sei risentito perché godo più di te. Tutto il mio corpo freme mentre facciamo l’amore. Il clitoride pulsa. Il seno diventa più sensibile. A volte, quando non riesco a controllare il respiro, ho i crampi ai piedi. Anche il culo viene solleticato, se vuoi saperlo! Passo da uno stato all’altro. Quando ti mordo la spalla ho la bocca allappata...”

“Abbassa la voce, per piacere, ti ascoltano tutti.”

“...i muscoli dello stomaco mi fanno male. Mentre guardo le vene sul tuo collo ingrossarsi mi sento il volto in fiamme. La bocca, la fica, l’ombelico, il sedere si bagnano. Il clitoride si lascia andare e scoppia a ridere! Poi i...



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