Jesi / Cavalletti | Germania segreta | E-Book | sack.de
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E-Book, Italienisch, 345 Seiten

Reihe: Figure

Jesi / Cavalletti Germania segreta


1. Auflage 2018
ISBN: 978-88-7452-736-6
Verlag: Nottetempo
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

E-Book, Italienisch, 345 Seiten

Reihe: Figure

ISBN: 978-88-7452-736-6
Verlag: Nottetempo
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



Germania segreta è il libro con cui Jesi inaugura, nel 1967, il suo originale cantiere di mitologo della modernità. Meditando sugli orrori del nazifascismo, egli affronta il problema della produzione di nuovi miti o delle rinascite, in forme distorte, delle immagini e dei racconti dell'antichità. Campo naturale d'indagine è la grande cultura tedesca fra Otto e Novecento: da Wagner a Mahler, da Nietzsche a Mann e Kafka, dall'Espressionismo a Brecht, Jesi esamina il rapporto inevitabile e complesso che l'artista intrattiene con un mito ormai estraneo a quel che un tempo era stato, ossia rivelazione gioiosa offerta alla coscienza collettiva. Nell'arte moderna, infatti, la fanciulla divina riappare nelle ambigue sembianze della femme fatale, la presenza opaca della morte domina l'immaginario della poesia mentre la città rivela una natura minacciosa e oppressiva. Accade allora che il poeta o il filosofo patiscano di persona, fino alla malattia, la loro vicinanza alle figure affascinanti e demoniache. In pagine che anticipano Cultura di destra, l'analisi di Jesi si sposta poi dalla malattia alla colpa: è il caso dei teorici nazisti, divulgatori di un mito germanico posticcio, di immagini ipnotiche e mortifere. Con un'introduzione di Andrea Cavalletti

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Mitologia e giustizia


di Andrea Cavalletti

1. All’inizio di maggio del 1965, Károly Kerényi appone a una copia del suo ultimo articolo, “Nietzsche zwischen Literatur- und Religionsgeschichte” (“Nietzsche fra storia della letteratura e storia della religione”) la dedica singolare: “A Furio Jesi, per distoglierlo dal progetto ciclopico non realizzabile con giustizia [Gerechtigkeit]”1.

Il giovane studioso torinese con cui era in contatto epistolare da ormai un anno, ma che lo considerava il proprio maestro “sin dall’adolescenza”2, gli aveva appena inviato insieme a una breve lettera di presentazione il primo paragrafo di un libro che intendeva “intitolare Germania segreta” e che era “destinato a studiare le sopravvivenze di talune immagini mitiche nella cultura tedesca del XIX e del XX secolo”3. Le quattro cartelle dattiloscritte costituivano una “sorta di iniziale ‘dichiarazione programmatica’” che sarà poi stralciata dalla stesura definitiva, ma che conteneva alcuni concetti destinati a ricomparirvi, ripensati, o anche del tutto stravolti, in una nuova e ben diversa composizione.

Gli avvenimenti degli ultimi cinquant’anni [scriveva allora Jesi] hanno sottolineato con drammatica evidenza la necessità di prendere posizione nettamente dinanzi a ciò che si definisce germanesimo, e la scelta che cosí si propone a tutti gli uomini coscienti è innanzitutto una scelta morale […]. Ma proprio la Seconda Guerra Mondiale, con l’eccesso dei suoi orrori […] ci ha dolorosamente insegnato ad andar piú cauti. Quando le colpe si fanno cosí grandi ed il mondo è cosí ampiamente e profondamente sconvolto, anche i criteri morali sono piú difficili da applicare con rigore4.

Dopo aver ricordato che “una delle ultime grandi liriche di Stefan George è intitolata Geheimes Deutschland, ‘Germania segreta’”, che la stessa espressione torna “nel discorso ‘Hölderlin und die Deutschen’ di Norbert von Hellingrath” a designare “quell’anima tedesca, celata e travisata, cui Hölderlin volle attribuire la missione d’una rinascenza della grandezza della civiltà classica”, e infine che le ultime parole dell’attentatore di Hitler, Claus von Stauffenberg, furono appunto “Es lebe das geheime Deutschland”, Jesi precisava che se tali ricorrenze nutrissero

la conclusione e non l’inizio del nostro discorso saremmo forse accusati di simpatie o almeno di illusioni nei confronti d’un substrato germanico che può facilmente confondersi con il germanesimo dei seguaci di Hitler. Germania segreta è per noi il simbolo di ciò che in Faust resta umano anche dopo il patto con Mefistofele; di quegli abissi della psiche umana in cui dio di amore e demone del male sono nomi senza significato, vuoti e arbitrari termini di un linguaggio non appropriato. Il mistero che il nostro “modello” della psiche umana colloca di là dalla coscienza simboleggia una perenne riserva di realtà e di immagini dalle quali l’uomo può essere sopraffatto. Tale sopraffazione non è suscettibile di limitazioni da parte della volontà cosciente, e dunque di per se stessa si colloca al di fuori di una morale della responsabilità. Responsabile è unicamente il comportamento di chi, dinanzi all’affiorare delle immagini dell’inconscio, le accoglie lietamente, senza sofferenza e incertezze, quali determinanti delle sue azioni, o addirittura quali oggetti di devozione.

Ma una morale fondata sulla responsabilità non è la sola concepibile. Se ciò che affiora dall’inconscio con il suo predominio conduce a idolatrare la morte, è giusto che la comunità degli uomini condanni chi ne subisce involontariamente il possesso. Ciò che egli fa è male: non male metafisico, ma danno per i suoi simili, attentato alla loro sopravvivenza.

Ridotta cosí la morale ad una morale pratica, quale può essere l’atteggiamento nei confronti di chi accoglie entro di sé quelle immagini di morte, pur non giungendo a procurare la morte? Fin tanto che egli non interviene nell’azione omicida, egli è moralmente innocente?…5

In quei giorni Kerényi aveva potuto rispondere solo con l’invio dell’articolo e la “dedica forse d’oracolo”; ma avrebbe scritto di nuovo, e già il 17 maggio, per spiegare meglio le proprie riserve:

Innanzitutto ho voluto richiamare l’attenzione sui problemi psicologici insoluti, la soluzione dei quali sarebbe necessaria per un giudizio obbiettivo dell’influsso tedesco nei secoli XIX-XX. Nietzsche appartiene ai piú influenti tedeschi della storia dello spirito. Egli era però, fin da una determinata epoca, l’indisciplinato piú influente, un pazzo, e dove inizia il pazzo, là la qualità di “tedesco” retrocede a quella di “malato”. Lo stesso Hitler, tra i primi, appartiene a quelli completamente abbrutiti dall’alienazione mentale. Tuttavia non si può mettere insieme Nietzsche con l’altro nello stesso momento – oppure sí, se pensiamo al patologico?6

Riferendosi poi ancora ai nomi evocati da Jesi e alla posizione di Thomas Mann, definito, in termini problematici, “devoto contemplatore delle immagini di morte che affioravano affascinanti dalla sua psiche, e insieme cosciente dei pericoli in esse riposti, avversario dichiarato di coloro che da quelle immagini vollero derivare una norma di comportamento”, egli aggiungeva:

Il confronto e la contrapposizione presentano enormi difficoltà. Lukács a fianco di Thomas Mann, che nel suo Naphta lo ritrae come il gesuita comunista e che gli attribuisce cosí, in quanto figura di romanzo, una dignità superiore a quella che gli compete, non è tedesco. Gottfried Benn non dista tanto da Goebbels, quanto Frobenius da Rosenberg. Di fronte al grande etnologo è già un’ingiustizia [Ungerechtigkeit] nominare questi due tutti d’un fiato […]. Thomas Mann come “devoto contemplatore delle immagini di morte”? Di ciò egli è stato incolpato principalmente dai critici nazionalisti dopo la pubblicazione della Montagna incantata e non ebbe che da far notare che in quel romanzo egli tratta con ironia persino la morte, cosa che gli procurò il risentimento di altri. Si devono leggere i due volumi delle sue lettere (soltanto questo è stato pubblicato della sua corrispondenza comune) per ricordarsi dei malintesi, che si ammucchiano di continuo intorno a lui. E di Rilke e del suo rapporto con la morte? Non ho bisogno davvero di ricordarGlielo!7

2. Il 18 febbraio dello stesso anno, Jesi aveva redatto per l’editore Silva uno schema di Germania segreta. Miti nella cultura tedesca del ’900, prevedendo un volume di “circa 200 pagine” da completare in “un anno di lavoro”, e suddividendolo in tre sezioni o, potremmo dire, scandendo in tre movimenti l’intero sviluppo concettuale. Il primo (che richiama nel titolo, unendoli idealmente a quelli di Kerényi, gli studi di Frobenius, di Propp e di Warburg) doveva essere dedicato alla Morfologia della sopravvivenza di tre motivi mitici fondamentali: “donna”, “città” e “ombra”. Si trattava innanzitutto di esaminare la vita postuma, dunque le reversioni o le distorsioni subite dall’immagine dell’antica kore, dalla fanciulla divina, la vergine mitica rinata nella letteratura e nelle arti figurative tedesche come una creatura ibrida, umana e animale o vegetale, ambiguamente infera (la Lulu di Frank Wedekind) o “mostruosamente deformata”. Il “motivo” della città era invece inteso quale simbolo della risoluzione, in chiave mitologica, dei problemi collettivi e sociali: la città espressionista, la cupa metropoli borghese a cui fanno ritorno i reduci della Prima Guerra, spazio vissuto nell’isolamento dalla genuinità del mito o – e per Jesi le due cose coincidono – nell’impossibilità di un’autentica vita collettiva; luogo, dunque, di una comunità ristretta e autonoma, organizzata intorno agli interessi del singolo, la cui difesa conduce – osserva Jesi in termini che non potrebbero suonare piú attuali – “a un’esasperazione del rinchiudersi entro cinte di mura, dinanzi al minaccioso avanzare delle forze sempre escluse dal microcosmo ‘sereno’, e in corrispondenza con l’intrinseco indebolirsi delle difese interne di quel microcosmo”8. Si tratta della città infera e supera, e delle sue metamorfosi, che corrispondono, nelle “rivoluzioni e in particolare [nello] Spartachismo”, alle mutazioni del rapporto col mito: “da campo trincerato borghese [la città diviene] luogo di battaglia contro la borghesia”9. Al piano sociale corrisponde d’altro canto il rapporto individuale col mito, che per Jesi si riflette nell’“ombra” di sé o nel simbolo del doppio, dell’altro, e cosí rimanda di nuovo, in uno schema coerentemente conchiuso, alla sua “proiezione esterna […] e cioè all’immagine della ‘donna’”10.

Nel secondo movimento, Jesi avrebbe invece tematizzato i Rapporti fra sopravvivenze letterarie e indagini scientifiche sui motivi mitici. Dovevano essere in tal senso indagate le diverse modalità di conoscenza del mito, esoteriche o filologiche, e le loro relazioni col novero delle arti. Si trattava di analizzare le opere degli autori della grande destra, Stefan George, Ludwig Klages, Oswald Spengler, ma anche (come Jesi farà effettivamente nel penultimo capitolo) la produzione dei teorici nazisti, e infine di Leo Frobenius in probabile opposizione a Kerényi, e di Kerényi in opposizione a Martin Heidegger. Questa riflessione sul sapere mitologico avrebbe condotto a riconoscere e descrivere, in un terzo e ultimo movimento, Le due...



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