Jatta | Foglie sparse | E-Book | www2.sack.de
E-Book

E-Book, Italienisch, 224 Seiten

Reihe: Amazzoni

Jatta Foglie sparse


1. Auflage 2022
ISBN: 978-88-6243-493-5
Verlag: Voland
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

E-Book, Italienisch, 224 Seiten

Reihe: Amazzoni

ISBN: 978-88-6243-493-5
Verlag: Voland
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



La rivoluzione d'ottobre raccontata attraverso gli occhi increduli di una nobile moscovita che vede crollare in un istante tutto il suo mondo. E la sua determinazione nel cercare di salvare, nel disastro, almeno la famiglia e la dignità. L'autrice ci fa rivivere in una prospettiva inusuale alcuni drammatici momenti della storia russa del secolo scorso, mostrando senza veli i pensieri e le preoccupazioni di un'intera classe sociale nel momento del suo declino. Una storia vera, in cui l'utilizzo di foto, diari e documenti degli antenati diretti di Alessandra Jatta offre un valore aggiunto a una narrazione che lascia con il fiato sospeso.

È nata a Roma nel 1960. Laureata alla Sapienza in Storia dell'Europa orientale, e alla Sorbonne in Letteratura francese, ha vissuto all'estero per diversi anni lavorando come traduttrice,interprete, giornalista e organizzatrice di eventi. Ha due figli, vive attualmente a Roma. Foglie sparse è il suo primo romanzo.
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II


Parassiti del popolo! Parassiti del popolo!

Le urla sentite echeggiare per le strade di Mosca durante l’inverno erano tornate a tenerla sveglia e continuavano a risuonarle nella mente impedendole di dormire: più forti del canto delle raganelle nel lago di fronte alla villa, più ripetitive delle serenate delle cicale nelle praterie di Eršovo, più spaventose degli ululati dei lupi in lontananza.

Quella notte si era girata e rigirata nel letto sperando di cacciarle via, ma più tentava di dimenticarle, più immagini dolorose riaffioravano a tormentarla.

Nel dormiveglia, si era figurata la sorella nell’usad’ba dei Volkonskij a Skovorodino. Era passato già un mese dalla sua morte. Non l’aveva potuta salutare e forse proprio per questo nei suoi sogni la realtà si mescolava alla più torbida delle fantasie: avanzava nel buio con gli occhi sbarrati, la camicia da notte impregnata di sangue, mentre le urlava parole terribili:

“Scappa Olga! Scappa, prima che sia troppo tardi anche per te...”

Si sente di nuovo soffocare. Serra le palpebre, scaccia il ricordo, deve smetterla di pensare ai morti. Riapre gli occhi decisa a non farsi più suggestionare da pensieri insidiosi, risoluta a concentrarsi sul bene dei figli. Solo loro riescono a non accorgersi di quanto siano cambiate le cose persino in campagna. Adorano correre lungo il viale di sabbia gialla che porta alla villa, su per i prati verdi fino all’orto, dove trovano sempre fragole e lamponi da raccogliere e carotine appena spuntate che poi mangiano lì sul posto dopo averle pulite alla meno peggio, con le mani ancora sporche di terra. Ci sono anche dei meli, il suolo intorno è cosparso di quei frutti deliziosi.

A sinistra dell’orto il parco, poi i boschi. In fondo al viale un abete, che le bambine chiamano urang utang per la sua forma sgraziata che sovrasta tutti gli altri. Poco più avanti l’isba in miniatura che la nonna ha fatto costruire anni prima per i due figli. Le piccole Olsufiev ci si nascondono seguendo Aleksandra, la maggiore, che tutti in famiglia chiamano Assia, leader indiscussa di quel gruppetto di ninfe. Entrandovi vengono avvolte da un odore di muschio, muffa e legno marcio che è per loro l’essenza stessa delle vacanze estive.

Più in là il lago, il ponticello di legno, l’isoletta al centro. In fondo il villaggio di Eršovo, la chiesa bianca, i contadini che lavorano nei campi. Anche dietro alla villa c’è un grande prato con alberi giganteschi e scoiattoli che si rincorrono squittendo. In fondo un cancello e poi la strada, d’estate sempre ricoperta di un viscido strato di fango, foglie e pozzanghere, che da una parte porta al villaggio, dall’altra alla cittadina di Zvenigorod. Lì accanto il pollaio, dal quale i bambini si tengono alla larga per non dover assistere alla macabra danza degli animali che il cuoco decapita con un grosso coltello. Ancora più avanti la fattoria e le scuderie: luoghi di assoluta delizia per i bambini, lontani dall’etichetta, dove il cocchiere Igor, quando è di buon umore, li fa montare senza sella.

– Piano, mi raccomando. Attenti! – li avverte mentre loro ridono di cuore; adorano cavalcare a pelo come veri figli di mužiki. Si fanno beffe delle paure del cocchiere. Non capiscono che se cadessero per lui sarebbe la fine. Intuiscono però di essere preziosi, molto più degli altri bambini del villaggio, che non osano avvicinarsi alla villa.

Li osservano da lontano e li invidiano.

I piccoli Olsufiev aspettano trepidanti l’arrivo delle piogge di fine estate, perché sanno che dopo qualche giorno, tra le foglie sotto gli alberi, spunteranno i primi funghi.

Anche quell’anno era stato così, e avevano deciso che quello sarebbe stato il giorno perfetto per la gara della loro raccolta, ma nel trambusto generale Olga se n’era dimenticata. Le grida dei bambini le giungono sempre più forti. Ogni volta che trovano un porcino dal bianco gambo sodo, emettono gridolini di felicità. Le njanje tutt’intorno cantano.

Ah boschi, boschi impervi

voi boschi, boschi bui

alzatevi e apritevi

tremate e cadete.

Di voi farò chiese altissime

altissime e grandissime...

Attirata da quei canti gioiosi, Olga si affaccia ancora una volta dalla grande finestra e si rasserena all’istante.

Per prima distingue Assia, la bimba è abilissima nel raccogliere bacche, fiori e funghi di ogni forma e colore. Sa scorgerli sotto le foglie inumidite, là dove tanti sono già passati senza notarli. Un ramoscello spezzato in modo innaturale, un riflesso della luce o anche soltanto l’odore della terra appena smossa bastano a farle capire che proprio lì si nasconde un porcino che farà la felicità del palato della nonna.

– Eccone un altro! State attenti a dove mettete i piedi, ce ne sono dappertutto! – grida raggiante.

È molto più veloce delle tre sorelle minori a scovare anche i finferli dalle tenerissime creste giallognole, che spuntano da sotto il muschio in gruppetti all’apparenza disordinati e che invece rispondono a un ordine naturale che lei riconosce d’istinto. Ha cercato di spiegarlo senza grandi risultati al fratellino Aleksej, un putto biondo di appena quattro anni circondato dalle attenzioni di tutta la servitù. L’ultimo nato, erede indiscusso del titolo di quarto conte Olsufiev, deve essere sempre guardato a vista. Questi gli ordini perentori della contessa madre, a cui nessuno osa disobbedire, pena provvedimenti severi.

I piccoli Olsufiev in ordine di età intorno al 1918.

Assia ha già raccolto una gran quantità di funghi e corre felice tra gli alberi con una coroncina di fiori selvatici posata sulle trecce attorcigliate intorno alle orecchie. Occhi verdi vispi come quelli di un elfo, il piglio autoritario della madre, addolcito però da quello delicato della nonna Aleksandra, che le ha promesso un regalo se riempirà per prima il cestino. Lei è certa di ottenere l’ambito premio, forse un ciondolo, lo aggancerà assieme agli altri nel braccialetto d’oro che ogni anno si arricchisce di nuovi ninnoli. Si tratta quasi sempre di ovetti preziosi di squisita fattura: lapislazzuli dai riflessi dorati, malachiti dalle mille sfumature verdastre, ambre siberiane nelle cui trasparenze s’intravedono fossili rari, smalti variopinti.

Ragazza russa con kokošnik. Opera di Pietro Antonio Rotari (1707-1762).

Il gusto sopraffino della nonna paterna è noto, così com’è risaputo che adora la nipotina, e non soltanto perché portano lo stesso nome.

– Assin’ka, duška, fammi vedere quanti ne hai colti – le dice chinandosi sul suo visetto, tanto simile ai ritratti delle loro antenate nella galleria del pianterreno.

La nonna è affezionata in modo particolare a quello di Pietro Rotari, il pittore italiano che nel ’700 ha dipinto le più graziose dame di corte dell’imperatrice Elizaveta. È il volto di una fanciulla dall’incarnato quasi trasparente, tant’è chiaro, e il contrasto con le gote arrossate e il kokošnik, il copricapo purpureo poggiato tra i capelli, è di certo opera di un grande artista. Assia in quel momento ha la stessa espressione del ritratto: una bambina spensierata di undici anni ancora ignara di quanto le riserverà il futuro.

Babuška, ho vinto! Che ve ne pare? – esclama felice mostrandole il contenuto del cesto.

Se ne sta lì col fiato sospeso, gli occhi spalancati, in attesa del verdetto finale.

– Bravissima, piccola mia! Ero sicura che avresti vinto tu: Mašik si è stancata di raccogliere funghi e si è messa come al solito a leggere un libro di poesie, Daria è distratta dalle storie di famiglia che Keta le racconta, sebbene le conosca a memoria, Olly piange dietro a un albero perché il suo cestino è vuoto e il piccolo Aleksej, be’, inutile pensare che un marinaretto come lui possa trovare anche un solo porcino. Ecco il tuo premio!

L’anziana signora estrae dal cassetto del tavolino di fronte a lei una scatola di lacca nera con dipinti tre cavalli dalle criniere al vento.

– Grazie, babuška!

– Aprila, cara.

Dentro la scatola di Palech Assia trova un pacchetto avvolto in carta dorata, riconosce subito la confezione della Maison Fabergé. Ha un sussulto. Lo apre e un piccolo zaffiro cabochon, simile per forma e dimensioni a un uovo di rondine, brilla tra le sue mani. Un nastrino d’oro incastonato alla pietra lo avvolge parzialmente, terminando in un fiocchetto che funge da gancio. Sopra, l’orafo più famoso dell’impero vi ha inciso, in caratteri latini, il nome della bambina e la sua data di nascita nei due calendari: l’italiano e il russo, quest’ultimo arretrato di tredici giorni.

Assia – Firenze 2/15 maggio 1906.

Come la nonna riesca a procurarsi simili meraviglie anche in tempo di guerra rimane per tutti un vero mistero.

– Oh, babuška, vi siete ricordata che mi mancava proprio quello azzurro! – esclama in un italiano perfetto, così da renderla felice.

Gli occhi della nonna si illuminano all’istante e la guardano con dolcezza.

– Ah, l’Italia, – dice anche lei con un forte accento russo – vedrai che proprio grazie a questo paese diventerai un giorno una grande artista, ne sono certa. Ecco perché ho incoraggiato i tuoi genitori a comprare la casa di Firenze...

Assia le sorride: – Lo so, babuška, lo so.

– Ricordati, duška, anima mia, che già a fine ’700 vari membri della nostra...



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