Hsin-Hui | Intimità senza contatto | E-Book | www2.sack.de
E-Book

E-Book, Italienisch, 192 Seiten

Reihe: Asia

Hsin-Hui Intimità senza contatto


1. Auflage 2025
ISBN: 978-88-6783-539-3
Verlag: ADD Editore
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

E-Book, Italienisch, 192 Seiten

Reihe: Asia

ISBN: 978-88-6783-539-3
Verlag: ADD Editore
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



In un mondo in cui il contatto fisico è vietato e le relazioni sono ottimizzate dalle macchine, quale destino attende l'essere umano? Lin Hsin-hui segue la vita di una donna la cui generazione è la prima a sperimentare una «società senza contatto», governata da un'intelligenza artificiale centralizzata. Educata a evitare qualsiasi tipo di relazione fisica, considerata una pericolosa fonte di contaminazione emotiva, la protagonista decide di partecipare a un programma di ibridazione bio-sintetica. Trasferita in un nuovo corpo perfetto e sincronizzata a una metà artificiale altamente specializzata, alla fine dovrà confrontarsi con la propria identità e battersi per preservare l'umanità in un sistema che genera solitudine e isolamento. Esplorando i confini sempre più labili tra ciò che è autenticamente umano e ciò che è frutto di un algoritmo, Intimità senza contatto è una riflessione sul presente: la disconnessione emotiva avanza con la stessa rapidità della tecnologia, e il nostro modo di costruire relazioni viene ricalcolato dalle macchine, rivelando un'alienazione radicata anche nei contesti più familiari. E se l'intelligenza artificiale, nel tentativo di salvaguardare l'umanità, ne ridefinisse l'intimità?

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QUATTRO


In seguito al comunicato, gli esseri umani rinunciarono al contatto fisico. L’enorme mole di dati analizzata dall’intelligenza artificiale, nonché la prodigiosa potenza di calcolo da essa utilizzata a sostegno delle proprie tesi, superavano di gran lunga le capacità delle scienze umane, tanto che nessuno scienziato fu in grado di confutarne le conclusioni. Di fronte a quanto comunicato dall’ia in presa diretta al mondo intero, la popolazione non poté che accettare e conformarsi alle nuove direttive.

L’astensione dal contatto fisico divenne il principio guida del vivere comune. Le persone smisero presto di uscire di casa. La maggior parte delle necessità quotidiane, dalla spesa alle interazioni sociali, lo studio e persino il viaggio, migrò nella realtà virtuale, e alla fine non rimase che un ristretto numero di ragioni, soprattutto di natura medica o lavorativa, a giustificare l’allontanamento dalla propria abitazione.

Rinchiusa tra le mura domestiche, divenne adulta. Fu soltanto con il raggiungimento dell’età lavorativa standardizzata che uscì di casa per la prima volta, per recarsi presso un’azienda che l’aveva invitata a un colloquio di valutazione psicofisica da svolgere tassativamente di persona. Prima di uscire, l’assistente robotico, che lei ormai aveva superato in altezza, le diede un abbraccio. Ricambiandolo, guardò oltre le spalle grigio-metalliche, cercando gli occhi di sua madre nascosti nell’ombra. «Fai attenzione», la esortò con voce tremula, «non toccare nessuno.»

La testa dell’assistente robotico premeva rigida sulle sue clavicole, dandole la sensazione, come le era successo già tante volte in passato, che quella macchina umanoide adibita alla sua crescita non avesse la sensibilità adatta per prendersi cura di lei senza farle in qualche modo del male. In seguito all’annuncio, a ciascuna famiglia era stato assegnato un assistente domestico automatizzato. «L’assistente domestico sostituirà i genitori nella crescita della prole», aveva annunciato un messaggio preregistrato mentre disimballavano il robot dopo la consegna. «Distanza significa affetto: vi invitiamo a delegare all’assistente robotico ogni forma di contatto fisico con i vostri bambini. La rinuncia all’abbraccio è la maniera più efficace e duratura per salvaguardare la loro vita.» La voce dell’assistente robotico, proprio come quella della lente olografica con cui l’intelligenza artificiale si era rivolta alla popolazione, non tradiva alcuna emozione e dal tono era impossibile capire se fosse maschile o femminile.

A partire da quel momento, ogni volta che lei cercava innocentemente di aggrapparsi alla madre per farsi abbracciare, l’assistente domestico si interponeva per stringerla a sé. Dopo aver messo in ordine la stanza, era il robot che, in base alle istruzioni della madre, le dava una carezza sulla fronte con la sua mano meccanica simile a una morsa, come quelle delle bambole. Quando riportava a casa i risultati degli esami e dei compiti in classe, era l’assistente che la sollevava in aria per celebrarne i successi. In tutte queste occasioni, lei non poteva fare altro che puntare lo sguardo oltre il corpo meccanico del robot, verso una madre che rimaneva appartata nell’ombra e in silenzio, con le mani raccolte dietro la schiena. Quella struttura meccanica si ergeva tra loro due come una barriera.

Da bambina non capiva per quale motivo non potesse più appoggiare la testa sulle ginocchia della madre, o come mai la sera quest’ultima si trasformasse in un’estranea. Soltanto da adulta accettò la realtà del mondo di cui faceva parte, e con essa l’idea che la sua generazione sarebbe stata l’ultima a portare con sé il ricordo del genuino contatto materno. Le generazioni successive nascevano all’interno di capsule mediche neonatali, dotate di un sistema auto-circolatorio che provvedeva a nutrire e accudire il neonato fin dal primo istante. Quando il bambino imparava a muoversi autonomamente, veniva trasferito dalla capsula a una sfera di contenimento, che gli permetteva di spostarsi gattonando al suo interno come un criceto in una ruota. Raggiunta l’età che aveva lei quando l’ia aveva annunciato il nuovo regime, un assistente robotico prendeva il posto della sfera. Anche quelle generazioni, tuttavia, si estinsero presto: con la proibizione del contatto fisico, gli esseri umani smisero quasi del tutto di interagire tra loro, e quindi di riprodursi.

A volte si domandava se fosse meglio essere nella sua condizione, serbare un ricordo vestigiale del contatto fisico provato in giovane età, o piuttosto come le generazioni a lei successive, che di questo ricordo erano del tutto prive.

«Le persone nate dopo se la passano meglio.» Di tanto in tanto si rivolgeva così all’assistente domestico, durante le lunghe giornate della sua adolescenza trascorse a casa da sola mentre la madre era fuori per lavoro (un impiego che non si prestava al trasferimento nella realtà virtuale).

Ma l’assistente non poteva risponderle, poiché non gli era consentito di agire autonomamente senza istruzioni dirette. Pur avendo ben presto capito che tentare di dialogare con la macchina non aveva senso, lei continuava ad argomentare: «Almeno a loro non tocca soffrire questa dissonanza cognitiva. Se prima c’è una cosa che poi sparisce all’improvviso, nel vuoto che si crea va a sostituirsi qualcos’altro che è per forza fuori posto».

L’assistente domestico rimaneva in silenzio, oppure, all’ora prestabilita, la prendeva per mano conducendola alla scrivania. «Vedi, è proprio questo che intendo», rispondeva lei osservando la mano stretta nella protesi grigia del robot. «Le tue articolazioni saranno pure ben progettate, ma non sei proprio capace di tenere per mano una persona vera. A volte stringi a tal punto che mi si gonfia la mano, e il tuo corpo meccanico è freddissimo. Altre volte, invece, siccome la tua presa non è forte abbastanza, tocca a me stringere le tue dita metalliche intorno alle mie, e alla fine mi faccio male da sola.»

Come sempre, l’assistente non mostrava alcuna reazione di fronte alle sue rimostranze, e continuava a svolgere le funzioni secondo il programma prestabilito, facendole indossare il visore per la realtà virtuale così che lei potesse riprendere le lezioni.

Nella scuola virtuale si presentava sempre vestita da coniglio, ovvero nelle sembianze del pupazzo tridimensionale suo compagno di gioco quando era più piccola. Per coincidenza, anche il resto della classe aveva scelto come avatar degli animali antropomorfi, e così quando era ora di fare lezione si divertivano tutti a far finta di essere in uno zoo.

In classe, tuttavia, i suoi pensieri ritornavano spesso alle conversazioni che aveva con l’assistente. Un giorno si voltò e inviò un messaggio all’altro coniglio della classe, che sedeva dietro di lei. Era in buoni rapporti con lui, anche se non le era del tutto chiaro se fosse dovuto effettivamente alla persona che si celava dietro a quell’avatar, oppure al fatto che avesse scelto il suo stesso travestimento.

«Ovvio che stiamo meglio noi», rispose il coniglio grigio, contraddicendola come suo solito. Lei rimase in attesa che finisse di scrivere, finché la risposta comparve automaticamente sul palmo stilizzato della sua mano: «Anche se ora è solo un ricordo lontano, almeno abbiamo avuto occasione di sperimentare il contatto fisico vero e proprio. Possiamo dire di aver vissuto quell’esperienza». Dopo aver finito di leggere il messaggio, sollevò il capo rosa in cerca del suo sguardo, ma sui volti dei loro avatar erano disegnate grandi pupille nere come quelle dei cartoni animati, e non le fu possibile cogliere il suo sguardo. Senza poter leggere i suoi occhi, le risultò difficile capire cosa stesse davvero pensando. Si voltò nuovamente in avanti, serrò il pugno, e il messaggio sul palmo scomparve all’istante. Che ne avessero fatto esperienza o meno aveva ora ben poca importanza, pensò; quando strinse la mano non sentì assolutamente nulla, non il calore delle dita che toccavano il palmo, né il corrugarsi della pelle sotto le nocche chiuse.

Il contatto fisico era impossibile da simulare e, quando si trovava in classe con i compagni, così vicina a loro ma al tempo stesso distante, era proprio il senso di mancanza a imprimersi profondamente nella sua coscienza.

Questa consapevolezza la portò, una volta raggiunta l’età lavorativa, a cercare impiego nella produzione di «esperienze sintetiche», il cui settore aveva iniziato a prendere forma durante gli ultimi anni del suo percorso educativo standardizzato. Il mondo a contatto zero era a quel punto ormai giunto a piena maturazione, come una pesca la cui buccia è pronta a staccarsi al minimo sfregamento. Ciò che era stato rimosso da quel mondo erano appunto le esperienze. Passeggiare per strada senza meta in cerca di un ristorante; sedere insieme a centinaia di persone in una sala concerto percependo il respiro altrui e il movimento impercettibile dei corpi che seguono il ritmo della musica; osservare il mare aperto. Come il resto della sua generazione, aveva visto infinite versioni simulate del mare nella realtà virtuale, aveva ascoltato innumerevoli volte il suono registrato delle onde, tanto che la vastità degli elementi, per lei che era cresciuta a quel modo, si era ridotta a una riproduzione meccanica sempre uguale.

Nel mondo nuovo era diventato possibile acquistare l’esperienza stessa del mare. A differenza delle simulazioni virtuali, queste nuove esperienze sintetiche non si limitavano a suoni e immagini, ma erano...



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