Grossi | Mercoledì ti ucciderò | E-Book | www2.sack.de
E-Book

E-Book, Italienisch, Band 30, 311 Seiten

Reihe: Calibro 9

Grossi Mercoledì ti ucciderò


1. Auflage 2024
ISBN: 979-12-80845-83-2
Verlag: Laurana Editore
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

E-Book, Italienisch, Band 30, 311 Seiten

Reihe: Calibro 9

ISBN: 979-12-80845-83-2
Verlag: Laurana Editore
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



È la torrida estate del 2022. Dalla finestra che affaccia sul giardino di Villa De Fabbris appare una scena raccapricciante: una figura avvolta nell'ombra sta trascinando sull'erba il corpo senza vita di Valentina, come fosse una bambola rotta. L'opinione pubblica si scaglia immediatamente contro il marito, Mauro, personaggio inquieto e incapace di tessere relazioni sociali durature. A cercare di far luce sul mistero della morte violenta di Valentina è un gruppo di donne agguerrite e pronte a tutto perché la verità venga a galla. Tuttavia, il caso si trasforma ben presto, per ognuna di loro, in un vero e proprio ciclone capace di spezzare gli equilibri relazionali e familiari apparentemente più solidi. Nel frattempo, chiuso in cella, Mauro segue il processo mediatico a suo carico in un silenzio ostinato, mentre dal passato riemerge il fantasma di una vicenda mai chiarita che lo coinvolge insieme ad alcuni suoi vecchi amici. Sullo sfondo, una società che vorrebbe correre più forte, ma che troppo spesso lo fa a zig-zag, inciampando sempre nel male dell'indifferenza.

Silvia Grossi (Pavia, 1973), antropologa ed etnografa, è autrice del romanzo L'ultimo respiro del sole (Laurana Editore), insignito del Premio Speciale Fontamara al XXV Premio Internazionale Ignazio Silone 2022 e Finalista al Premio Demetra dell'Elba Book Festival 2022. Ha pubblicato numerosi saggi, tra i quali: Polvere e sangue a Kathmandu e C'è il mare in città (Primiceri Editore, Padova, 2016, 2019). Ha, inoltre, tradotto grandi classici della filosofia e dell'antropologia. Collabora con riviste nazionali di viaggi e cultura e con Enti di cooperazione internazionale. Mercoledì ti ucciderò è il suo primo romanzo giallo.
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Anna


(e non solo Anna)


Anna Inglesi, nel duplice ruolo di legale di parte civile e di amica di Valentina, sta facendo scorrere i messaggi a uno a uno, velocemente, sotto il proprio indice. Scritti, vocali, che non ha ancora avuto il coraggio di riascoltare, perché la voce di qualcuno che manca all’improvviso è la più dolorosa delle prove. Sotto il dito, che passa sullo schermo dall’alto in basso con gesto regolare e ritmato, appaiono anche immagini, video di un’esistenza che adesso le sembra essere lontana anni luce.

Ma perché, lei che si ritiene da sempre più solida, più intelligente, più equilibrata di molte altre donne, alla fine non ha saputo conservare quella relazione di amicizia con Valentina?

La domanda le tamburella in testa da giorni e rischia di spaccarle in due il cranio. Il dolore che le provoca è reale e pulsante, continuativo.

L’ascensore si ferma al piano. Anna ripone il telefono nella tasca davanti della valigetta ventiquattrore e muove due passi verso la porta d’ingresso del suo appartamento, situato in un edificio moderno costruito con forme geometriche inusuali, a pochi metri dal fiume. Il pianerottolo, allestito a pianta circolare con un bel salottino di pelle rossa, oggi è una sauna, con quelle vetrate che lo circondano e lo rendono simile a un acquario tropicale d’estate e a un frigorifero d’inverno.

La chiave non ruota come dovrebbe nella serratura perché dall’interno ne è già stata infilata un’altra. Allora si aggrappa al campanello, pigiando con nervosismo quello stesso indice che poco prima aveva fatto scorrere sullo schermo del telefono la sua vita con Vale, e che le serve, ora, per rientrare, possibilmente al più presto, fra le sue cose, nel presente, al riparo dai fantasmi del passato. In risposta allo scampanellio, le giunge un vociare che si somma a una musica rap assordante. Un ciabattare strisciante si ferma al di là della porta blindata. Il chiavistello ruota e la porta d’ingresso finalmente si apre, di fronte a una ragazzina con una birra nella mano destra e un libro d’arte aperto nella mano sinistra, sul quale lo sguardo resta sempre incollato.

“Ciao, mamma-di-Marina”, dice la ragazza, senza guardare Anna, ma continuando a leggere e dietreggiando come i gamberi per lasciarla entrare nel corridoio.

“Ciao, Aurora. Cosa state facendo? C’è un baccano infernale!”

“Stiamo studiando”, risponde candidamente. Frangiona, capelli lunghi e mossi, top a coprire il seno e jeans bianchi svasati e sfilacciati in fondo. Le manca una collana di fiori di stoffa e una borsa di pelle a tracolla per ricadere con un tonfo in un film documentario su Woodstock. Con la coda dell’occhio Anna vede che la borsa di pelle, in effetti, esiste. È stata abbandonata, aperta, al centro del divano del salotto, straripante di rotoli di carta disegnata, matite, pennarelli, cartoncini, album da disegno a carboncino. Sul tavolino di cristallo c’è dell’altra carta, o meglio cartina, non geografica, ma proprio cartina per avvolgere il tabacco.

“Dov’è mia figlia?”

“Boh. Credo in camera a studiare per il suo debito. Io sto per scongelare della pizza, ne vuoi anche tu?”

Una pizza, alle sei del pomeriggio, non ha alcun senso nella logica della programmazione dell’esistenza di Anna. Tantomeno ne ha una pizza alle sei del pomeriggio se a scongelarla dal suo freezer è la migliore amica di sua figlia, la quale gira per casa loro con più agio di quanto ne abbia mai sentito lei stessa, che in quell’appartamento si è trasferita dopo che la storia con Paolo ha necessitato una certa distanza di sicurezza. Anche se ancora non le è affatto chiaro quanto sia ampia quella distanza e quale genere di sicurezza le stia garantendo.

Anna lancia la valigetta sul divano, in mezzo alle cose di Aurora. Poi ci si sdraia accanto, raggomitolandosi come una gatta e lasciando cadere le scarpe sul tappeto, scalciandole una a una. Dalla sua posizione, accoccolata tra gli oggetti lasciati in disordine dalle ragazze, ora può vedere una parte della cucina.

Aurora prende il coltello del pane, a seghetto, e taglia una prima fetta larga di pizza congelata. Poi, le sovviene un pensiero, e con quello in testa si affaccia nel vano della porta che divide le due stanze, il bel salotto dalla piccola cucina.

Brandendo la lama in aria, chiede: “L’ha uccisa con un coltello?”

Anna ha un moto di nausea, si tira su, seduta, appoggia la schiena ai cuscini di velluto, arraffa il telecomando dell’aria condizionata, abbassa ancora la temperatura nella stanza.

“No. Comunque non sappiamo neppure se a ucciderla è stato lui”.

“Ah”.

Anna si rende conto che quella che ha appena pronunciato è una frase che non ripeterà mai più. Non lo può fare. Il dubbio sull’innocenza di Mauro Fermi non se lo può proprio permettere. E, in ogni caso, quello che le è stato affidato è un incarico di difesa di parte civile. Ad assegnarglielo è stato proprio Alfonso De Fabbris, il medico cardiologo, il padre di Valentina, l’uomo che lei ha sempre visto con soggezione, tutto d’un pezzo. Ci mancherebbe pure che le sfiorasse il dubbio che a causare la morte di Valentina non sia stato suo marito Mauro. Che poi, quella vicenda sembra molto facile, drammaticamente facile e chiara. Gli indizi, del resto, c’erano tutti e da troppo tempo.

Anna riflette, continuando a fissare la ragazza con il coltello del pane, ma senza vederla veramente.

“La vicina ha visto tutto, vero?” La voce vibrante di Marina spezza l’impasse del cervello di Anna.

Sua figlia arriva in salotto quasi con urgenza. Le si butta braccia al collo, la stringe forte a sé, come se le parti si fossero invertite e la figlia fosse la madre e la madre fosse la figlia. Ma Anna si divincola subito.

“Che ti prende?”, guarda la ragazza nascosta in una salopette troppo larga, con gli occhi verdi, uguali a quelli di suo padre, sgranati.

“Non lo so”.

“Ecco, appunto”.

“Ho immaginato che fossi triste”.

Anna, in quell’istante, si rende conto di non essere triste. Non è l’aggettivo che utilizzerebbe per definire lo stato d’animo che la pervade. Eppure, in effetti, ora che ci pensa, è proprio strano. Strano, ma vero: non si sente triste.

“Io invece avevo immaginato che fosse adrenalinica”. Aurora ha ancora il coltello in mano. Lo impugna stretto e basso davanti a sé, la lama che cade in diagonale.

. Sì. Aurora ha ragione. Anna si sente adrenalinica. E un po’ se ne vergogna.

Marina si volta verso la sua amica del cuore, la trafigge con lo sguardo, non le serve neppure di strapparle via quel coltello del pane per ucciderla davvero, le basta guardarla negli occhi per trapassarla da parte a parte, come se le avesse sentito pronunciare la peggiore delle sentenze.

Una delle migliori amiche di sua madre è morta, il marito è accusato di omicidio, sua madre è in prima linea nella difesa dei diritti di una donna ammazzata per femminicidio (, parola che ricorre così spesso nelle cronache di oggi, parola pesantissima, di quelle che non si possono buttare a caso; una causa per femminicidio, così vicino a casa loro, alle loro vite, al loro stesso target sociale), Aurora esagera, si prende troppa confidenza, adesso basta, c’è un limite a tutto. Come le può venire in mente di tirare fuori dal vocabolario il termine “adrenalinica” in un simile contesto? Sua madre è , deve essere triste, accidenti! Come potrebbe non esserlo? Lei esige che sua madre sia triste, almeno per una volta!

Aurora, intanto, morde la pizza che ha tolto dal microonde un po’ in ritardo, le briciole le cadono tutte attorno. Si piega per raccoglierle. È a piedi nudi sul parquet.

“Pulisco subito, scusami. Dove trovo la scopa e la paletta?”

“Lascia stare, devo ancora passare l’aspirapolvere, faccio io più tardi”.

L’ha appena definita “adrenalinica” e sua madre è pure disposta a farle da cameriera. Marina ritorna in camera sua, sbatte la porta, sbatte la sedia, sbatte i libri sulla scrivania. Aspetta a sbattere anche la testa contro il muro, perché in questo momento preciso vorrebbe che a sbattere fosse la testa di Aurora, non la sua, lei non merita di farsi del male, non oggi. Non la sopporta proprio, quando fa così, quando riesce a entrare immediatamente in sintonia con gli altri, quando riesce a essere l’amica di sua madre, quando riesce a catalizzare l’attenzione attorno a sé in un momento tragico come quello.

Si ferma. Deve fermarsi. Cos’è questo istinto d’odio che la sta cavalcando? Da dove nasce? E perché sua madre non è triste?! Accidenti a lei!

Il cellulare di Anna vibra insistentemente nella ventiquattrore gettata in mezzo al disordine sul divano. Sul display appare il nome di Paolo, illuminato dalla luce verdastra dello sfondo.

“Aurora, per favore digli che non ci sono, che sono uscita di nuovo, che ho dimenticato il telefonino in casa, che farò tardi e non sapete esattamente dove possa essere andata, con tutto il caos che la morte di Valentina De Fabbris sta sollevando…”

Ma il telefono ha già smesso di squillare. Tipico di Paolo. Come minimo non si farà sentire per un paio di giorni, soltanto perché lei non ha risposto immediatamente alla sua chiamata.

“Mamma!”

“Che c’è?”

“Niente, non c’è...



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