Giustetto / Strippoli | Pillole | E-Book | www2.sack.de
E-Book

E-Book, Italienisch, 176 Seiten

Reihe: add saggistica

Giustetto / Strippoli Pillole

Storie di farmaci, medici, industrie
1. Auflage 2017
ISBN: 978-88-6783-174-6
Verlag: ADD Editore
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

Storie di farmaci, medici, industrie

E-Book, Italienisch, 176 Seiten

Reihe: add saggistica

ISBN: 978-88-6783-174-6
Verlag: ADD Editore
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



Costi, benefici, pubblicità, investimenti, informazioni. Il percorso del farmaco è fatto di tanti aspetti e di decine di passaggi cruciali che permettono a una pillola di arrivare alla sua destinazione: il paziente. Cosa succede però in questo tragitto, e cosa sta cambiando negli ultimi anni nel mondo di Big Pharma? Pillole non è solo un libro di denuncia su come vanno le cose, ma è uno sguardo attento e competente sui diversi elementi che ruotano attorno al mondo della sanità, perché un 'sano scetticismo' è lo spirito migliore per affrontare le promesse dell'industria farmaceutica. Tra scandali, tentativi di nascondere dati e soldi spesi per promuovere i propri prodotti, le industrie cercano di ottimizzare gli utili trascurando la componente etica del loro lavoro. Ma qual è l'equilibro tra il diritto (sacrosanto) di fare utili di un'azienda e l'utilità sociale dei suoi prodotti? Esiste una risposta univoca? Attraverso storie esemplari, racconti di casi paradigmatici, ma anche di buone pratiche italiane e internazionali, Guido Giustetto e Sara Strippoli restituiscono una mappatura del variegato universo fatto di medici, industrie, pillole per permettere al paziente di aprire gli occhi con più consapevolezza quando qualcuno si sta occupando della sua salute.

Guido Giustetto è medico di famiglia a Pino Torinese. Si interessa di metodologia e critica della medicina. È attualmente presidente dell'Ordine provinciale dei Medici Chirurghi e Odontoiatri di Torino.Sara Strippoli è giornalista del quotidiano 'La Repubblica'. Si occupa di sanità e politica. Vive e lavora a Torino.
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Prezzi da incubo


What does it take to make one medicine? “Quanto ci vuole per fare una medicina?”. Un grande manifesto con il logo di Pfizer e questa scritta è comparso nel febbraio 2016 alla fermata Westminster della tube di Londra. La casa farmaceutica scrive a lettere cubitali che la nascita di ogni nuovo farmaco richiede mediamente dodici anni di lavoro e un costo di un milione di sterline, più o meno 1,3 miliardi di euro. La motivazione suona banale ma è convincente: «I nostri scienziati investono anni della loro vita a scoprire e sviluppare medicine che un giorno potrebbero salvare la vita ai vostri cari».

Pochi giorni dopo la comparsa del manifesto, Medici senza Frontiere interviene per condannare la pubblicità sostenendo che non chiarisce affatto come si arrivi a quei calcoli, visto che la maggior parte dei finanziamenti per la ricerca proviene da risorse pubbliche. È un messaggio creato al solo scopo di giustificare gli altissimi prezzi dei farmaci, incalza l’associazione.

Solo pochi anni fa un’operazione a difesa delle politiche dell’industria farmaceutica proposta alla vastissima platea di una stazione di gran passaggio della metropolitana londinese sarebbe stata inimmaginabile, ma il tema dei prezzi esorbitanti di alcune molecole oggi è diventato centrale. Una questione spinosa: da un lato si producono farmaci dal prezzo proibitivo, dall’altro si rischia di non poterli offrire ai pazienti perché la sanità pubblica non può permettersi di prescriverli gratuitamente a tutti coloro che, a ragione, pretendono le migliori cure sul mercato.

Big Pharma prova a portare dalla sua parte i cittadini: nella sua campagna, Pfizer spiega che produrre un farmaco ha costi immensi e tentare di salvare vite richiede un lavoro di anni. Posto in questo modo, il dilemma diventa etico. Il rischio è dover decidere che il diritto alla salute – sempre che i farmaci a molti zeri siano davvero i più efficaci – non si può garantire perché economicamente non sostenibile da parte dei sistemi sanitari nazionali.

È recentissima la presa di posizione dell’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. Nella sua ultima relazione «New Health Technologies. Managing Access, Value and Sustainability», suggerisce che i prezzi pagati per tecnologie e farmaci innovativi debbano riflettere i reali benefici in termini di salute rispetto alle alternative già esistenti ed essere regolamentati sulla base di prove sul loro effettivo impatto. Oggi invece molte tecnologie biomediche, fra le quali i farmaci biologici, sono approvate e adottate sulla base di evidenze limitate in termini di sicurezza ed efficacia. Con scarsi vantaggi sulla salute e grande spreco di risorse.

Il caso epatite C


Cellule staminali, anti-reumatici, oncologici: le pillole ad alto costo proliferano, ma la terapia per l’epatite C è stato il primo vero banco di prova per verificare la tenuta delle casse della sanità di molte nazioni. Le cifre esorbitanti necessarie per renderla disponibile a tutti rischiano di schiacciare i sistemi sanitari e portare a un razionamento della cura secondo priorità non dettate dalla logica clinica, ma dall’impossibilità di far fronte ai bisogni con le risorse dei servizi sanitari.

Il sofosbuvir, principio attivo del Sovaldi, è stato ed è tuttora uno dei protagonisti del dibattito: un farmaco dall’efficacia provata per la cura dell’epatite C (per quanto si sa finora, dopo la cura nel 90 per cento dei casi il virus non è più rilevabile), che in Italia è partito nel 2015 da un costo trattamento di 41.000 euro, è sceso a 14.000 e oggi la base di trattativa sta calando verso i 4.000 euro. Se si moltiplicasse il prezzo massimo per il numero dei malati, la cui stima varia da 350.000 a un milione, la spesa che ne deriverebbe potrebbe salire a 40 miliardi di euro, più o meno un terzo del fondo sanitario nazionale. Siamo quindi di fronte a un caso eclatante ed esemplare: abbiamo un risultato eccezionale dal punto di vista sanitario, ma al tempo stesso un esborso folle per la sanità italiana.

Per la stessa cura, ogni Paese ha avuto il suo prezzo e quello pagato in Italia non è neppure il più salato. Ogni nazione contratta con la ditta produttrice una cifra che tiene conto del numero dei pazienti da trattare e della possibilità di spesa del Paese. La conseguenza è una babilonia di cifre: in America si partiva da 69.000 dollari, la Spagna ha ottenuto il farmaco alla metà di quanto lo pagano Francia e Italia, in Egitto costa 800 dollari a ciclo, ma sono infetti otto milioni di egiziani. In Brasile il governo ha ottenuto il trattamento a 6200 euro; in India il generico prodotto dallo Stato costa 1000 euro. Il «British Medical Journal» (Bmj), una delle cinque più autorevoli riviste mondiali di medicina, sintetizza la complessità della situazione in un titolo emblematico: «Una pillola troppo dura da ingoiare».

Come uscire dall’impasse? Intanto i casi di malati cui vengono rifiutate le cure finiscono davanti alla magistratura per chiedere che il loro diritto sia riconosciuto, i viaggi della salute verso nazioni dove i prezzi sono più bassi stanno diventando una consuetudine e la ricerca di farmaci on line fa crescere i rischi di imbattersi in una truffa.

Una proposta-provocazione a fine 2016 è arrivata dalla Federazione degli Ordini dei Medici, che ha recepito un’indicazione dell’Ordine di Torino, fra i primi a sottoscrivere l’appello pubblicato su saluteinternazionale.info, rivista on line coordinata dall’igienista Gavino Maciocco dell’Università di Firenze. La proposta nasce da una premessa: considerato il tetto di spesa stabilito dallo Stato, se il costo del sofosbuvir rimanesse quello concordato all’inizio, solo il 5 per cento dei malati cui è stata diagnosticata l’epatite C sarebbe curato. Finora il criterio di accesso è stata la gravità della malattia: solo in fase avanzata si aveva il diritto a ricevere la cura. La proposta rivoluzionaria della Federazione è bypassare ogni tavolo di trattativa e produrre in casa il farmaco: «Se c’è la volontà di affrontare il problema una strada c’è: produrre il generico a un prezzo ragionevole e accessibile».

La molecola di cui stiamo parlando è prodotta dall’americana Gilead e in Italia aveva appunto un prezzo di 41.000 euro a ciclo, al quale vengono praticati sconti progressivi sulla base dei quantitativi acquistati. I termini esatti della trattativa tra Stato e industria non sono noti perché secretati, ma ora la cifra è scesa anche perché altre case farmaceutiche hanno immesso sul mercato prodotti concorrenti in grado di eradicare il virus.

I “super farmaci” per il trattamento dell’epatite C ora sono sei: i più noti Sovaldi e Harvoni, ma anche Viekirax + Exviera, Olysio, Daklinza e Zepatier. A breve ne saranno disponibili di nuovi, caratterizzati da maggiore efficacia e una durata di terapia inferiore.

Mario Melazzini, il direttore dell’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco che per conto dello Stato conduce le trattative con le varie aziende per il rinnovo della fornitura della pillola anti-epatite C, ha dichiarato che in caso di proposte insoddisfacenti suggerirà al governo di produrre il generico.

Il ministero è arrivato a convidere questa tesi e anche se per farlo bisognerebbe attendere la scadenza del brevetto, lo scoglio sembra superabile: le attuali norme sui brevetti e sugli aspetti commerciali dei diritti di proprietà intellettuale, il Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights dell’Organizzazione mondiale del commercio, ratificato dall’Italia nel 1994, permettono infatti di ricorrere al meccanismo della “licenza obbligatoria” nel caso in cui si verifichi un’emergenza di sanità pubblica. Questa norma permette ai governi di forzare i possessori di un brevetto, di un copyright o di altri diritti di esclusiva a concederne l’uso. L’accordo è stato firmato da 162 Paesi, India compresa, la prima ad aver prodotto il sofosbuvir come generico. Quando un governo ha l’impressione che il detentore di un brevetto non agisca nell’interesse della salute pubblica, può ignorarlo e promuoverne la produzione.

Nel 2016, per la prima volta, l’assemblea dell’Organizzazione mondiale della sanità ha lanciato una strategia globale contro le epatiti virali, definendo alta priorità l’eradicazione dell’epatite con l’obiettivo di eliminare la minaccia entro il 2030. La tesi dell’emergenza sanitaria è suffragata dai dati e toccherebbe al governo italiano intervenire. Su saluteinternazionale.info l’epidemiologo di Trieste Adriano Cattaneo cita la stima dell’Oms (l’Organizzazione mondiale della sanità) secondo la quale 130-150 milioni di persone sarebbero affette da epatite C, e indica l’accesso ai nuovi farmaci antivirali ad azione diretta come un’urgenza di salute pubblica globale, simile a quella di 10-20 anni fa per gli antiretrovirali contro Hiv-Aids. In Italia oltre 20.000 persone muoiono ogni anno per malattie croniche del fegato, due ogni ora, e nel 65 per cento dei casi l’epatite è causa unica, o concausa, dei danni epatici. Le regioni del sud sono le più colpite: in Campania, Puglia e Calabria nella popolazione ultrasettantenne la prevalenza supera il 20 per cento. «Se questa non è un’emergenza nazionale, cos’è?», si chiede Cattaneo.

Il tema della contrattazione Stati-industria tocca interessi enormi e molto delicati, tanto che un rapporto sulla “disponibilità dei medicinali” redatto da esperti incaricati dal segretario generale delle Nazioni Unite e pubblicato il 14 settembre 2016 lancia un allarme preoccupante: «I governi che vorrebbero usare la...



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