Genette | Introduzione all'architesto | E-Book | sack.de
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E-Book, Italienisch, 84 Seiten

Reihe: Letteraria Reprints

Genette Introduzione all'architesto


1. Auflage 2025
ISBN: 979-12-5600-434-8
Verlag: Ledizioni
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

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L'Introduzione all'architesto nasce come articolo su «Poétique» nel 1977 e, con l'aggiunta di due capitoli, diventa un libro per Seuil nel 1979. Il suo intento, spiegherà Genette una ventina d'anni dopo, non era elaborare «una teoria esaustiva dei generi letterari», ma offrire «un esame storico e critico dei problemi» che una teoria di questo tipo incontra inevitabilmente. Genette risale a Platone e ad Aristotele e ne illustra le teorie, per poi mostrare come, oltre le evoluzioni dell'aristotelismo nelle poetiche medievali, rinascimentali e moderne, si sfoci infine nella triade archigenerica di dramma, epica e lirica. Dai modi si passa così, tacitamente, ai generi, spiega Genette, e le teorie novecentesche continuano a oscillare in modo ambivalente fra gli uni e gli altri. Il saggio genettiano fornisce un chiarimento storico e concettuale essenziale e inaugura un filone di ricerche che avrà il suo seguito in Palinsesti (1982) e in Finzione e dizione (1991).

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INTRODUZIONE

di Stefano Ballerio

L’Introduction à l’architexte (Introduzione all’architesto) nasce come articolo pubblicato nel novembre del 1977 su «Poétique» con il titolo Genres, “types”, modes. A ricordarlo è lo stesso Genette all’inizio del cap. X, il primo dei due che l’autore aggiunge nel trasformare l’articolo in volume, per Seuil, nel ????. «Questo piccolo libro – spiegherà una ventina d’anni dopo – non voleva certo essere una teoria esaustiva dei generi letterari […], ma piuttosto un esame storico e critico dei problemi e delle difficoltà di ogni tipo che un tal proponimento incontra» (Dal testo all’opera 144); proposito coerente, in senso lato, con l’idea di storia letteraria come storia delle forme (codici retorici, tecniche narrative, strutture poetiche ecc.), o di fondazione teorica della storia letteraria, elaborata, in anni di strutturalismo, nelle pagine di Poetica e storia.

Nell’Introduzione all’architesto Genette prende le mosse dalla proiezione retrospettiva su Aristotele e Platone della tripartizione moderna, e innanzitutto romantica, della letteratura in epica, lirica e drammatica. Per chiarire il senso di questa proiezione e per contribuire a sciogliere, o almeno ad allentare, il nodo teorico che essa avrebbe generato, Genette torna quindi a ciò che Platone e Aristotele scrivono nella Repubblica e nella Poetica e osserva innanzitutto come entrambi limitino chiaramente il proprio campo alla «poesia rappresentativa» (Architesto 20), o imitativa nel senso della mimesi, escludendo la poesia lirica. Le distinzioni successive che entrambi introducono, infatti, sono tutte relative alla rappresentazione: Platone distingue tre situazioni di enunciazione (non tre generi, né tre forme) della poesia imitativa (il puramente drammatico, o mimetico, il puramente narrativo, o diegetico, e il misto); Aristotele ripartisce le diverse forme poetiche secondo oggetto, mezzi e modi dell’imitazione che tutte sono, anche se nel seguito tratta soprattutto di oggetto e modi, cosicché il suo sistema dei generi è definito dalla combinazione di due possibilità di oggetto (superiore o inferiore) con due possibilità di modo (drammatico o narrativo). Ancora, egli si concentra sui due generi a soggetto elevato, ossia tragedia ed epopea, e in particolare sulla tragedia, ritenuta superiore e della quale sono date due definizioni: una – la prima, nel capitolo VI – modale e tematica; l’altra – elaborata, non proprio come definizione, attraverso i capitoli VI-XIX – tematica. In altre parole, Aristotele dapprima parla del «dramma nobile», ossia di un genere letterario, e poi del «tragico», ossia di qualcosa che appartiene a una sfera più antropologica che poetica; la tragedia sarebbe la loro intersezione, o una «specificazione tematica del dramma nobile», anche se Aristotele, seguendo l’uso, parla di «tragedia» anche per il dramma nobile e così alimenta una confusione che sarebbe durata secoli, poiché i suoi interpreti avrebbero cercato di applicare all’intero genere del dramma nobile ciò che egli avrebbe voluto affermare solo per la tragedia nel senso più stretto di sua specificazione tematica (26). Da Platone ad Aristotele, inoltre, la tripartizione in narrativo, drammatico e misto (le situazioni enunciative di Platone) si riduce a bipartizione in narrativo (puro o misto, poiché entrambe le possibilità appartengono ai testi narrativi) e drammatico.

Nei secoli successivi «la riduzione platonico-aristotelica del poetico al rappresentativo grava sulla teoria dei generi alimentandovi disagio e confusione» (Genette, Architesto 28) – osservazione per la quale si potrebbe ricordare che nel 1968, nelle ultime righe del suo saggio sull’Effetto di reale, Roland Barthes propugnava la necessità di sovvertire la secolare estetica della mimesi. I teorici dei secoli successivi, ad ogni modo, dall’ellenismo alla latinità, al Medioevo, al Rinascimento, producono poetiche che riprendono Aristotele, più o meno rigorosamente, e poi cercano di rendere conto dei generi poetici o letterari apparsi in seguito in due modi: riconducendoli ai generi già noti ad Aristotele come loro variazioni, sottospecie o filiazioni, o liquidandoli come minori. Se non si vuole ammettere che il concetto aristotelico della mimesi non possa rendere conto dell’intero dominio della poesia, insomma, diventa necessario estenderlo o magari deformarlo perché esso possa includere ciò che sembrava esorbitarne. A lungo questa strategia argomentativa è praticata dai teorici: ancora Batteaux cerca di includere la poesia lirica nella teoria aristotelica parlando non di imitazione di azioni, ma di imitazione in generale, e quindi anche di imitazione di sentimenti, e assumendo come fondamentale la possibilità che i sentimenti espressi liricamente siano simulati. La poesia lirica viene allora a essere pensata come mimetica e a occupare la posizione che nella tripartizione platonica era del narrativo puro, poiché in essa abbiamo l’enunciazione del solo poeta, sebbene tale enunciazione non sia narrativa.

Già Johann Adolf Schlegel, d’altra parte, obietta a Batteaux che i sentimenti della poesia lirica possono anche non essere simulati: obiezione sotto la quale, nota Genette, «vacilla tutta una poetica, e tutta un’estetica» (37). Si afferma quindi la tripartizione in lirico, epico e drammatico e i tre modi sono indicati come modi rispettivamente del soggettivo, dell’oggettivo o del soggettivo-oggettivo (con possibili scambi di posto fra epico e drammatico). Inoltre, l’uno o l’altro modo è volta a volta descritto come primigenio. Così argomentano gli Schlegel, Hölderlin, Schelling e Hegel.

Genette esamina queste costruzioni teoriche e, a proposito della qualifica dei modi in soggettivo, oggettivo e soggettivo-oggettivo, osserva: «La storia della teoria dei generi è tutta contraddistinta da questi schemi affascinanti che informano e deformano la realtà spesso eteroclita del campo letterario e pretendono di scoprire un “sistema” naturale là ove non costruiscono che una simmetria fittizia con un grande uso di finte finestre» (Architesto 41). Ma queste costruzioni e finte finestre possono avere funzione euristica e illuminare davvero qualcosa, anche attraverso i loro buchi (come nota Filippo Pennacchio, d’altra parte, la tendenza tassonomica e sistematica di Genette, che si manifesta innanzitutto nelle sue caratteristiche tabelle a doppia entrata, è sempre contrastata da una consapevolezza congiunta della problematicità e incompletezza di qualsiasi classificazione).

Il passo successivo consiste nel trattare della collocazione dei generi nei tre modi fondamentali. Il problema che emerge è che il criterio della distinzione fra generi non è omogeneo a quello della distinzione fra i tre modi fondamentali, o varia a seconda delle distinzioni (fra romanzo e novella, per esempio, o fra commedia e tragedia). Inoltre, si vede subito come alcuni generi possano afferire primariamente a un modo, ma secondariamente a un altro (la ballata è narrativa, per esempio, ma in qualche misura lirica, mentre una narrazione romanzesca può tendere al drammatico per l’uso del dialogo che vi si osserva). Ne derivano tassonomie complesse, da Goethe a Petersen, o perfino teratologie, che Genette espone con la sua consueta ironia. Resta il fatto cruciale che con il Romanticismo si pervenga a una «reinterpretazione […] del sistema dei modi in sistema dei generi» (Genette, Architesto 51). Platone e Aristotele istituivano infatti dei modi fondamentali la cui distinzione si basava sui modi di enunciazione. I diversi generi si ripartivano fra i modi, ma erano definiti ciascuno da una diversa specificazione di contenuto, ossia da un elemento eterogeneo rispetto a quello che definiva i modi. La divisione romantica fra lirico, epico e drammatico, invece, comporta già non solo dei modi di enunciazione, ma anche elementi tematici, sebbene generalissimi (per esempio, la lirica si lega all’espressione della soggettività; il dramma, al conflitto; l’epica, a un mondo epico). La triade romantica è dunque una triade di archigeneri, sotto i quali dovrebbero essere sussunti i generi storici.

D’altra parte, nessuna triade generica, nessun livello generico può essere inteso come fondamentale o naturale per essenza. Al contrario, prosegue Genette, «tutte le specie, tutti i sotto-generi, generi o super-generi sono classi empiriche, stabilite con l’osservanza del dato storico o al limite con l’estrapolazione a partire da questo dato» (Architesto 56). Non ci sono tipi ideali o naturali in senso assoluto e qualsiasi principio è storico. Ma, inversamente, «nessuna istanza è […] totalmente determinata dalla storia» (57), in quanto si può ammettere, sebbene la questione sia ancora da studiare, che vi siano un sentimento lirico, un sentimento epico e un sentimento drammatico naturali e in qualche senso antropologici. Inoltre, la categoria del modo, nel senso descritto di modalità enunciativa, è per Genette «la più incontestabilmente universale in quanto fondata sul fatto, transtorico e translinguistico, delle situazioni pragmatiche» (61). Complessivamente, natura e cultura si presentano sempre espresse insieme.

Quanto all’illusione retrospettiva da cui si erano prese le mosse, nella quale si proiettavano a posteriori su Aristotele e Platone i tre modi lirico, epico e drammatico, si vede ora come essa comporti anche un’inversa, e indebita, imputazione di ‘naturalità’ a tre...



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