E-Book, Italienisch, 292 Seiten
Reihe: Minimum classics
Garboli Scritti servili
1. Auflage 2023
ISBN: 978-88-3389-497-3
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
E-Book, Italienisch, 292 Seiten
Reihe: Minimum classics
ISBN: 978-88-3389-497-3
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
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Quando apparve per la prima volta per Einaudi nel 1989, fu subito chiaro che Scritti servili era uno degli ultimi capolavori del Novecento di quel genere particolare che è il saggio letterario. Minimum fax lo ripropone ora per i più giovani che non l'hanno mai letto, ma anche per generare un proposito di rilettura in chi già lo conosce: un manuale di stile e di sguardo e un esempio dell'arte del ritratto e dell'autoritratto. «Leggere è vedere, scrivere è essere ciechi», afferma Garboli in questo libro. E davvero gli Scritti servili sono un'educazione alla vista, fatta di «lampi di cognizione», della capacità rabdomantica di far riaffiorare quasi ad ogni rigo qualcosa che era rimasto nascosto. La felicità di queste pagine è nella loro inerme consegna alla confessione più intima di uno scrittore-lettore, che va a prendere le parole degli altri «e le riporta a casa, come Vespero le capre, facendole riappartenere al mondo che conosciamo». E così, parlando della vita e del teatro di Molière, del «destino di autodistruzione ilare e buffonesco, ma anche così tragico» di Antonio Delfini, della «discontinuità del desiderio» e della «perversione saturnina» di Penna, dell'elogio dell'appartenenza della Ginzburg, delle metamorfosi di Elsa Morante, Garboli finisce per disseminare le tracce di un'umanissima testimonianza esistenziale e in definitiva per raccontare se stesso. Perché è «una storia, un evento, di seduzione» a legare queste sei prefazioni ad altrettanti libri usciti in Italia negli anni Ottanta, «un interesse che va oltre la letteratura: esso parte da un luogo impreciso, indistinto, e attraversa la letteratura solo per sorpassarla».
Autoren/Hrsg.
Weitere Infos & Material
Profilo bio-bibliografico
Cesare Garboli nacque a Viareggio il 17 dicembre 1928, sesto figlio (dopo cinque sorelle) di Antonio, ingegnere nato a Intra, in Piemonte, ma di origini lombarde, e di Carolina D’Antoni, abruzzese.
Gli anni di formazione
All’inizio della seconda guerra mondiale, la famiglia si trasferì a Milano, rientrando in Toscana dopo l’8 settembre 1943 e vivendo tra Viareggio e Vado di Camaiore. Con il padre, Garboli raggiunse Roma nel 1944, risiedendo in viale Bruno Buozzi, nel quartiere Parioli, e frequentando gli ultimi due anni di liceo classico al Dante Alighieri, in un altro quartiere della città, Prati.
Si iscrisse nel 1946 alla facoltà di Lettere, orientandosi dapprima verso gli studi di letteratura greca e di glottologia ma decidendosi infine per letteratura italiana. Ebbe Natalino Sapegno come relatore per la tesi di laurea su «Problemi fondamentali per lo studio della genesi politica dell’Inferno di Dante», sulla cui scia curò poi per il «Parnaso italiano», l’ampia antologia della poesia italiana diretta da Carlo Muscetta per «I Millenni» dell’editore Einaudi (Torino 1954). A Dante tornò negli ultimi mesi di vita: la revisione del commento alla si fermò all’Inferno (postumo, Einaudi, Torino 2004).
Visse in via Donizetti a Roma tornando frequentemente a Viareggio, frequentando nella città toscana scrittori e artisti ai quali in seguito dedicò vari scritti: Antonio Delfini, Mario Marcucci e Mario Tobino. Fu Tobino a permettergli di presentarsi a Niccolò Gallo, a lungo riferimento umano e culturale, col quale Garboli firmò poi una delle sue prime pubblicazioni, il commento ai leopardiani (Editrice Carlo Colombo, Roma 1959; poi Einaudi, Torino 1962, con numerose ristampe). Mentre maturavano le sue convinzioni politiche (fu comunista non iscritto al partito), cominciarono anche le prime pubblicazioni in rivista. Esordì nel 1950 con un articolo occasionato dalla scomparsa di Cesare Pavese, collaborando tra il 1950 e il 1953 a . Nel 1953 iniziò la collaborazione – non più interrotta – con la serie letteraria di , la rivista fondata e diretta da Roberto Longhi e da Anna Banti, di cui in seguito Garboli divenne prima redattore (1962) e infine direttore (1986).
L’ultimo tratto della formazione riguarda l’attività redazionale che Garboli svolse particolarmente per l’ diretta da Silvio d’Amico.
Tra apprendistato e maturità
Nel 1960, per il volume , presentato da Giovanni Macchia, Garboli tradusse in collaborazione con Vittorio Sermonti . Ebbe inizio così il suo lungo sodalizio con Molière, l’autore di tutta una vita. Nel 1968 apparve, quasi un pronostico, la segnatura o la spia di un lavoro in corso e da svolgere, la traduzione del terzo atto di su , con introduzione. Garboli lesse Molière ritrovandovi come in uno specchio tanti vizi della società italiana. Le traduzioni ma soprattutto i saggi di accompagnamento permettono di vedere nel corso del tempo una vera appropriazione di Molière da parte di Garboli: nella dedica sulla copia del volume (Einaudi, Torino1976) appartenuta a Elsa Morante, racconta Carlo Cecchi (Postfazione a Garboli, , Adelphi, Milano 2014, p. 149), Garboli aveva scritto: «A Elsa con l’amore di Cesare (e anche con quello di Molière di cui sono momentaneamente fiduciario su questa terra)». Gli scritti raccolti postumi in (Adelphi, Milano 2014) costituiscono insieme un libro involontario e previsto. Il di Molière non è qui «studiato» da Garboli, ma è un personaggio o un tema preso dal magazzino dei miti e variamente manipolato, una figura che con Garboli vive e rivive in una decifrazione che lumeggia passato e presente. Per la precisione: il rapporto di Garboli con Molière è stato lungo e memorabile, ma il rapporto con Tartufo è stato qualcosa di più, portando a un punto di incandescenza e di autonoma visibilità quel campione di doppiezza. Dunque per Garboli far leggere Molière in Italia voleva dire aiutare a rimuovere una gigantesca rimozione, in qualche modo ancora maggiore rispetto a quella di Chateaubriand (a questo sentire va assegnato il progetto editoriale e l’introduzione per le , Torino 1995); ma di Tartufo Garboli si servì per attraversare i costumi degli italiani, ritenendo ciò la sua migliore idea critica: un servitore che si fa padrone grazie alla propria sola scaltrezza, e dunque un impostore in continua recita.
Una chiave di lettura che, ad esempio, nel memorabile articolo partito come commento a fatti di cronaca riguardanti Armando Verdiglione (, 5 luglio 1986, poi in , Einaudi, Torino 2001, pp. 27-30, infine in , cit., pp. 105-108), attraversava il genio controverso di Jacques Lacan. «Proprio quando traducevo il , più o meno nel 1968, ebbi occasione d’incontrare Lacan e di frequentarlo [...] e, a un tratto, ebbi davanti a me, inconfondibile, irriconoscibile, Tartuffe; non il Tartuffe col collarino, recitato da un attore filodrammatico, ma un Tartuffe mai visto, straordinario, fatto di sofferenza, di eleganza, di reticenza insolente e volgare. Pensai che Lacan fosse un impostore (dico che lo pensai, non che lo fosse)», e la sua impostura «sfuggente, misteriosa e quasi necessaria all’intelligenza, diventa in Verdiglione un imbroglio miserabile. Con Lacan Tartuffe andava in motoscafo e in jet; con Verdiglione, ritorna alle sue origini comiche, alla sua faccia italiota, e alla sua tonaca unta». Perché, poi, «un imbecille colto è più imbecille (è una citazione da ) di un imbecille analfabeta». Tartufo è un servo diventato padrone con l’esercizio salutare della politica; ma («Tartufo. L’impostore ha fatto scuola anche in Italia», intervista ad Antonio Gnoli, , 17 febbraio 2000, poi in , cit., p. 145) «se la salute è quella auspicata da Tartufo è meglio essere malati».
Il saggista invisibile e l’esordio in volume
Per , tra 1960 e 1961, Garboli curò una rubrica di libri ritenuti fondamentali, redigendo le schede di cinquanta dei cento titoli previsti: l’altra metà fu affidata a Giorgio Manganelli, col quale si alternava nelle uscite.
Nel 1961 morì il padre. Nel 1963, su invito di Geno Pampaloni, iniziò la collaborazione con la casa editrice Vallecchi, occupandosi in particolare di narrativa. L’anno dopo, per volontà del direttore letterario della casa editrice, Vittorio Sereni, iniziò la collaborazione con la Mondadori, nella sede romana dove lavorava Niccolò Gallo. Nel 1965 iniziò la collaborazione letteraria con ; nel 1967 con la . Nel 1966, l’idea di una collana di giovani narratori simile a quella varata per Vallecchi, venne ripresa presso Mondadori, casa editrice che lasciò nel 1967 approdando a Il Saggiatore di Alberto Mondadori. Qui curò un volume in memoria del direttore editoriale, Giacomo Debenedetti, scomparso a gennaio del 1967, seguendone poi la ristampa delle opere.
Nel 1968 si trasferì in un appartamento in via Borgognona. Nello stesso anno interpretò l’intervistatore nella scena iniziale di di Pier Paolo Pasolini.
Nel 1969 mori la madre. Durante l’anno, mentre svolgeva il suo lavoro presso Il Saggiatore – affiancando all’impegno per la narrativa quello per la saggistica – Garboli iniziò a collaborare con , con scritti dedicati soprattutto all’arte. Nello stesso anno pubblicò da Mondadori il suo primo volume, una raccolta di saggi dal titolo . Garboli aveva quarantuno anni. Sarebbe passato un quindicennio prima che desse alle stampe un nuovo volume (, 1984); già personaggio di primo piano e autore di culto, Garboli ora era un autore visibile. In copertina della edizione Mondadori stava una frase: «Il libro involontario di un critico che scrive per capire»: e contava e non contava, dunque, che le pagine della fossero dedicate a Ginzburg, Penna, Morante, Soldati, Sereni, Cassola tra gli altri: la costellazione di riferimento per il Garboli a venire. Più che nella storia della critica, la trovava il suo miglior posto nella meditazione sui casi delle persone. Un critico della specie dei saggisti è fortunato anche per la qualità dei libri che incontra. Può andarli a cercare nel passato, ma resta legato all’arbitrio dei libri che il suo tempo gli propone. Garboli non fu sfortunato, ma, anche e più, seppe mettere a profitto le fortune che gli capitarono, accentuandone i tratti e creando nessi originali.
«Vocazione letteraria e metodo dello scienziato», scrisse in un saggio su Roberto Longhi, «diventano due funzioni complementari: se manca l’una, manca anche l’altro. E come può la letteratura, che si fonda sull’originalità e sull’arbitrio, sulla fantasia e sul capriccio, coincidere con la scienza?» («Longhi scrittore», in , Adelphi, Milano 2002, p. 13.) È stato questo uno dei suoi...