E-Book, Italienisch, 261 Seiten
Reihe: Amazzoni
Gaite Attraverso le tendine
1. Auflage 2020
ISBN: 978-88-6243-445-4
Verlag: Voland
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
E-Book, Italienisch, 261 Seiten
Reihe: Amazzoni
ISBN: 978-88-6243-445-4
Verlag: Voland
Format: EPUB
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(1925-2000) è tra le personalità più rilevanti della letteratura spagnola del XX secolo e il suo successo è stato confermato sia dalla critica sia dal favore del pubblico. Autrice poliedrica e attenta interprete della società del suo tempo, ha toccato diversi generi letterari e ricevuto numerosi premi e riconoscimenti, tra cui il Nacional de Literatura, il Nadal, il Nacional de las Letras Españolas e l'Anagrama de Ensayo.
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due
Arrivai verso la metà di settembre, dopo un viaggio interminabile. Il treno subì due guasti, il secondo più noioso da riparare, ormai a pochi chilometri dall’arrivo, in mezzo a un campo di stoppie. Nella lunga attesa, il sole tramontò e terminai le sigarette. Era stato un pomeriggio molto caldo. Uscii nel corridoio. Un pastore stava osservando i vagoni, immobile, le mani appoggiate al bastone e alcuni agnellini, fermi al sole, proiettavano a terra un’ombra grottesca, instabile sulle zampe molto lunghe. Anche l’ombra del profilo e del braccio di un passeggero affacciato al finestrino si muoveva a terra. All’orizzonte, a circa un chilometro, si intravedevano alcuni pioppi e le case di un piccolo paese poco oltre un campo arato.
Da un finestrino chiamarono un ragazzino lentigginoso che passava da quelle parti con una fionda in mano, e gli chiesero di portare delle gazzose. “Comandi, dice a me?” “Qualche gazzosa, dicevo, o qualsiasi altra cosa da bere.” Non rispose e si mise a correre per il sentiero che portava al paese. I passeggeri, annoiati, iniziarono a scendere dal treno. Dalla locomotiva ai vagoni di prima classe si formò una specie di passeggiata domenicale. Il padre di una ragazza vestita di rosa, che era nel mio scompartimento, incontrò un amico; si lamentavano di non essersi visti durante tutto il tragitto. Il tipo del mio scompartimento veniva da San Sebastián, diceva che la moglie e i figli avevano passato ogni santo giorno spendendo soldi tra divertimenti, negozi, merende e cinema. E uno “papà, dammi venti duros*” e l’altro “andiamo in bicicletta a Igueldo”, senza parlare di quello che veniva tardi a cena… “Quando piove, poi, non sai proprio dove metterti per la ressa che c’è. Neanche un posto per sedersi a leggere il giornale in santa pace. Nell’hotel ti mangiano le mosche, al caffè una Coca-cola costa dieci pesetas, i cinema sono pieni zeppi.” Enumerava queste cose con le dita, scuotendole in aria in successione e con fermezza, a partire dal pollice. Tirarono fuori il portasigarette e si misero a fumare. L’altro era stato alle terme e diceva che lì si mangiava molto bene e si faceva una vita tranquilla e sana. Gli domandò se viaggiassero in seconda classe. “Sì. Con le difficoltà dell’ultima ora non abbiamo trovato la prima. Stiamo lì, in quel vagone, dove è affacciata mia figlia.” La ragazza vestita di rosa guardava annoiata verso il paese; l’amico del padre fece un’espressione di apprezzamento nel voltarsi a guardarla; disse che era molto bella, che non si ricordava di lei. “Goyita, ti presento don Luis, il signore della pelletteria.” “Molto lieta.” Sorrideva pronunciando la sillaba “lie” con le labbra tirate. “Complimenti! Sei venuta a fare strage al Casino? O hai già il fidanzato?” “Lei fidanzata? Figuriamoci. Piuttosto morta! Preferisce ballare con chi capita.” “Fa bene, che si diverta più che può. Juventud, divino tesoro*. Ti devo presentare il più grande dei miei figli, quello che studia Legge. La pensa come te sul ballo. Forse lo conosci.” La ragazza fece una smorfia ambigua con la bocca. “Non lo so. È possibile.”
Mi avviai verso la locomotiva per avere notizie sul guasto. Il ragazzo lentigginoso tornò con un uomo vestito di fustagno, portavano un asino carico di angurie; cominciarono a venderle alla gente assetata. Fu un successo, le volevano tutti: i bambini chiedevano i soldi ai genitori e chi era rimasto sul treno incaricava quelli di sotto di comprarle. Ebbi l’impressione che i viaggiatori fossero un’unica grande famiglia e che tutti, o quasi tutti, si conoscessero. Anch’io comprai l’anguria, la vendevano a grandi fette. Quando salii di nuovo nel mio scompartimento, il succo mi colava sul mento. La ragazza in rosa si era messa a parlare con un’altra vestita con un abito a righe dalla scollatura molto profonda. Stavano stringendo un’inattesa quanto entusiastica amicizia. Quella col vestito a righe era in prima classe, ma si sedette da noi. “Mamma mia che viaggio…” si lamentò. “Nel mio vagone sono tutti vecchi. Se lo avessi saputo, venivo qui da te.” Era di Madrid e veniva a trascorrere le feste a casa di un cognato. L’altra ragazza le spiegava, con orgoglio misto a sufficienza, com’era la Fiera offrendosi di farle conoscere gente nuova e di portarla con lei e le sue amiche a ballare la sera. Parlavano in modo sempre più intimo, confidenziale, cominciò a venirmi sonno. La ragazza di Madrid indossava sandali a fascia e aveva le unghie dei piedi laccate di rosso scarlatto, quella in rosa aveva le calze. Con il contraccolpo della nuova locomotiva che avevano portato dalla città, riaprii gli occhi. Il canto dei grilli era assordante. Il pastore aveva attraversato la ferrovia e si allontanava lentamente con il suo gregge sparpagliato. Era cessato il caldo pomeridiano e le voci risuonavano più animate e vivaci, come sollevate. La gente saliva sul treno a gruppi, scherzando e con un’espressione soddisfatta. Tutti riprendevano posto nei loro scompartimenti con l’aria di chi entra nel foyer di un teatro durante l’intervallo. “Bene, bene, sembra che ce l’abbiamo fatta.”
Quando il treno si rimise in moto, chiusi nuovamente gli occhi. Pensavo che, tra il ritardo e la Fiera, era probabile che nessuno mi aspettasse alla stazione. Stavo per assopirmi del tutto, quando sentii qualcuno dire che si vedeva la Cattedrale e uscii nel corridoio. Alcune nubi scure di un tramonto che era stato ardente e rosso apparivano ancora come squarci neri nel cielo. Vidi il profilo di alcune torri e il contorno di molti tetti, dai colori vivaci, ancora infuocati dal sole. Brillavano i vetri delle verande e cominciavano ad accendersi le luci, poco nitide nel chiarore della sera. Non vidi il fiume. Poi il treno passò in mezzo a due terrapieni e fischiò molto forte. Tutti stavano portando le valigie nel corridoio.
In effetti, nessuno era venuto a prendermi. Sostai un poco sulla banchina, guardando in ogni direzione tra le persone che si muovevano e si chiamavano per nome, ma nessuna si rivolse a me. Mi ero allontanato un po’ dalle scalette del treno da cui ero sceso e la gente, uscendo, mi urtava. Poco più in là, le ragazze del mio scompartimento si erano riunite con le rispettive famiglie e si salutavano tra la folla. “Ciao cara, ci sentiamo” disse la ragazza di Madrid agitando la mano mentre qualcuno la abbracciava. “Chi è?” domandò all’altra una signora così vicina che quasi mi sfiorava. “Non lo so, mamma, è di Madrid.” “Come è appariscente!”
– Faccia il favore, sta intralciando il passaggio – mi disse un facchino.
Mi incamminai, ormai tra gli ultimi. Lasciai la valigia al deposito. La stazione era una grande struttura antica, e la luce al neon del chiosco dei giornali strideva. Stavano facendo dei lavori. Per uscire bisognava aggirare alcuni sacchi di cemento e camminare sulla terra non asfaltata. Mi fermai fuori, in una piazzetta con dei giardini, incerto sul da farsi.
– Le serve un passaggio, signore? Consegna a domicilio.
A parlarmi era un omino molto brutto con una giacca di pelle. Mi spinse verso una piccola corriera con l’entrata sul retro e due panche ai lati di un passaggio molto stretto. I posti erano tutti occupati e il mio arrivo suscitò degli sguardi di protesta. Rimasi in piedi, incurvandomi un po’ per non sbattere la testa contro il tetto.
– Si faccia più in là – gridò l’uomo, mimando il gesto di spingere la gente con le mani. – Siamo al completo.
– Qui non c’è posto – dissi, tentando di scendere.
– Come non c’è posto! – ribatté l’uomo.
Era saltato su e contava i passeggeri a voce alta.
– Tredici in tutto, avanza un posto. Questo signore deve entrare. Si sposti più in là, signora, tolga la borsa. Vediamo se si può a partire.
Finalmente riuscii a sedermi di lato, un po’ in bilico, tenendo sulle ginocchia la mia piccola valigia. L’uomo era sceso ma, prima di chiudere la portiera, fece di nuovo capolino. Io occupavo l’ultimo posto, accanto all’entrata.
– Senta, dimenticavo, lei dove va?
– Io…? – esitai un momento. – Al liceo.
Si sporse ulteriormente e nella penombra vidi la sua espressione interrogativa.
– Dove?
– Al liceo – pronunciai con chiarezza.
– E da che parte è?
– Vicino a paseo del Rollo – intervenne qualcuno. – In fondo alla salita del carcere.
Alcuni passeggeri iniziarono a spazientirsi.
– Allora, ci muoviamo o no? – protestò un altro.
– Va bene, portiamo prima quelli diretti in centro. Attenzione che chiudo! Vai, Manolo!
Il motore rombava con forza, ma la corriera sussultava senza muoversi. Dopo un paio di sgassate, finalmente partì. Con lo spigolo della mia valigia colpii le ginocchia di una signora che mi sedeva accanto.
– Scusi.
Mi guardò sbuffando. Era grassa; la gonna stretta piena di grinze sulle cosce. Si era sfilata le scarpe dai talloni. Guardai verso la portiera. L’uomo con la giacca di pelle era rimasto in piedi sul predellino e viaggiava lì, aggrappato al finestrino aperto, dando le spalle alla strada che stavamo attraversando, come un timoniere. Nello spazio non occupato dal suo corpo, dagli spiragli del finestrino posteriore, filtrava la luce della strada e si vedevano svanire portoni, muri, insegne, qualche passante.
Scendevamo, o almeno così mi parve, lungo una strada di piccole case, alcune con un pezzo di giardino; ne vedevo solo la parte inferiore. La corriera rimbalzava sui ciottoli del lastricato, facendo suonare il clacson. A un certo punto girammo costeggiando un...




