E-Book, Italienisch, 314 Seiten
Reihe: Filigrana
Fusini La passione dell'origine
1. Auflage 2023
ISBN: 978-88-3389-460-7
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Studi sul tragico shakespeariano e il romanzesco moderno
E-Book, Italienisch, 314 Seiten
Reihe: Filigrana
ISBN: 978-88-3389-460-7
Verlag: minimum fax
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scrittrice, critica letteraria, traduttrice, studiosa di letterature comparate. Tra le sue opere più recenti, Hannah e le altre, Vivere nella tempesta, Maria e Maestre d'amore. Giulietta, Ofelia, Desdemona e le altre, tutti pubblicati da Einaudi.
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Introduzione
La lunga storia e le varie metamorfosi delle forme narrative seguono un percorso rettilineo, culminante nel romanzo (), per chi attraversi quel mutare di forme, cogliendone l’incessante mutamento e trasformazione.1 In quel percorso così disegnato non si producono fratture; solo metamorfosi, appunto. E cioè un cambiamento di forma; un atto per cui una attività, il narrare, non fa che prendere a prestito corpi diversi. La trasformazione accade come un ritorno sotto altre forme (dove la morte non è cessazione, ma realizzazione in altro) dell’, che è in questo caso la produzione costante di racconto. Allo sguardo «formale» (attento alle forme), il romanzo appare come quella che in ordine cronologico si produce quando forme precedenti si fondono in una nuova relazione.2 Il problema della nascita del romanzo (novel) viene dunque spazializzato in un lungo processo di agglutinamento: lo sviluppo è sviluppo per via di mutamenti e condensazioni. L’emergenza di quella nuova forma narrativa, che è il novel, viene come dissolta dentro la serie specificatamente letteraria, che non coglie la metamorfosi delle forme storiche di esistenza, delle quali il narrare non è che una. La messa a nudo delle tecniche di funzionamento dell’organismo letterario, inteso nel senso specifico di una organizzazione formale di procedimenti narrativi, permette di fissare le sue leggi particolari, e le loro variazioni: il rapporto tra legge e variazione riconduce la metamorfosi alla sua natura di «ricambio organico sociale»; in questa circolazione di forme (il rinnovamento, la ripetizione) rimane ferma la continuità del movimento, ovvero la scena della produzione di racconto. L’analisi del romanzo viene così ricondotta dentro il campo più vasto della narratologia; il mutamento che il romanzo al suo apparire realizza viene colto all’interno della serie letteraria, al di là della storia e del reale, al di là cioè di ogni referenzialità. La storia delle forme letterarie si fa descrizione di un sistema organico, la cui evoluzione segna delle tappe dove il soggetto è la scrittura tutta, intesa come un insieme di particolari scelte e combinazioni di segni linguistici. In questo piano non c’è distinzione tra e ; lo sguardo semiologico non vede divaricazione tra la mimesi della realtà (novel) e la rappresentazione fantastica (romance): in tutti e due i casi ciò che, secondo quello sguardo, realmente accade è una organizzazione formale di artifici, una somma di procedimenti espressivi. Tutt’al più si tratta di comporre una teoria delle funzioni del linguaggio.
Un altro sguardo ha, in modo diverso, affrontato il problema teorico della nascita del romanzo (novel), riconnettendolo all’emergenza storica di una classe, che fa appunto del romanzo il modo del suo racconto; che si racconta, cioè, nella forma del romanzo. L’osservazione attenta che Hegel ha prestato alla nuova forma brucia in un attimo le categorie di genere: il romanzo, anzi, al suo apparire, mette fine ai generi, e alla loro divisione, presentandosi piuttosto come il dissolvimento dell’arte nella «prosa del mondo». Lo scandalo che questa produce sta proprio nella sua assenza di forma: è attraverso questa mostruosità formale che emerge il quotidiano , come morte dell’epos nell’attraversamento «degradato» di un «mondo ordinato a prosa».
Il romanzo dunque non è né un genere letterario, né una categoria dello spirito: è la storia del borghese («questi nuovi cavalieri»), o meglio di un giovane («dei giovani») che devono scontrarsi con il corso del mondo, «il quale si realizza al posto dei loro ideali, e che ritengono una disgrazia che vi siano famiglia, società civile, Stato, leggi, professioni ecc., perché sostanziali relazioni della vita si oppongono crudelmente con la loro barbarie agli ideali e al diritto infinito del cuore. Si tratta dunque di aprire una breccia in quest’ordine delle cose, di mutare il mondo, di migliorarlo, oppure di tagliarsi a suo dispetto perlomeno una fetta di cielo sulla terra: cercare e trovare la propria fanciulla, quale deve essere, e toglierla, portarla via... Ma queste lotte moderne non sono altro che l’apprendistato, l’educazione dell’individuo alla realtà esistente, e acquistano così il loro vero senso».3
Muovendo dall’osservazione di Hegel sulla morte dell’arte, attraverso una mutazione profonda del punto di vista, Lukàcs umanisticamente ricompone un orizzonte di riflessione teorica sul romanzo (e uno spazio di esistenza dell’arte), che darà poi corpo alle affannate omologie goldmanniane, e alle varie, sociologiche, e pericolose, tra romanzo e società. La rottura che questa forma nuova (, appunto) ha operato nell’universo delle forme è colta, dallo sguardo sociologico, all’interno dei contenuti di quella forma: la connessione col piano storico è cronologicamente stabilita (l’economia liberale, l’epoca monopolistica e così via) in termini di idee riflesse, o omologate, nella struttura narrativa; la quale è, a sua volta, sempre gettata verso il referente, e mai colta nel suo piano di , e dunque di una complessità materiale di relazioni linguistiche, dove la presenza delle ideologie, della storia, del «sociale» è sempre presenza spostata, deviata, obliqua. Il discorso sbanda pericolosamente da un interesse alla forma, a un interesse ai contenuti (dalle forme dei contenuti, ai contenuti delle forme): se lo sguardo del semiologo disegna una genealogia delle strutture e delle forme, della loro ripetizione e differenza, che poi abbandona alla specificità letteraria, lo sguardo sociologico aggredisce nel cuore della forma il piano storico delle idee, ma tralascia, come spoglia vuota, lo spessore testuale della scrittura.
C’è anche chi, empiricamente, «crede» che il romanzo sia una modalità di forma e di racconto innata alla natura umana; pressappoco come chi «crede» al mercato come a una forma inevitabile del commercio umano. Questo sguardo empirico, tipicamente anglosassone, vede ciò che appare, e crede a ciò che vede; dell’esistenza della nuova forma prende atto, in quanto esiste. Ne coglie la storicità, cioè l’origine storica precisa, la sua nascita (),4 che non può non connettere – visto che questo sguardo procede per evidenze visibili – a un’altra nascita, quella di una classe. L’emergenza di una nuova classe segna l’emergenza di un diverso modo di raccontare, e raccontarsi.5
Parlare del romanzo – della sua nascita, e sviluppo – è dunque una questione complessa di eredità e genealogie, di somiglianze e differenze: come accade per ogni venuta al mondo. Come in ogni nascita, difatti, la nuova forma produce scandalo, e quindi un gran parlare delle (e sulle) origini. L’energia liberata nella nascita accende una possibilità di libertà infinita: l’appena-nato è l’infinitamente libero, può fare tutto, può diventare tutto.
Il romanzo, l’appena-nato, può, ad esempio, utilizzare narrazione, dramma, saggio, storia, apologo, racconto, epopea, per raccontarsi; ha del trasformista, per quel suo appannare i confini tra la realtà e l’illusione di realtà. Nella sua megalomania crede di poter raccontare il non-raccontabile, di aprire sull’innominabile del quotidiano. Nella sua vocazione democratica, effetto di un narcisismo infantile che non vede distanza tra sé e il mondo e pensa di prendere tutto dentro di sé, il novel si fa forma a-formale, corpo plebeo, senza onore da difendere né categorie da rispettare. Precisamente nell’assenza di forma, nel suo essere corpo che non fissa i propri limiti, e confini – malleabile, pronto a tutto – sta la sua bastarda capacità di egemonia. E la sua testarda voracità e prepotenza nel fare il vuoto intorno a sé.
Fin dall’inizio il novel non ha un’origine onorata; fin dall’inizio è una : non ha legittimità, né pedigree. Il trauma delle incerte origini si rappresenta nei volti che il romanzo assume: ora di Tom Jones, il trovatello, ora di Moll Flanders, l’avventuriera, ora di Robinson, l’esiliato volontario. Puttane, trovatelli, avventurieri, o ripudiati, i suoi personaggi sono tutti illegittimi; lo scandalo della nascita li attraversa, perché attraversa la forma che li narra. L’energia che si sprigiona da queste nascite bastarde è energia potenzialmente distruttiva, che minaccia la stabilità delle gerarchie sociali e narrative. Il desiderio è desiderio di vendetta, e di risarcimento: dentro vi passa la lotta mortale per il diritto al racconto. Lì si decide, tra il sovrano e il servo,6 romanzerà la propria biografia. In questo senso il novel è lo spazio di racconto che da dentro la tragedia cercava l’intrigante, o il bastardo: è dalla spinta aggressiva del servo, che vuol far fuori il signore, e pretende di imporre il proprio dominio nel racconto, e nella rappresentazione, che nasce la volontà romanzesca, che è determinazione alla vita; la vita del servo, e cioè dell’uomo comune, del mondo quotidiano. Non la morte celebrativa e solenne del signore. Il servo (il bastardo, l’intrigante) apre su un panorama di interni, domestico, e di domestici, che il signore aveva tenuto chiuso; e impone lo sguardo sull’evidenza brutale del suo corpo, della sua fatica, del suo linguaggio: esibisce la sua propria vita, il suo proprio quotidiano, laborioso prodursi nella scena del mondo...