E-Book, Italienisch, 152 Seiten
Forlai Lo Spirito Santo
1. Auflage 2025
ISBN: 978-88-922-3494-9
Verlag: San Paolo Edizioni
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
E-Book, Italienisch, 152 Seiten
ISBN: 978-88-922-3494-9
Verlag: San Paolo Edizioni
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Questo libro mira a renderci consapevoli di ciò che ripetiamo con le labbra quando diciamo «Credo nello Spirito Santo». Dopo aver preso in esame la fede della Chiesa circa lo Spirito, ripercorrendo alcune immagini bibliche e commentando le affermazioni del Credo niceno-costantinopolitano sul Consolatore, l'autore abbozza il rapporto esistente tra lo Spirito Santo e la Chiesa: non c'è infatti vera Chiesa senza il Paraclito! Questo viaggio affascinante prosegue mettendo a tema specularmente il discernimento delle ispirazioni che la Terza Persona suscita nei singoli e nella comunità e le varie modalità che mortificano lo Spirito: da alcune eresie specifiche, al falso misticismo, sino ai peccati contro lo Spirito Santo. Viene infine preso in esame il rapporto stretto tra lo Spirito e la vita battesimale: la vita spirituale infatti non è un'esistenza diversa da quella terrena, ma è la vita dello Spirito in noi. Siamo esseri 'spirituali' non perché fuggiamo le cose della terra, ma perché il Consolatore si trova a suo agio in noi.
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LA FEDE DELLA CHIESA NELLO SPIRITO SANTO
La Chiesa ha ricevuto dalla rivelazione divina una verità sullo Spirito Santo che in questo capitolo ci accingiamo ad approfondire un poco. La dottrina è lo strumento che traduce l’esperienza e la verità che la comunità ha appreso in maniera esplicita e talvolta implicita. Essa ci offre la garanzia che non ci stiamo ingannando e ci mette al riparo dal seguire qualsiasi vento di dottrina come bambini orfani sballottati ora qua ora là (cf. Ef 4,14). I dogmi non sono costrizioni mentali o gabbie, bensì – come insegnava il teologo domenicano Yves Congar – «delle frecce scagliate verso il futuro», a indicare la direzione per approfondire sempre più accuratamente il mistero di Dio. Il dogma è sia roccia che freccia: dona stabilità e conferisce movimento. Chi ha studiato con passione la storia della formazione dei dogmi conosce molto bene queste cose, come sa anche che sovente chi le sminuisce lo fa perché non ha mai studiato sul serio. L’ignoranza, purtroppo, produce disprezzo.
Prima di entrare nel vivo del capitolo premetto alcune semplici precisazioni per inquadrare bene lo sfondo su cui collocare ciò che andrò ad esporre.
«La fede non termina negli enunciati, bensì nella realtà», insegnava san Tommaso d’Aquino. L’Angelico Dottore voleva intendere con questo assioma che le parole che usiamo per esprimere una dottrina di fede alla verità significata e non la esauriscono. Noi non crediamo alle parole, ma alla sostanza che le parole indicano. I termini con i quali si enuncia la dottrina (anche nei Simboli di fede) sono scelti perché si avvicinano maggiormente alla realtà che si vuole credere. La conseguenza è importantissima: la dottrina non è un discorso ideato a tavolino con un vocabolario da sfogliare accanto, bensì un’esperienza di fede che cerca le parole più giuste e meno equivoche per esprimere al meglio ciò che si è ricevuto e sperimentato.
Un secondo aspetto conseguente al primo: san Giovanni della Croce insegnava che il credente che desidera conoscere e amare Dio si serve della luce riflessa dai dogmi di fede per trovarlo e gustarlo. Certo – scrive il Dottore mistico – le formule dogmatiche non esauriscono la verità, ma non per questo possono essere dimenticate o minimizzate; piuttosto esse sono come l’argento che riveste un vaso dorato che ci viene donato. Il vaso – ovvero il dogma – è oro puro, anche se arriva a noi nel limite del linguaggio umano, che è come l’argento del rivestimento. La verità cristiana è insieme certa e umile: certa nella sostanza, umile nel linguaggio.
Infine, noi recitiamo «credo nello Spirito Santo» e non «credo Spirito Santo». Un particolare di fondamentale importanza. Credere «nello» significa che io credo grazie a Lui, che lo Spirito è il suscitatore del mio atto di fede. Lo Spirito non è un oggetto da studiare, ma una Persona che sta con me, che vuole farsi complice della mia vita. È perché c’è lo Spirito che si può aver fede; se così non fosse, credere non significherebbe altro che dare credito a qualcosa di esterno a me, come alle notizie che leggo sul giornale. Se ci pensiamo bene, questo vale anche per l’amore: in non decido di amare una persona qualunque, ma quella persona specifica perché si è fatta presente nella mia esistenza. Amo “nella” persona, poiché la sua presenza mi è diventata preziosa e ha suscitato in me il moto dell’affetto. Credere nello Spirito Santo è un atto che si muove sulla stessa lunghezza d’onda dell’amore.
Immagini bibliche dello Spirito Santo
Come si fa a vivere senza la Scrittura? È come stare tutto il giorno senza bere acqua; a lungo andare ci si disidrata. Sul momento non si sente grande disagio (specialmente d’inverno), ma l’organismo soffre in silenzio. La Bibbia è la roccia da cui sgorga l’acqua: per avere un cuore puro bisogna attingerne in abbondanza. Finché non capisco che la Bibbia parla proprio di me (e non solo “a me”), rimarrà sempre la bibita che piace agli amici ma che io non ordinerei mai al bar.
Dalla fonte della Scrittura arriva a noi la buona notizia dello Spirito Santo. Ma ci arriva non con un discorso rigorosamente logico o lineare, bensì tramite metafore, rimandi, allusioni. La Bibbia – presa nel suo insieme – è più simbolica che analitica. Ciò non vuol dire affatto che non comunichi una realtà (la Bibbia non è un libro di favole) bensì che i suoi tre linguaggi principali – nomistico, profetico e sapienziale – non sono proprio quelli che oggi ci risultano più familiari. Pertanto approcciamo insieme qualche immagine scritturistica che ci rimanda al graduale cammino di comprensione dello Spirito da parte del popolo d’Israele. Si tenga presente che l’Antico Testamento parla sostanzialmente dello Spirito non come persona individuabile ma come aspetto dell’azione di Dio, suo attributo: il Creatore agisce tramite il suo “spirito”. Bisognerà aspettare il Maestro Gesù per avere una rivelazione dello Spirito come persona in senso pienamente teologico. Comunque, non voglio dire tutto in questo capitolo: altri aspetti biblici fondamentali li riprenderò nel prosieguo del testo.
– Vento. Il termine maggiormente utilizzato nella Bibbia per indicare lo Spirito di Dio è , che significa per l’appunto «vento» o «soffio di vento». L’associazione del termine al nostro soggetto deve il suo successo al fatto che il vento è inafferrabile; l’uomo antico non ne conosceva la provenienza fisica. Il vento, inoltre, sospinge le acque (apre il Mar Rosso al passaggio del popolo in fuga dal faraone), alimenta il fuoco facendolo divampare ed espandere. Il vento orientale fa anche inaridire la terra e seccare le piante, come accadde al ricino sotto il quale si era rifugiato un Giona indispettito. Una sublime immagine dello Spirito l’abbiamo poi nel Primo libro dei Re (19,12): Elia, stanco e affranto per le minacce della malvagia regina Gezabele, dopo aver attraversato il deserto arriva finalmente al monte di Dio, l’Oreb. Lì, rannicchiato in una grotta, viene raggiunto dal Signore nel «mormorio di un vento leggero». Dio non è nel fuoco o nel terremoto, ma umilmente e delicatamente in un lieve soffiare.
– Alito. Lo Spirito di Dio è anche alito, respiro vitale (). Quando il Creatore plasma l’essere umano impastandolo dalla polvere della terra, infonde nel simulacro il suo alito, la vita dell’anima (), o secondo altri il principio divino (cf. Gen 2,7). L’uomo ha in sé un alito che comunica con il respiro di Dio. Anche gli animali possiedono un respiro di vita che con la morte ritorna alla terra. Gesù risorto alita sugli apostoli chiusi nel cenacolo per paura dei Giudei, donandogli il perdono (cf. Gv 20,22). All’alito dobbiamo associare anche la saliva, che per gli Ebrei era una condensazione dell’alito: ricordiamo le guarigioni di Gesù operate con la sua saliva, come nell’episodio del cieco narrata dal Quarto Vangelo (cf. Gv 9,6), o quella del cieco di Betsaida in Marco (cf. 8,22). La saliva, così come l’alito, racchiude in sé l’esistenza del soggetto, la sua forza vitale.
– Fuoco. Lo Spirito è anche fuoco. Elia il profeta è posseduto dallo Spirito di Dio, e divenne come fuoco (cf. Sir 48,1); il fuoco è anche associato al giorno del giudizio in cui viene svelato il peccato e consumato per sempre (cf. Lc 3,1-18); il fuoco purifica l’oro dalle scorie, discerne ciò che ha valore da ciò che è falsificato. Da ciò capiamo bene perché noi invochiamo lo Spirito Santo quando dobbiamo scegliere o discernere la volontà di Dio. Il fuoco – e questo è molto importante – ha anche una funzione liturgica perché indica il gradimento da parte di Dio dell’offerta o sacrificio che gli viene fatto (cf. 2Cr 7,1). Questo ci fa capire che il fuoco che scende a Pentecoste nel cenacolo di Gerusalemme è anche segno di gradimento da parte del Signore della preghiera che Maria e i discepoli innalzano al cielo.
– Acqua. Se lo Spirito è un fuoco che purifica e consuma, non può che essere – per una logica di polarità - anche l’acqua che vivifica e irriga la terra. Ricordiamo bene come in Genesi lo Spirito di Dio aleggiasse sulle acque, al modo di una colomba che cova le uova nel nido in attesa che si schiudano (cf. Gen 1,2). San Paolo parlando ai credenti di Corinto ricorda loro che tramite il battesimo si sono «abbeverati a un solo Spirito» (1Cor 12,13), e questo Spirito – come promesso da Gesù alla Samaritana presso il pozzo – zampilla in noi come sorgente inesauribile per la vita eterna (cf. Gv 4,10-14).
– Nube. Come sappiamo dal libro dell’Esodo, il popolo nel deserto, in cammino verso la terra promessa, viene guidato da una nube oscura di giorno, che di notte appare luminosa per illuminare la strada (cf. Es 40,36-38); la nube si posa sulla tenda del convegno fatta costruire da Mosè, ove era custodita l’Arca dell’alleanza, prendendone così possesso e prefigurando il protagonismo dello Spirito stesso nel culto templare in Gerusalemme (cf. Es 33,9-10). Questa nube diviene immagine dello Spirito divino che con la sua ombra copre e consacra Maria nell’annunciazione (cf. Lc 1,35) e avvolge i discepoli in contemplazione di Cristo trasfigurato sul monte Tabor (cf. Lc 9,34). La nube pervade e ricopre, è segno di una presenza ma al contempo sembra oscurare la capacità di vedere: solo dentro la nube – quando i punti di riferimento di appannano – si può percepire la voce del Padre...