E-Book, Italienisch, 458 Seiten
Reihe: Filigrana
Fofi / Morreale Son nato scemo e morirò cretino
1. Auflage 2022
ISBN: 978-88-3389-398-3
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Scritti 1956-2021
E-Book, Italienisch, 458 Seiten
Reihe: Filigrana
ISBN: 978-88-3389-398-3
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Dalla Sicilia delle baracche alla Torino del boom, dal Sessantotto agli opachi anni Ottanta, fino all'intervento sociale degli anni Novanta, Goffredo Fofi ha attraversato gli ultimi decenni del Novecento e si è affacciato al nuovo millennio offrendo un raro esempio di lucidità e militanza. Ha fondato riviste, pubblicato libri, lanciato iniziative, scoperto fenomeni e talenti, creato reti di persone, stroncato intoccabili: una sorgente continua di idee, ha contraddetto e non ha mai avuto paura di contraddire anche se stesso. Riproposti in modo organico e ragionato, questi scritti ricostruiscono il percorso complesso e affascinante di un vero intellettuale, spaziando dal confronto serrato con i maestri, gli amici e i fratelli maggiori (Fellini, Bene, Morante, Calvino) alle scoperte e riscoperte di autori trascurati o dimenticati, alla valorizzazione della cultura di massa più vitale, sempre in largo anticipo rispetto al mondo accademico.
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Premessa
Questo volume raccoglie, con il consenso dell’autore (che ha suggerito il titolo, tratto da un del repertorio di Nino Taranto, e l’epigrafe iniziale), una scelta degli scritti di Goffredo Fofi in oltre sessant’anni di attività. Una selezione parzialissima, arbitraria, che vorrebbe quantomeno dar conto del suo percorso e della sua vastità di interessi. Diciamolo subito, però: qualunque antologia sarebbe manchevole, perché il centro dell’attività di Fofi sta anche fuori e a fianco alla pagina scritta, della quale si è spesso liberato con impazienza, come corollario di un’attività di animatore, osservatore partecipante, militante sui generis. Eppure a lui si devono scritti importanti, che messi in fila costituiscono un viaggio nella storia d’Italia unico perché trasversale, tra scelte minoritarie e partecipazione critica ai mutamenti storici.
È difficile spiegare chi sia Goffredo Fofi in poche pagine ed è anche curioso come esistano, a seconda delle persone che si interrogano, tanti Fofi diversi. Per alcuni è anzitutto un critico cinematografico, ed è in effetti nell’ambito della critica e della storia del cinema che si trovano alcuni dei suoi risultati più noti: il pamphlet (1971), la raccolta (1977) e i due firmati insieme a Franca Faldini, (1968), che sancì la clamorosa riscoperta del comico, e in tre volumi (1979-1984), monumentale raccolta di interviste che compongono una storia orale del cinema italiano. Fofi è poi critico letterario attento e presente, scopritore e precursore di talenti e tendenze e riscopritore di tesori sepolti. Un memorabile racconto della sua amica Grazia Cherchi, che lo vedeva protagonista, era intitolato : e Fofi ha collaborato a vario titolo con decine di case editrici, a volte in maniera più organica (Garzanti e Feltrinelli negli anni Settanta), a volte come consigliere e suggeritore, spesso gratuito. Insomma, un uomo che ha visto tutti i film e letto tutti i libri: ma (come testimonia questa raccolta) in dialogo con esperienze, movimenti, tendenze della società, lontano dai grandi media e dall’università. E infatti è quello il Fofi conosciuto da operatori sociali, preti, attivisti.
Il suo percorso è assolutamente irregolare: maestro elementare, nel 1955 si trasferisce da Gubbio a Palermo dopo aver letto sulla rivista un reportage di Enzo Sellerio sulle baracche di Cortile Cascino. Lì lavora per un anno e mezzo, per trasferirsi prima a Roma, studiando in una scuola per assistenti sociali di ispirazione olivettiana, e poi a Torino, a svolgere un’inchiesta sugli immigrati meridionali: ideale proseguimento, nel cuore del boom, dell’attivita precedente. È il primo scandalo: viene rifiutato dalla casa editrice Einaudi, timorosa davanti all’attacco nei confronti degli industriali torinesi, e della FIAT in particolare. Il violento dibattito interno porta al licenziamento di due membri del consiglio editoriale. Il libro è pubblicato da Feltrinelli nel 1963, ma a qual punto Fofi è già a Parigi, dove ha raggiunto i genitori (il padre era emigrato per lavorare in fabbrica). È l’incontro col mondo del cinema nelle cineteche, e con uno strano coté cinefilo della , quello della rivista coi suoi intellettuali «trockisti-surrealisti»: facendo ancora la spola con Torino, fonda una rivista di cinema fortemente polemica e politicizzata, . La stagione di maggior notorietà come intellettuale è però quella successiva al ’68: Fofi si è unito qualche anno prima a Piergiorgio Bellocchio e Grazia Cherchi, che animano , e la rivista diventa ben presto la più autorevole del ’68 italiano. Lì scrive dapprima soprattutto di cinema, fustiga i grandi autori italiani e cerca una faticosa doppia alternativa in un cinema militante che non esiste ancora, e non esisterà mai davvero, nei grandi registi della «negazione borghese» (Ferreri, Bene, Bellocchio in Italia; Kubrick, Buñuel o Losey all’estero) e in certa Hollywood vecchia (Hawks, Cukor, Mankiewicz) e nuova (Peckinpah, Penn, Altman). Ma a questo punto si apre una nuova fase, col trasferimento a Napoli e il lavoro alla Mensa dei bambini proletari, iniziativa di base nel quartiere Montesanto: l’ambito ideologico è vicino a , di cui Fofi è un compagno di strada. La stagione dell’impegno è accompagnata da una nuova serie di (1970-1978), da rivista di cinema trasformata in rivista politica, di critica interna alla nuova sinistra.
Con la fine dei movimenti e il trasferimento a Milano nei primi anni Ottanta, il centro di interesse di Fofi tornano a essere le arti, e la letteratura in particolare. Fonda e dirige , probabilmente la rivista letteraria più ricca del periodo, aperta al teatro, al cinema, e ovviamente alla politica. Sfogliandone i numeri si trova il meglio di quegli anni, e molto del meglio di quanto avverrà nei decenni successivi. La «fine delle ideologie» porta anche curiosità, apertura all’esterno; con un’amarezza indignata verso il grigiore circostante ma anche, segretamente, un senso di liberazione nei confronti dei super-Io politici. È interessante leggere in parallelo con una rivista gemella e opposta di due compagni di strada, di Piergiorgio Bellocchio e Alfonso Berardinelli, che si ritirano in un nobile distacco dal presente cercando di salvare le verità ultime o penultime e recuperando una tradizione che va da Camus a Orwell, da Chiaromonte a Simone Weil. Se i padri sono gli stessi, sceglie però la via di un confronto diretto e costante col presente, alla ricerca delle tracce di novità e di vitalità. È questa anche, probabilmente, la stagione più felice del Fofi saggista, con le due raccolte che mi sembrano i suoi capolavori, (1985), seguito di , liberato dall’urgenza politica e più attento alla riflessione generale, e (1988), confronto con maestri, tendenze, casi esemplari e osservazioni di costume in cui si fa strada una dimensione memorialistica. E mentre sempre più esplicite le radici anarchiche del suo pensiero, appare anche sempre più chiaro come la sua vena autentica sia quella del «moralista» e non del «politico».
Dalla fine degli anni Ottanta e per tutti i Novanta, nuovi motivi di interesse paiono arrivare dal mondo del sociale e delle culture giovanili. Il mensile , che esce per un anno e mezzo fra il 1995 e il 1996, reca come sottotitolo «rivista dell’intervento sociale», e ha al suo interno la sezione , affidata a collaboratori fra i 20 e i 30 anni, che quasi sistematizza il lavoro di scouting svolto da Fofi nei decenni precedenti (è lì, fra l’altro, che escono i primi articoli di un Alessandro Leogrande ancora liceale). Ma già prima il confronto con un pubblico giovane si era svolto su varie sedi, da (dove Fofi tiene una rubrica di critica cinematografica) a , mensile popolare che tentava una variante «di sinistra» del magazine giovanile. La rivista successiva, , è la sua più longeva (dal 1998 al 2019), la più «generalista» (come a fondere le anime delle riviste precedenti, mette insieme politica, arti, società), e accompagna però anche la sempre minor incidenza della forma-rivista, messa ai margini del discorso culturale. L’ultima, , è un’unione tra l’anima sociale e quella culturale, e non a caso a essa si è affiancata e ha preso sempre più spazio una produzione editoriale con una casa editrice dallo stesso nome.
Questo breve resoconto chiarisce come gli scritti qui raccolti siano solo la parte emergente di un creatore di legami tra persone, fornitore di idee, suscitatore, committente, talent-scout. Il viaggio di Fofi, va aggiunto, è anche fisico, fatto di tappe che coincidono con diverse città: la Palermo degli anni Cinquanta, Roma e poi Parigi e Torino nei Sessanta, Napoli nel decennio successivo, Milano negli Ottanta, infine Roma (dapprima ancora con un pendolarismo napoletano, negli anni della rinascita della città, seguito tramite la rivista ). Tutti approdi parziali, perché Fofi, come sa chiunque lo conosca, è in viaggio quasi quotidiano attraverso l’Italia, fiducioso in un contatto diretto con le varie realtà, di casa nei posti più improbabili: una figura che nell’era dei contatti virtuali porta ostinatamente avanti una ricerca fisica di luoghi e persone.
Questa antologia, si diceva, è un viaggio parziale, in cui l’occhio del curatore di sovrappone alla produzione dell’autore con esplicito arbitrio. La scelta più vistosa è stata quella di adottare un ordine cronologico: in apparenza l’opzione più neutrale, in realtà quasi «a effetto». Organizzare per temi avrebbe fatto perdere la varietà di interessi anche simultanei dell’autore, che (per fare un esempio) nello stesso paio d’anni in cui, vissuto da protagonista il ’68 tra Torino e Milano e già indirizzato verso il lavoro di base a Napoli, sferra attacchi al cinema italiano ufficiale, rivaluta clamorosamente Totò, si entusiasma per il poemetto di Elsa Morante e per , traduce...