Fitzgerald | Di qua dal paradiso | E-Book | sack.de
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E-Book, Italienisch, 377 Seiten

Reihe: Minimum classics

Fitzgerald Di qua dal paradiso


1. Auflage 2018
ISBN: 978-88-7521-417-3
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

E-Book, Italienisch, 377 Seiten

Reihe: Minimum classics

ISBN: 978-88-7521-417-3
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



'Di qua dal paradiso' è l'esordio letterario di Francis Scott Fitzgerald e il romanzo che rivelò al mondo il suo talento narrativo. Opera in gran parte autobiografica, ha conosciuto un enorme successo sin dalla sua prima uscita, nel 1920, e da allora è entrata nel canone della letteratura del Novecento. Nel personaggio di Amory Blaine, affascinante e irrequieto studente di Princeton, vediamo riflesse le aspirazioni di un'intera generazione, quella dei giovani americani negli anni del primo conflitto mondiale: una generazione combattuta fra l'idealismo e l'edonismo, fra i sogni di trasformazione sociale e la ricerca del successo personale, e infine rassegnatasi a un doloroso passaggio all'età adulta.

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1 Amory, figlio di Beatrice


Amory Blaine ereditò da sua madre tutti i tratti, tranne quei pochi, sparuti e indefinibili che lo rendevano interessante. Il padre, un uomo inconcludente e incapace di esprimersi, con una predilezione per Byron e l’abitudine di appisolarsi sull’, divenne ricco all’età di trent’anni grazie alla morte dei due fratelli maggiori, broker di successo a Chicago, e non appena ebbe la sensazione che il mondo fosse ai suoi piedi, andò a Bar Harbor dove conobbe Beatrice O’Hara. Di conseguenza, Stephen Blaine tramandò ai posteri il suo metro e ottanta di altezza e la tendenza a esitare nei momenti cruciali, caratteristiche che riapparvero in suo figlio Amory. Per molti anni non fu altro che una figura sfumata sullo sfondo della vita familiare, un uomo timido col volto mezzo nascosto dietro ai capelli lisci e sbiaditi, sempre occupato a «prendersi cura» di sua moglie, sempre angosciato dall’idea di non capirla e di non riuscire a capirla.

Ma Beatrice Blaine! Che donna! Le fotografie di quando era giovane, scattate nella tenuta di suo padre a Lake Geneva, in Wisconsin, o a Roma, nel Convento del Sacro Cuore – una scuola di lusso riservata all’epoca solo alle figlie di gente estremamente facoltosa – rivelavano la straordinaria delicatezza dei suoi lineamenti, la sobrietà e la raffinata eleganza dei suoi abiti. Eccezionale la sua educazione: trascorse la giovinezza tra fasti rinascimentali, erudita sugli ultimi pettegolezzi riguardo le più antiche famiglie romane, nota come una ricchissima ragazza americana al cardinal Vittori e alla regina Margherita, nonché ad altri personaggi più distinti, che solo gente di una certa cultura poteva aver sentito nominare. In Inghilterra scoprì di preferire il whisky e soda rispetto al vino, mentre durante un inverno trascorso a Vienna perfezionò la sua arte salottiera. Nel complesso, Beatrice O’Hara assorbì un’educazione che oramai non sarebbe più possibile, un’istruzione che si misurava sul numero di cose e di persone di cui saper parlare con disprezzo o con entusiasmo, una cultura fatta di arte e tradizione, totalmente priva di idee, sullo scorcio di un’epoca in cui il grande giardiniere recideva le rose inferiori per far germogliare un unico bocciolo perfetto.

Nel periodo meno significativo della sua vita, Beatrice tornò in America, incontrò Stephen Blaine e lo sposò, il tutto quasi esclusivamente perché si sentiva un po’ stanca e un po’ triste. Il suo unico figlio, dopo una stagione lunga ed estenuante, venne alla luce un giorno di primavera del 1896.

All’età di cinque anni, Amory era già diventato, per lei, un delizioso compagno. Aveva capelli biondo ramato, occhi grandi e incantevoli a cui crescendo sarebbe diventato più adatto, una fervida immaginazione e un certo gusto per gli abiti eleganti. Dai quattro ai dieci anni il paese in lungo e largo insieme a sua madre, sul vagone privato del padre, da Coronado – dove sua madre si annoiò talmente tanto da avere un collasso nervoso in un albergo alla moda – fino a Città del Messico, dove si ammalò in forma lieve di una tubercolosi quasi epidemica. Un malessere che non le dispiaceva affatto e che, in seguito, trasformò in un elemento intrinseco alla propria aura, specialmente dopo un buon numero di eccellenti bicchierini. Così, mentre ragazzini ricchi, più o meno fortunati, disubbidivano alle loro governanti sulla spiaggia di Newport, venivano sculacciati, consegnati agli istitutori o costretti a sorbirsi letture di o , Amory maltrattava i solerti fattorini del Waldorf, sviluppava un innato disprezzo per la musica da camera e le sinfonie, e riceveva da sua madre un’educazione altamente specializzata.

«Amory».

«Sì, Beatrice». (Un nome bizzarro per una madre, ma a lei piaceva farsi chiamare così.)

«Caro, ad alzarti già dal letto. Ho sempre avuto il sospetto che le levatacce nei primi anni di vita rendano nervosi. Clothilde ti farà portar su la colazione».

«Va bene».

«Mi sento molto vecchia oggi, Amory», sospirava, il volto un prezioso cammeo carico di pathos, la voce straordinariamente modulata e le mani agili come quelle della Bernhardt. «Ho i nervi a pezzi, a pezzi. Domani dobbiamo andarcene da questo posto tremendo e cercare un po’ di sole».

Gli occhi verdi e penetranti di Amory guardavano sua madre attraverso un groviglio di capelli. Persino a quell’età non si faceva più illusioni su di lei.

«Amory».

«Oh, ».

«Voglio che ti faccia un bagno bollente, più caldo che puoi, per distendere i nervi. Puoi leggere nella vasca se ti va».

Prima dei dieci anni gli fece leggere delle parti delle , e verso gli undici anni Amory poteva disquisire con scioltezza, sebbene un po’ artificiosamente, di Brahms, Mozart e Beethoven. Un pomeriggio che si trovava da solo in un albergo di Hot Springs, assaggiò il liquore all’albicocca di sua madre e lo trovò nient’affatto male, tanto da prendersi una leggera sbronza. Una cosa divertente fino a quando, nell’esaltazione del momento, decise di provare una sigaretta, che gli scatenò una volgare reazione plebea. Per quanto Beatrice si dicesse inorridita dall’episodio sotto sotto ne fu anche divertita, e divenne parte di ciò che la generazione successiva avrebbe definito il suo «cavallo di battaglia».

«Questo mio ragazzo», Amory la sentì dire un giorno rivolta a un pubblico di donne piene di stupore e ammirazione, «è così sofisticato e affascinante... ma è anche delicato... siamo tutti delicati , capite». La sua mano si stagliava luminosa contro il bellissimo seno, poi abbassando la voce fino a un sussurro raccontò la storia del liquore all’albicocca. Le donne si divertirono perché Beatrice era un’ottima narratrice, ma quella notte furono in molte a serrare a chiave gli armadietti in vista di eventuali defezioni dei piccoli Bobby o delle piccole Barbara...

Questi pellegrinaggi per gli Stati Uniti avvenivano sempre in pompa magna, con due cameriere al seguito, il vagone privato, o il signor Blaine se era disponibile, e spesso anche un medico. Quando Amory si prese la pertosse c’erano quattro specialisti chini intorno al suo letto che si scrutavano l’un l’altro indignati; quando si ammalò di scarlattina il numero di persone che si prendevano cura di lui, compresi medici e infermiere, salì a quattordici. Comunque, visto che il sangue non è brodo, Amory se la cavò.

I Blaine non erano legati a nessuna città in particolare. Erano «i Blaine di Lake Geneva», avevano parenti a sufficienza da non aver bisogno di amici, e una reputazione invidiabile che andava da Pasadena a Cape Cod. Ma Beatrice diventava sempre più incline a prediligere solo le nuove conoscenze, perché c’erano certe storie, come quella della sua costituzione con i vari emendamenti, o certi ricordi del suo passato all’estero, che aveva bisogno di raccontare a intervalli regolari. Erano storie che andavano esorcizzate, proprio come i sogni freudiani, altrimenti avrebbero assalito e assediato il suo sistema nervoso.

Beatrice era critica nei confronti delle donne americane, specialmente della fluttuante popolazione di quelle che venivano dall’Ovest.

«Hanno un accento, mio caro», disse ad Amory, «che non è l’accento del Sud, o quello di Boston, non è di nessun posto in particolare, è un accento e basta». Poi, con l’aria trasognata: «Sono andate a ripescare quel vecchio accento londinese consunto che non ha più nessun fascino ma che qualcuno deve pur usare. Parlano come potrebbe parlare un maggiordomo inglese dopo anni passati in una compagnia operistica di Chicago». E al limite dell’incoerenza concludeva: «Immagina che nella vita di tutte le donne dell’Ovest arrivi questo momento... ecco... pensano che siccome loro marito è tanto ricco, si devono permettere un accento... e vorrebbero impressionare proprio , caro».

Per quanto Beatrice considerasse il proprio corpo un groviglio di fragilità, riteneva che la sua anima fosse altrettanto malata e proprio per questo di vitale importanza. Un tempo era stata cattolica, ma quando scoprì che i preti si interessavano a lei molto di più nei periodi in cui era in procinto di abbandonare o di riconquistare la fede nella Chiesa, decise di conservare un atteggiamento deliziosamente volubile. Deprecava spesso l’impronta borghese del clero cattolico americano ed era abbastanza convinta che, se fosse vissuta all’ombra delle grandi cattedrali europee, la sua anima sarebbe arsa come una fiammella sull’imponente altare di Roma. Ma comunque, insieme ai dottori, i preti erano il suo passatempo preferito.

«Ah, vescovo Wiston», esclamava, «non ho proprio voglia di parlare di me stessa. Me le immagino le orde di donne isteriche che assediano la sua porta, scongiurandola di essere comprensivo» – poi, dopo l’intermezzo del sacerdote – «ma il mio stato d’animo... è... curiosamente diverso».

Solo a sacerdoti di rango non inferiore a quello di un vescovo confidava la sua storia d’amore clericale. La prima volta che era ritornata nel suo paese aveva incontrato ad Asheville questo giovane pagano, appassionato di Swinburne, e si era presa una cotta per i suoi baci appassionati e i suoi discorsi poco sentimentali. Insieme avevano affrontato i pro e i contro della faccenda con un romanticismo intellettuale privo di smancerie. Alla fine lei aveva...



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