E-Book, Italienisch, 193 Seiten
Reihe: Filigrana
Dickens / Bartoli L'anima degli affari
1. Auflage 2021
ISBN: 978-88-3389-313-6
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Lettere e riflessioni sul mestiere di scrivere
E-Book, Italienisch, 193 Seiten
Reihe: Filigrana
ISBN: 978-88-3389-313-6
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
CHARLES DICKENS 1812 / 1870 narratore, giornalista, saggista, è universalmente considerato un classico dell'Ottocento inglese e della letteratura mondiale. Tra i suoi quindici romanzi vanno annoverati capolavori immortali come Il Circolo Pickwick, Le avventure di Oliver Twist, David Copperfield, Grandi speranze, Tempi difficili, Dombey e figlio, La piccola Dorrit.
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Introduzione
Nel gennaio del 1839 Charles Dickens ricevette una lettera firmata da un tale John Overs. Come molte altre, veniva da un aspirante scrittore in cerca di assistenza, eppure doveva avere un che di speciale, perché lo scambio di quel giorno inaugurò un’insolita amicizia che si protrasse per sei anni e che segnò, in modi differenti, l’opera di entrambi i corrispondenti.
John Overs era un ebanista specializzato nella realizzazione di quegli studioli allora definiti «gabinetti medici»: insomma, uno di quei falegnami che realizzavano pezzi di mobilio senza troppe rifiniture e addobbi, venduti a poco prezzo. Era inoltre affetto da gravi problemi respiratori, difficoltà tramutatesi nel tempo in pleurite cronica, tra le forme più gravi di tubercolosi. Quando scrisse a Dickens per la prima volta, «Boz» era già sulla bocca di tutti con e e stava per abbandonare il suo ruolo di direttore della rivista , all’interno della quale Overs sperava di veder pubblicate alcune sue poesie. Giudicandole meritevoli, Dickens si prese la briga di inoltrarle a William Harrison Ainsworth, che di lì a poco avrebbe preso il suo posto. Dopo alcuni passaggi di mano in mano, le poesie finirono per comparire sul . Da allora Dickens prese a interessarsi profondamente a Overs: gli faceva visita quando poteva, e lo accoglieva a casa sua all’incirca ogni domenica, non mancando mai di offrirgli in prestito un volume che avrebbe rappresentato l’utile spunto per la chiacchierata della settimana successiva. Quel che oggi colpisce di più, tuttavia, è che Overs non prendeva in prestito titoli qualsiasi, ma perlopiù volumi in cui risultava preponderante l’attenzione verso la classe dei lavoratori, che l’uomo tanto fieramente rappresentava. Fu così che questo insolito rapporto tra i due valicò i confini dell’atto di carità e si tramutò in un vero e proprio scambio professionale, fruttuoso per entrambe le parti.
Il lettore di queste pagine avrà senz’altro familiarità con la varietà di temi e di classi sociali che Dickens, nel corso dei decenni, rese protagonisti delle sue grandi storie. Venire in contatto con i poli più estremi della società e trovarvi un terreno fertile su cui imbastire una trama originale, in fondo, era semplice. Gli sfarzi dei più abbienti erano ormai entrati nella quotidianità della vita dell’autore, in una Londra vittoriana fatta di banchetti e club per gentiluomini; i poveracci affollavano le strade più buie che Dickens tanto amava attraversare di notte, a passo spedito, per osservare e rielaborare. I lavoratori però sfuggivano al suo sguardo indagatore. Erano il vero motore di una società in piena rivoluzione industriale, eppure celati da un velo talvolta impenetrabile. L’amicizia con Overs permise a Dickens di aprirsi una personale finestra su quella classe che operava in penombra, e di riuscire così ad ascoltarla e comprenderla per tracciarne un ritratto letterario che finalmente le rendesse giustizia.
Per decenni gli studiosi furono convinti che nulla fosse sopravvissuto dei commenti inviati da Overs a Dickens, in parte perché trasmessi solo in forma orale, in parte perché andati distrutti nel tempo. Soltanto nel 1974 trapelò una lunga lettera1 – il manoscritto originale consta di ben sedici facciate – in cui Overs si dilunga molto dettagliatamente su di Thomas Carlyle.
Due cose mi portano a seccarvi con le mie osservazioni. La prima: – Perché so che v’interessate alla condizione del povero: e la Seconda: – perché l’Autore (a mio avviso) non ha aggiunto alcunché di concreto all’argomento. Le risposte che fornirò a ogni sua domanda saranno mosse da nulla più che la semplice schiettezza d’un lavoratore; m’esprimerò in prima persona, e in qualità di lavoratore, ma presentando le stesse opinioni e osservazioni che un qualsiasi altro lavoratore formulerebbe, e che chiunque altro formulerebbe, se mosso da buonsenso. Se avrete un’ora libera in cui non vi seccherà dedicarvici, ne ricaverete quantomeno la verità dei fatti.
Nella sua lunga recensione, del cui contenuto in questo frangente non si ritiene necessario riportare i dettagli, Overs proclamava aspramente che la condizione del lavoratore, rispetto a quella descritta da Carlyle, fosse «decisamente ».
Overs morì il 28 settembre 1844, mentre Dickens si trovava a Genova, intento a dar forma al suo nuovo libro di Natale, . Difficile pertanto pensare che la preponderanza della classe lavoratrice all’interno del racconto di quell’anno fosse una semplice coincidenza. Come suggerito sia da Sheila Smith che da Michael Slater,2 Will Fern rappresenta il primo personaggio rilevante nell’opera di Dickens che appartenga a quella classe, e nel suo approccio ribelle trovano nuova linfa vitale i toni e le argomentazioni con cui Overs aveva criticato il volume di Carlyle – e probabilmente molti altri, di cui oggi si è persa ogni traccia. Ma il tributo ne non fu forse l’unico modo con cui Dickens tentò di mantener viva la memoria dell’insolito amico: pochi mesi prima della sua scomparsa, lo scrittore s’impegnò ad assisterlo nella ricerca di un editore per il suo ,3 infine pubblicato da Thomas C. Newby e corredato da una prefazione dello stesso Dickens, a sancire l’inaspettato legame.
Il cortese lettore di questo libricino [...] sarà naturalmente indotto a domandarsi com’è che si apra con una prefazione che reca la mia firma; e di certo il diritto e l’interesse del lettore a soddisfare questa sua curiosità non hanno gran probabilità di ridursi se metto in chiaro, dal principio, che non lo reputo un libro di estrema originalità ed eccezionale merito, né pretendo d’aver scovato, in quest’uomo umile, straordinari acume e genialità [...] e non ho che una semplice storiella da raccontare. John Overs, l’autore delle pagine che seguono, è, come espresso a chiare lettere dal frontespizio, un lavoratore.
Un uomo che si guadagna da vivere ogni settimana (o se lo guadagnava, quando le forze glielo consentivano) col martello, la pialla e lo scalpello. [...] L’ho incontrato molto di frequente. È stato un piacere per me dargli qualche libro da leggere; offrirgli qualche parola che l’aiutasse nei suoi progetti o nelle difficoltà; o scorrere i suoi componimenti insieme a lui, nei casi in cui avesse un’oretta da dedicarmi. [...] Se qualche riguardoso lettore approccerà la lettura di queste con un elegante disprezzo verso l’eventualità che un lavoratore si tramuti in autore, mi sarà forse permesso di suggerire che la miglior forma di protezione contro una simile offesa si trovi nell’Istruzione Universale del popolo; perché l’educazione delle masse sommergerà qualsivoglia disposizione ora stagnante nelle volgari menti, a beneficio di quella minoranza che sia messa nelle condizioni, in qualunque grado, di superare le immense difficoltà della propria posizione.
Come il lettore avrà modo di scoprire nelle pagine che seguono, Dickens dedicò un gran dispendio di energie all’assistenza di aspiranti scrittori, soprattutto nei primi decenni della sua carriera. Eppure, la vicenda di Overs solleva oggi un velo sull’essenza del Dickens artista, su quello slancio innato che lo rese più grande d’ogni altro. Perché è assolutamente necessario puntualizzare che il più celebre letterato dell’Ottocento inglese studiò a scuola per soli quattro, forse cinque anni. L’immensità delle sue conoscenze, l’acume dell’occhio, l’agilità della penna, quelli li doveva quasi totalmente all’iniziativa personale. Detta in altro modo, i più grandi letterati e l’Inghilterra tutta prendevano a modello personale e professionale un uomo che s’era fatto da sé, che doveva il proprio talento a un’eccezionale volontà di comprendere l’altro e di migliorare se stesso, quasi per naturale conseguenza.
Un po’ per necessità, un po’ per vocazione, sin dagli albori della sua carriera Dickens prese il mestiere dello scrittore col massimo della serietà. Fece sua la battaglia per la difesa dei diritti degli scrittori, con l’obiettivo ultimo di cambiare radicalmente la condizione del letterato in Inghilterra. Mai, fino alla morte, si allontanò dai solidi principi su cui poggiava la sua protesta, e ancora nel 1869, durante un banchetto a Liverpool, raccontò quanto segue.
Quando presi a fare della Letteratura la mia professione qui in Inghilterra, risolsi pacificamente che sia che avessi trionfato o fallito, la Letteratura sarebbe stata la mia sola professione. Mi pareva [...] che non fosse granché ben recepita in Inghilterra, mentre in altri paesi la Letteratura era un mestiere riconosciuto, a mezzo del quale ogni uomo poteva elevarsi oppure cadere. Promisi a me stesso che nella mia persona la Letteratura si sarebbe elevata, in se stessa e per se stessa, e non v’è considerazione al mondo che potrebbe indurmi a infrangere quella promessa.4
Il primo passo che compì in veste di ambasciatore della letteratura fu quello di unirsi al Royal Literary Fund nel 1837 – quando aveva ancora poco più che due romanzi all’attivo. La società era stata fondata attorno al 1790 dal Reverendo David Williams «per la protezione e il sollievo della gente di genio e di studio che ne abbisognerà, o delle rispettive famiglie», con un occhio di riguardo verso coloro che si guadagnavano il pane...